15. Il tempo storico e l’inevitabilità del deterioramento
20 Luglio 2017Giovani sottomessi e accantonati
22 Luglio 2017Alla fine del post precedente ho ricordato l’ultima fase della lunga esperienza di vita di Platone, nato in una città che si era deliziata del mito del suo passato eroico (la vittoria contro i Persiani), che aveva abusato della sua egemonia sui suoi alleati, che si era lasciata prendere dall’idea di superpotenza, che era quindi caduta vittima di lotte intestine da cui non si era mai più del tutto rialzata e che ormai presagiva la fine del piccolo universo tutto greco di cui era stata parte tanto attiva e determinante. Con questo ultimo post vorrei concludere la mia serie raccontando come Platone ha voluto donare al destino transeunte delle cose del mondo la sua ultima grandiosa immagine racchiudendolo entro una cornice di corrispondenze segrete e restituendogli la bellezza delle amate proporzioni perfette.
Teniamo presente la seguente premessa e riserva nell’affrontare il tema affascinante di questo post: in più parti della Repubblica, Platone aveva fatto un’asprissima critica contro l’arte sia come espressione di cose non vere, quindi false, sia come imitazione di modelli imperfetti, ovvero “imitazione di imitazioni/apparenze” (questa seconda accezione dell’arte è in linea con l’allegoria/mito della caverna). Parlando della possibilità di mentire ai cittadini, nel Libro III della Repubblica, Platone distingue però le “nobili menzogne” che il buon Politico/Filosofo è legittimato a dire in nome del bene prioritario della salvaguardia dello Stato – la cui popolazione deve essere ad ogni costo persuasa ad obbedire a leggi disegnate per salvare coesione ed armonia interne, ovvero l’Idea del Bene esaltata nella Repubblica. Accanto alla spietata critica all’arte ed alla cultura poetica tradizionale, Platone perciò precisa che sono al contrario da promuovere immagini artistiche e letterarie concepite (sotto la supervisione dei Governanti) apposta per educare e trasmettere valori statali ai cittadini, e fa un esempio di mito “politico-pedagogico”: quello delle stirpi dei primi uomini come nate tutte da un’unica terra (per promuovere fratellanza) e plasmati dagli dèi poi con diversi metalli (oro, argento, bronzo/ferro).
Si rimane a questo punto legittimamente un po’ incerti sul come valutare l’uso che egli stesso continua a fare di immagini mitiche e divine. Che l’Ordine cosmico infine da lui delineato sia stato descritto in nome di una profonda religiosità o in nome di una disillusa sfiducia nell’uomo, ciò che ci rimane accessibile è il suo disegno: di questo possiamo davvero vedere i contorni e riconoscerne le eredità nella Storia del nostro pensiero. Con ciò Platone, alla fine della sua vita e dopo aver teso la mente al mondo delle idealità perfette, volle restituire (perché ci credeva o perché credeva che fosse importante per i Non-Filosofi crederci) anche bellezza, valore e senso alle cose del mondo: certo è che esse, queste “cose”, non sono più semplici ombre, cadùche apparenze; sono ora l’orizzonte pieno di intimi legami entro il quale l’uomo singolo vive dovendo appartenere a definite comunità politiche. Tali comunità sono parti di un Organismo universale provvisto di anima e retto da un sistema di segrete corrispondenze di Ordine e Bellezza in cui ciascun fenomeno ha un posto, una funzione ed un tempo di esistenza scandito da nascita, crescita e morte.
Quando parliamo del problema della generazione e corruzione del mondo, dobbiamo ricordare che la mentalità greca concepiva tutto questo come forma del “MOVIMENTO”. E’ importantissimo capirlo, per spiegarsi perché, parlando di nascita e morte nel mondo, i Greci parlavano di cicli di tempo che misuravano con il movimento degli astri. Questo prova l’insita tendenza del Greco a fisicizzare la sua comprensione del mondo – anche i suoi dèi non sono tradizionalmente concepiti come immaterialità: vivono addirittura in cima ad una montagna, l’Olimpo, luogo geograficamente ben identificato. Ciò che caratterizza il mondo dell’esperienza dei viventi rimase sostanzialmente anche per Platone, come per Eraclito ed altri, il suo incessante movimento. L’essere inseriti in processi di cambiamento e deterioramento, ossia in uno spazio-tempo storico, è determinato dall’essere, le cose tutte (uomo, Stato, mondo terreno, Cosmo, tutto ciò che è stato creato e che non sarà mai eterna forma ideale nell’Iperuranio), miscugli contaminati dalla materialità imperfetta. Come primo elemento del miscuglio egli pone però anche l’anima, sostanza immateriale che dà vita e respiro alla materia: se quindi il corpo è destinato a morire per sempre, quell’anima sussiste, per cui tutto ciò che è passato e passerà in qualche modo e forma è destinato anche a ritornare. Rispetto alla mentalità greca del suo tempo, questo sforzo di “spiritualizzare” i concetti di anima e di Idea rappresentano l’eccezione che continuerà invece a fornire grandi spunti e riferimenti ad una cultura come quella cristiana.
