Vita di Galileo
27 Gennaio 2019ATTO QUARTO
27 Gennaio 2019TIPOLOGIA TESTUALE: romanzo
DIVISIONE INTERNA:
Il romanzo è suddiviso in più parti, ognuna delle quali è composta da diversi capitoli:
– parte prima7 capitoli
– parte seconda.. 5 capitoli
– parte terza 4 capitoli
– parte quarta..5 capitoli
NARRATORE, LINGUA E STILE:
La lingua utilizzata dall’autore è principalmente l’italiano, lasciando spazio qua e là a qualche espressione parlata tipica del dialetto siciliano. Sono molto frequenti i dialoghi e i monologhi ed è frequente anche l’uso del discorso indiretto libero. Verga è il narratore del romanzo, ma si differenzia dal narratore onnisciente perché egli regredisce fino a diventare un tutt’uno con i personaggi, utilizzando le loro stesse espressioni e il loro linguaggio. Per riprodurre la società nel modo più “vero”, Verga la osserva scrupolosamente, studiando l’ambiente fisico ed il dialetto, documentandosi sui mestieri e sulle tradizioni; inoltre usa uno stile impersonale in modo che il lettore si trovi – come dice lui stesso – «faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro attraverso la lente dello scrittore». Così sembra che i personaggi e le vicende si presentino da sé, e chi legge ha l’impressione di essere messo a diretto confronto con la realtà di cui si parla. Per ottenere l’impersonalità Verga adotta quindi il punto di vista della gente, di chi fa parte dell’ambiente che sta descrivendo, evita cioè di esprimere il suo personale giudizio e i suoi sentimenti. E per rendere ancora più vera e impersonale la rappresentazione, lo scrittore costruisce una lingua nuova: è la lingua nazionale (non usa il dialetto siciliano perché vuole che le sue opere siano lette in tutta l’Italia) arricchita di termini di origine dialettale, di modi di dire e proverbi, di una sintassi modellata sul ritmo della lingua parlata dal popolo.
AUTORE:
Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre del 1840 in una famiglia di agiate condizioni economiche e di origine nobiliare. A undici anni inizia gli studi alla scuola di Antonino Abate, letterario e patriota, e poi del canonico Mario Torrisi. Il tipo di educazione ricevuta è, sul piano politico, patriottica risorgimentale e, sul piano letterario, sostanzialmente romantica.
Si iscrive alla facoltà di legge ma non termina gli studi, tutto preso dalle vicende storico-politiche (dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia). Di questa educazione testimoniano le prime prove narrative: l’inedito Amore e patria, ispirato alla rivoluzione americana e scritto a 17 anni, I carbonari della montagna pubblicato nel 1861 a spese dell’autore il quale vi impegnò la somma destinata al proseguimento degli studi di giurisprudenza che infatti interruppe. Nello stesso anno si arruola nella guardia nazionale di Catania e svolse un’intensa attività di giornalista (fu tra i fondatori e i redattori di tre giornali, il primo dal titolo assai significativo, «Roma degli Italiani», che ebbero tutti una breve durata). Nel 1863 il periodico fiorentino “Nuova Europa” pubblica a puntate il romanzo Sulle lagune. Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871).
Dopo la morte del padre, nel 1865 si stabilisce a Firenze dove frequenta l’ambiente letterario di Francesco Dall’Ongaro, giornalista, professore di letteratura drammatica e autore del noto testo teatrale «Il fornaretto di Venezia». Conosce i poeti Giovanni Prati e Aleardo Aleardi e la scrittrice Caterina Percoto, autrice di racconti di ambiente paesano. Diventa autore di successo dapprima con il romanzo Una peccatrice (1866) e quindi con Storia di una capinera edita nel 1871. Fondamentale, negli anni fiorentini, è l’incontro con Luigi Capuana con il quale inizia un rapporto d’amicizia e un sodalizio letterario. Così scriveva ai familiari: «Firenze è davvero il centro della vita politica e intellettuale d’Italia; qui si vive in un’altra atmosfera.»
Tra il 1873 e il 1876 escono i romanzi Eva, Tigre reale, Eros, la raccolta di novelle Primavera e altri racconti, e, nel 1874, il bozzetto di ambiente siciliano Nedda in cui, per la prima volta, la tematica mondana viene abbandonata. Nella seconda metà degli anni Settanta la sua scrittura diventa una scrittura narrativa come “ricerca di verità”.