Torniamo per l’ultima volta alla Repubblica: i Libri VIII e IX, come abbiamo visto, descrivono in termini etico-psicologici l’avvicendarsi delle diverse forme statali. Lo schema, una forma di governo ideale seguita da quattro progressive degenerazioni, rimanda al tradizionale schema esiodeo della Cinque Età, anch’esso mito che sottintende la corruzione progressiva dell’umanità spesso teorizzata nei periodi di profonda crisi culturale . Lo schema esiodeo fu analizzato in maniera interessantissima ed a suo tempo innovativa da Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, testo a cui rimando per approfondimenti. Sia in Esiodo che nella Repubblica il problema della possibilità di rigenerazione e riscatto rimane però aperto aperto, il focus è centrato su un processo dinamico di graduale deterioramento, inteso perciò appunto come movimento storico. A livello teoretico, nel Sofista il movimento era stato definito da Platone in maniera che appare contraddittoria, in ogni caso nei termini astrattissimi di “partecipazione”: “partecipazione” negli enti sensibili di Idee (distinte e separate di per sé aventi le qualità parmenidee di immobilità e unità essenziali), la cui compresenza darebbe ragione della loro singolarità fenomenica (nel mondo vediamo un cavallo di quel bianco, con quella criniera, che si muove in quella determinata maniera eccetera) – ed allora si può parlare di “presenza” delle Idee negli enti, con tutte le obiezioni che questa presenza solleva e solleverà; e “partecipazione” degli enti sensibili ad Idee (distinte e separate di per sé aventi le qualità parmenidee di immobilità e unità essenziali), terminologia preferita da molti, che non risolve il problema del rapporto enti-Idee, tanto meno il problema dei processi storici, che non sono tema dei Dialoghi teoretici, con l’eccezione della seconda parte del Politico di cui sotto.
Del Libro X della Repubblica si discusse a lungo in passato l’autenticità. La chiusura contiene il già citato mito di Er a coronamento di tutta l’opera, il quale sembra voler sottolineare il concetto di libera scelta dell’uomo rispetto al suo destino, come se Platone volesse dire, alla fine della descrizione del suo sogno/modello di Città Ideale, che l’uomo ha in mano la possibilità di scegliere cosa fare di questo suggerimento. L’inizio del medesimo Libro, in collegamento all’iterata e più netta critica all’arte come “imitazione delle imitazioni”, aveva introdotto la nuova figura del Demiurgo, il dio creatore ed artefice che avrebbe originato il mondo sensibile contemplando direttamente i veri Modelli, le Forme, il mondo delle Idee, ed è facile stabilire una risonanza tra l’opera di questo Artefice supremo ed il Re-filosofo della Città ideale che governa imitando la visione che ha della Giustizia. In sostanza, dopo aver dato al mondo sensibile un significato di “mera apparenza” (mito della caverna, Libro VII), la figura del Demiurgo del Libro X riconosce implicitamente un valore a quello stesso mondo in quanto opera di un essere divino e creatore; passando poi per il mito del Politico, che collega questa creazione al problema dell’inevitabile corruzione degli Stati storicamente dati, si arriverà alla fantastica costruzione del Cosmo delineata nel Timeo. E così la Filosofia della Storia, di cui Platone aveva gettato le basi guardandone il riflesso prettamente politico nei Libri VIII e IX della Repubblica, divenne Cosmologia.
Nel Politico, dopo Dialoghi privi di miti e dopo una prima parte fondata sul procedimento dicotomico di definizione del vero Politico, rispunta un mito, diremo quello “del Cosmo capovolto”. Con tale mito, Platone allarga l’orizzonte entro il quale concepire la realtà ed il senso ultimo della sua ricerca. Il mito riguarda le cicliche distruzioni del mondo a causa di cataclismi (con l’esempio di Atlantide ripetutamente ripreso nei Dialoghi successivi, Timeo, Crizia e Leggi), ma l’obiettivo è appunto spiegare l’inevitabile corruzione dei governi dati storicamente inserendola in una generale visione del Cosmo soggetto a cicli di allontanamento e di ritorno verso di il Bene, ovvero cicli di corruzione e di rinascita. Queste distruzioni sono ciclicamente determinate dalla resistenza della materia (la Chòra), secondo Principio fondante della realtà e causa del male del mondo – di cui il dio creatore, il Demiurgo buono e perfetto che dà forma a quella materia ispirandosi all’Ordine del mondo delle Idee, non può avere e non ha responsabilità: quando il mondo materiale raggiunge il suo punto di massima lontananza dall’Ordine, arrivano cataclismi (forse mandati dagli dèi) che azzerano le sue forme e riaprono quella parte del tempo atta alla sua (ciclica) ricostruzione. Anche Empedocle, filosofo siciliano del VI sec. a.C., aveva parlato di movimento come stati di aggregazione e disgregazione dei 4 Elementi (Terra, Acqua, Aria, Fuoco) a causa delle due Forze cosmiche, Amore (che li fa tendere verso l’Unità) e Discordia (che li fa tendere verso la Separazione): un richiamo a questa dottrina, ovviamente anch’essa inserita in un crogiolo culturale che la collega ad altri filosofi presocratici, è forse doveroso.