Nel 1878 in una lettera all’amico Salvatore Paola, Verga esprime quella che sarà la tematica dei Malavoglia: “un lavoro” che sia “una specie di fantasmagoria della lotta per la vita che si estende dal cenciaiolo al ministro e all’artista…”
Nel 1881, preceduto dalle novelle di Fantasticheria (1880) e di Vita dei campi (1878), appare I Malavoglia, nello stesso anno in cui appare Malombra di Fogazzaro. L’imprevisto insuccesso del romanzo denota la preferenza dei lettori che tende verso il clima letterario creato dai romanzi di quest’ultimo.
Pur scoraggiato, Verga continua a pubblicare: I ricordi del capitano D’Arce (1881), Il marito di Elena (1882), le raccolte di novelle Novelle rusticane (1883), Per le vie (1883, ispirate all’esistenza squallida della plebe cittadina e della gente della metropoli lombarda), Drammi intimi (1884).
Intanto inizia la nuova attività di autore per il teatro con alterne vicende di successi e di fiaschi: Cavalleria rusticana (interpretata dalla Duse) trionfa a Torino, In portineria cade a Milano.
Nel 1887 scrive Vagabondaggio (raccolta di novelle che riprende il tema delle novelle «Per le vie») e l’anno dopo esce a puntate su “Nuova Antologia” Mastro-don Gesualdo.
Nel 1893 si ritira nella sua Catania dopo aver vinto una causa (contro il musicista Pietro Mascagni) per i diritti d’autore di Cavalleria rusticana: la cifra, cospicua, gli permette di ripianare i debiti. Vive in una sorta di isolamento scontroso, geloso dell’esagerata ammirazione che i suoi concittadini avevano per il poeta Mario Rapisardi (1884-1912). La sua naturale avversione agli intrighi che vedeva trionfare nel mondo letterario, e poi alcuni dispiaceri e lutti familiari, lo allontanarono sempre più dall’esercizio dell’arte.
Nel 1894 si stabilisce definitivamente a Catania, con brevi soggiorni a Milano e a Roma dove, nel 1895 si incontra, insieme a Capuana, con Zola, maestro del Naturalismo francese.
Prosegue la produzione per il teatro: La Lupa è rappresentata a Torino nel 1896.
Con l’andare degli anni si fa sempre più vivo in lui l’interesse per le vicende politiche: fedele alle sue idealità patriottiche e unitarie, si oppone al movimento separatista dei “Fasci siciliani” e nel 1896 si fa sostenitore della necessità, per l’Italia, di una rivincita africana e di una più incisiva politica coloniale. Nel 1911 accoglie con entusiasmo la decisione della campagna libica e nel 1912 aderisce al partito nazionalista.
Nel 1911 riprende a lavorare alla Duchessa di Leyra, il terzo romanzo del “ciclo dei vinti” ma scrive un solo capitolo che sarà pubblicato postumo.
Negli anni che precedono la prima guerra mondiale, in un clima letterario che continua a preferire autori del post-verismo, le opere di Verga perdono interesse, ma dopo la guerra, in seguito al saggio “Giovanni Verga” di Luigi Russo (1919), il riconoscimento dei suoi meriti si fa sempre più largo e unanime e l’arte verghiana comincia ad essere apprezzata in quello che ha di più originale e di più vivo.
Nel 1920 è solennemente festeggiato a Roma e a Catania in occasione del suo ottantesimo compleanno: le onoranze hanno il loro coronamento nella nomina a senatore il 3 ottobre.
Verga muore a Catania il 27 gennaio 1922, colto da una paralisi cerebrale.
L’attività letteraria
L’attività letteraria di Verga può essere divisa in tre fasi:
– la narrativa storico-patriottica degli esordi;
– i romanzi mondani;
– la produzione verista.
In Sicilia ebbe una formazione letteraria provinciale, come si nota leggendo i suoi tre romanzi giovanili. In particolare, I carbonari della montagna (1861) è un romanzo storico (un genere che stava ormai passando di moda) che Verga dedicò ai suoi modelli di allora, Francesco Domenico Guerrazzi e Alexandre Dumas.
Fondamentale nel suo cambiamento di interessi fu l’abbandono dell’isola nel 1869, quando Verga partì per Firenze. Introdotto dal poeta Francesco Dall’Ongaro nella buona società cittadina, si dedicò allo studio della vita borghese che aveva davanti agli occhi, con un particolare interesse per le figure femminili e le vicende sentimentali, come si può capire dai titoli dei romanzi che scrisse in questo secondo periodo “mondano”: Una peccatrice (1866), Eva (1873), Eros (1875). Grande successo riscosse in particolare Storia di una capinera (1871), il racconto della monacazione forzata della protagonista che, innamorata del marito della sorella, muore in preda alla disperazione.
Se il romanzo Il marito di Elena (1882) continuò lungo questa linea di ricerca espressiva, la produzione successiva a quella fiorentina prese un’altra strada. Nel 1872, quando si trasferì a Milano, capitale dell’editoria, frequentò Arrigo Boigo e Giuseppe Giacosa, grazie anche all’appoggio di Salvatore Farina, uno scrittore allora molto celebre. Qui fu raggiunto dall’amico Luigi Capuana, scrittore e critico letterario teorico del verismo.
La svolta letteraria si può datare al 1874, l’anno in cui fu pubblicata una novella intitolata Nedda, definita dall’autore un “bozzetto siciliano”. L’ambiente non è più urbano ma rurale; la storia non è più ambientata al Nord ma in Sicilia; i protagonisti sono umili contadini. Anche qui protagonista della vicenda è una donna, ma la sua situazione è tragica e concreta, non astratta e sentimentale.
Da quel momento in poi la Sicilia contadina con la sua antica cultura fu al centro del lavoro dello scrittore catanese, sia nelle novelle, sia nei romanzi.
I due volumi di racconti Vita dei campi (1880) e Novelle rusticane (1883) contengono alcuni dei capolavori verghiani, testi divenuti celebri come La lupa, La roba (storia di Mazzarò, un contadino diventato proprietario terriero ma rimasto vecchio e solo, ridotto alle soglie della pazzia), Rosso Malpelo (un ragazzo destinato a lavorare e a morire in miniera, ricalcando il tragico destino del padre), Cavalleria rusticana (racconto di un duello mortale scatenato dalla gelosia).
I romanzi della maturità
I Malavoglia (1881) racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino a Catania. Protagonista del romanzo è tutto il paese, fatto di personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità.
Grazie a una scrittura sapiente che riproduce alcune caratteristiche del dialetto e che riesce ad adattarsi ai diversi punti di vista dei vari personaggi, il romanzo crea l’illusione che a parlare sia il mondo raccontato, rinunciando così alla presenza in “prima linea” dell’autore.
Mastro-don Gesualdo (1889), invece, mette in risalto la storia del protagonista che dà il titolo al romanzo. Di origini modeste, Gesualdo riesce a vincere il suo destino di miseria e diventa ricco. Il matrimonio con la nobile Bianca Trao non cancella la sua modesta estrazione sociale: persino la figlia Isabella si vergogna del padre. Rimasto solo, Gesualdo muore nel palazzo ducale di Palermo, abbandonato dai suoi e ignorato dalla servitù che si prende gioco di lui.
Anche qui l’ambiente è siciliano (il romanzo è ambientato a Vizzini) e la lingua rispecchia in modo tecnicamente molto raffinato la realtà che fa da sfondo al romanzo.
Fu un insuccesso inatteso e Verga, amareggiato, si ritirò a Catania abbandonando la scrittura. Il progettato “ciclo dei vinti”, cioè coloro che nella lotta per l’esistenza sono destinati ad essere sconfitti, che prevedeva altri tre romanzi ambientati a un livello sociale progressivamente superiore (La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni e L’uomo di lusso), restò così incompiuto.
Il successo arrivò a Verga per altre vie.
Cavalleria rusticana fu un successo che continua, di cui lo stesso Verga elaborò una versione teatrale musicata da Pietro Mascagni (rappresentata nel 1884 con discreto consenso di pubblico).
PERSONAGGI:
I personaggi principali sono:
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Mastro Don Gesualdo:Uomo forte e robusto dall’aspetto calmo e pacifico ma che nasconde in realtà un carattere deciso, testardo e sicuro. E’ il prototipo dell’uomo che si è fatto da sé, si è costruito la fortuna con le sue mani, ha guadagnato e si ritrova ad essere attaccato alla “roba” e ai suoi campi fino al punto di diventare cattivo nei confronti di chi ostacola la sua ascesa. Non si preoccupa troppo della moglie e della figlia perché è troppo preso dai suoi affari; riesce a fare studiare la figlia nelle scuole perché la gente parli bene di Isabella, educata e ricca. Il suo attaccamento alla roba” sarà la sua rovina fisica e psicologica, la paura dello sperpero lo spaventa fino al punto di morire accorgendosi forse, che in realtà non era mai stato felice veramente
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La famiglia Trao: E’ composta da Don Diego, Don Ferdinando e dalla giovane Bianca. I due uomini sono i tipici nobili del paese attaccati a certi valori e a certe tradizioni ormai passate che vedono nella nobiltà e nelle proprie ricchezze le ragioni principali di vita, per questo si sentono persi quando brucia il loro palazzo con i loro averi. Evidenziando questo loro modo di pensare anche quando non si dimostrano d’accordo con Bianca quando decide di sposarsi e di andarsene da casa.
Bianca invece è la classica vittima delle situazioni negative. Debole, infelice e ammalata per tutta la vita sposa un uomo che la ama per la sua posizione nobile, ma che non è nemmeno il padre di sua figlia. E’ dolce, sensibile, tranquilla, buona, calma, sincera; la classica ragazza brava e religiosa che tutti amano, così rimarrà fino alla morte -
Don Ninì e la baronessa Rubiera: Sono i parenti ricchi dei Trao, che si prestano a concedere favori soltanto in situazioni veramente tragiche. La baronessa è una donna, ricca, ambiziosa e molto attaccata alla” roba”, quasi come Gesualdo. Rimane senza parola e paralizzata quando viene a sapere della relazione del figlio con un’attrice di teatro perché si sente ferita nella sua nobiltà di famiglia. Don Ninì è il tipico scavezzacollo di paese a cui piace divertirsi senza pensare troppo ai problemi della vita anche se sembra cambiare quando si innamora di Bianca. Dopo l’amore improvviso per l’attrice (alla quale dà anche un figlio) si trova di fronte a molte difficoltà (la madre è paralizzata per causa sua) e quindi si trova di fronte a un matrimonio quasi obbligato con Donna Giuseppina Alosi, che lo costringe a mettere la testa a posto, anche se forse in fondo in fondo rimane sempre lo stesso.
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Famiglia Margarone:E’ formata da mamma, papà Margarone, Donna Giovannina, Donna Mita, Donna Bellonia, Donna Fifì e dal piccolo Nicolino. Una famiglia che riveste un gradino importante all’interno dei pettegolezzi di Vizzini, soprattutto per quanto riguarda donna Fifì e mamma Margarone. Sono due donne vanitose, orgogliose, permalose e si considerano superiori alle altre per ricchezza e aspetto fisico di cui vanno molto fiere. Purtroppo sono costrette a diventare meno superbe quando Fifì viene lasciata da Don Ninì e di fronte alla bontà e alla generosità della semplice e povera Bianca che si contende con Fifì il Baronello.
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L’arciprete Bugno, il marchese Limoli, Canali, Cavaliere Peperito, Notaio Neri: Sono personaggi importanti all’interno della vita del paese; sempre presenti in ogni situazione e attenti a ogni avvenimento. L’arciprete e il marchese sempre pronti a consigliare Bianca su come comportarsi col marito e il suo denaro. Canali, Peperito, Neri, sono pronti a interessarsi a ogni tipo di affare pur di guadagnare denaro, quasi per emulare Gesualdo che invidiano per la sua ascesa dal nulla.
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Isabella, suo marito e la sua amica Marina di Leyra: Isabella, ragazza un po vanitosa ma in fondo buona e ingenua, è la figlia di Bianca e di Gesualdo, con il quale non ha un buon rapporto, al punto da farsi chiamare con il cognome della madre. Don Gesualdo la considera e la tratta come una perla rara essendo l’unica erede del suo patrimonio, con i soldi guadagnati la fa studiare nelle migliori scuole ed è perciò ritenuta da tutti un buon partito. Sposerà per volontà del padre il Duca di Leyra, fratello della sua amica Marina e si trasferirà con lui a Palermo in un grande palazzo. Non farà più ritorno a Vizzini, nemmeno per far visita alla madre morente.
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Don Luca il sagrestano: E’ sempre pronto ad aiutare Gesualdo nei suoi affari e a consigliarlo in tutte le situazioni, cercando di essere più vicino alla famiglia per quanto gli è possibile.
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Nanni l’orbo, compare Cosimo, Pelagatti, Diodata, Brasi, Camauro, Giacolone (dipendente di Gesualdo): Sono sempre pronti ad aiutare il padrone in ogni situazione lavorando duramente senza sosta. Diodata è l’unica che riesce a dare veramente un momento di felicità al padrone del quale è innamorata, e al quale ha dato due figli; semplice e buona sposerà Nanni l’Orbo, lavoratore buono e onesto come lei, che riuscirà a renderla felice. Compare Cosimo, Pelagatti, Brasi, Camauro e Giacolone sono le persone più affezionate a Gesualdo, forse perché sono le uniche che riescono veramente a capirlo.
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La famiglia di Gesualdo: E’ formata da Mastro Nunzio (il padre), il fratello Santo, la sorella Speranza, il cognato Burgio e il loro figli. Il padre è un contestatore. Non è mai d’accordo sul modo di condurre gli affari di Gesualdo, egli ritiene che il figlio sperperi gli averi di famiglia, che in realtà sono tutti i soldi che Gesualdo ha guadagnato con la sua fatica. La sorella e il marito sono invidiosi della ricchezza accumulata da Gesualdo, e sono solidali poche volte con lui. Infine c’è Santo che passa le sue giornate all’osteria.
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Il sig. Capitano, l’avvocato fiscale, don Liccio Papa, don Filippo, il barone Zacco: Persone notabili del paese con il quale Gesualdo si contende l’appalto di edifici e l’acquisto di alcune terre fruttuose e importanti. Il barone Zacco e don Liccio Papa che con il loro potere a Vizzini cercano di ostacolare Gesualdo con ogni mezzo e che sono sempre al centro dell’attenzione per quanto riguarda feste, manifestazioni e occasioni importanti. Avari attaccati alla roba”, cercano sempre di far colpo sulla gente con la loro personalità e modo di agire e comportarsi.
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Barone Mendola, il canonico Lupi: Personaggi influenti che cercano di aiutare Gesualdo nel guadagnare denaro e consigliarlo a proposito del matrimonio che gli potrà essere utile.
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I personaggi secondari sono: Aglae l’attrice, Grazia, Rosaria, Pirtuso, Alessi, Corrado, la zia Sganci, la zia Macrì, Donna Sarina Cirmena, Donna Giuseppina Alosi, Donna Agrippina, Donna Mariannina, la sig.ra Capitana, zia Filomena.
LUOGHI:
La vicenda è ambientata a Vizzini, centro agricolo non molto distante da Catania. Vizzini è un grande e animato borgo campagnolo dove convivono persone di ogni genere.
TEMPO:
Non vi sono riferimenti a fatti storici o date specifiche, ma vi sono accenni in alcuni punti al 1820-21 e al 1837; i moti del 1820 e del 1848, quindi, fanno da sfondo alla vicenda e sono citati più volte dall’autore all’interno del racconto. Ci sono inoltre accenni a vicende politiche quali la rivolta palermitana e la Costituzione di Francesco Duca di Calabria nel 1812 nell’Italia Meridionale.
RIASSUNTO:
Scritta da Giovanni Verga nel 1889, la vicenda è ambientata a Vizzini, una località della provincia di Catania, nel periodo compreso tra il 1819 e il 1848. Protagonista è Gesualdo Motta, un uomo del popolo, umile lavoratore, tenace ed accorto che dedica la vita al lavoro per accumulare terre, denari e ricchezze. La fortuna raggiunta lentamente è stata veramente sudata e meritata, anche se non cambia il carattere di Mastro Don Gesualdo che rimane onesto e generoso, sempre pronto ad aiutare parenti ed amici. Per aumentare ulteriormente il suo potere, Gesualdo sposa Bianca Trao, ragazza di nobile famiglia in decadenza. Purtroppo il matrimonio si rivela un cattivo affare per l’uomo. Tutti gli sono contro: i familiari, benché da lui aiutati, lo ritengono un traditore perché li ha abbandonati per un mondo diverso; i parenti nobili lo disprezzano. Anche Bianca, che ha accettato il matrimonio solo per salvare l’onore macchiato dopo i suoi amori con il baronetto, suo cugino, Ninì Rubiera, non riuscirà mai a vincere un’istintiva freddezza nei confronti del marito. Anche la figlia Isabella, in realtà nata dalla relazione di Bianca con Niní, risulta essere molto ostile al padre. La ragazza, infatti, innamorata del cugino Corrado La Gurna, poeta e spiantato, è ostacolata dal padre nel suo amore e finirà per cedere al suo volere sposando il Duca di Leyra, un uomo spietato, che non la amerà mai, ma dissiperà tutta la dote della ragazza in ricevimenti. Dopo la partenza di Isabella per Palermo, parenti, amici, vicini, tutti si accaniscono a gettar fango sulle ricchezze di Gesualdo. La moglie, Bianca, muore poco dopo consumata da un male inesorabile, la tisi, e dalla lontananza dalla figlia. Don Gesualdo rimane solo, sofferente e torturato da atroci dolori di stomaco. Il genero, che lo detesta e lo disprezza, ma che vuole a tutti i costi venire in possesso dell’eredità, lo costringe a seguirlo a Palermo. Morirà di cancro qualche tempo dopo nell’indifferenza generale, solo e abbandonato, accompagnato nelle ultime ore dalle parole malevole di un servitore, unico testimone della sua agonia.