E’ Platone stesso a collegare il proemio del Timeo alla Repubblica in generale, al tema del Demiurgo in particolare. Tenendo conto che il Dialogo successivo, il Crizia, rimase incompiuto e che le Leggi furono l’ultimo Dialogo a cui Platone, ormai anziano, pose mano ma che non ebbe il tempo di rivedere e concludere, il Timeo potrebbe essere con ogni probabilità l’ultimo Dialogo da lui pubblicato. E’ un’opera diversa dalle altre, simile al Crizia (Dialogo che prende il nome dal politico parente di Platone coinvolto nel governo dei Trenta Tiranni e morto durante la guerra civile per la restaurazione democratica). Pur essendo stato scritto in una fase molto tarda del pensiero e della vita di Platone, il Timeo è quindi presentato come fosse una ripresa di una conversazione (quella rappresentata dal testo della Repubblica per l’appunto) tra Socrate e parte degli stessi partecipanti/ascoltatori di quella avvenuta qualche giorno prima. Dopo un inizio ancora basato su uno scambio di battute dialogiche ma non confutatorie ed un vero e proprio riassunto di (parte di) ciò che è stato detto nella Repubblica, l’esposizione assume la forma di un vero e proprio trattato, anche se si tratta di un monologo presentato come avente valore di “verosimiglianza” a detta dello stesso personaggio parlante, il pitagorico Timeo (l’importanza del Pitagorismo ormai anche assorbito nella sua tendenza a trovare corrispondenze in termini di numero e di proporzioni è chiara dalla Repubblica in poi). Egli racconta dell’origine del mondo, del moto circolare delle orbite dei pianeti legate ai cicli cosmici, di Atlantide (il cui mito è tema del Crizia ed è nominato nel precedente Politico) e dei diluvi che, appunto ciclicamente, colpiscono il mondo, del Demiurgo e tanto altro ancora. Il Dialogo è vasto ed onnicomprensivo, la sua lettura è avvincente: una straordinaria visione della creazione del tempo, del mondo materiale e del corpo umano – questo creato non direttamente dal Demiurgo, ma dagli dèi CREATI da lui (mai una cosa del genere era stata affermata da un Greco) proprio per svolgere questo compito; si parla dell’anima tripartita della Repubblica (non corrispondente a quella descritta come biga alata nel Fedro) posizionata in diverse parti del corpo – quella razionale nella testa, quella irascibile nel torace, la concupiscibile (appetitiva o irrazionale) nel ventre; delle varie parti del corpo e delle loro funzioni specifiche.
Già tradizionalmente per la mentalità di un Greco gli dèi dell’Olimpo si possono muovere solo nel rispetto di una Legge che li sovrasta e che sono tenuti a rispettare, sia essa concepita come Fato o come legge dell’Ordine cosmico in generale: così, anche il Demiurgo platonico, nel plasmare la materia indeterminata e fondare la realtà delle cose del mondo, si attiene ad un Ordine che è increato, preesistente e superiore. Dio creatore del mondo, del tempo storico e degli dèi, egli è l’unica divinità a rifarsi direttamente alle Idee che lo sovrastano e che lui prende direttamente a modello di creazione: quindi non sbaglia, non è causa del male, ma non è neppure creatore dell’Ordine, che lui imita e proietta ai livelli progressivamente inferiori. “Tutto ciò che è” è tenuto a rispettare l’Ordine pre-stabilito come Legge. Le Idee sembrano qui davvero esistere come realtà formali, dato che il Demiurgo, che è Intelligenza pura, le vede e le prende a modello per creare il mondo. C’è sempre da sottolineare il limite e la caratteristica della lingua greco antica che concepisce il “sapere/conoscere” come una forma di visione intellettiva: il Demiurgo è Intelligenza, egli coglie le Forme ultrasensibili (immateriali) dal punto di vista di un’Intelligenza suprema (puro pensiero).
Ora, se intendiamo il Demiurgo come DIO, tutto questo discorso assumerebbe la forma di una Teologia ed una Teodicèa. Tocca in ogni caso ammettere che il problema dell’Essere del mondo e della sua relazione con le Idee non è per nulla risolto, e tanto meno lo è quello della presenza di una divinità superiore ad un pantheon di dèi da lui creati ed a lui inferiori, la quale non inventa, ma imita la perfezione di un Ordine metafisico, decidendo, spinta da una necessità interiore di agire secondo il Bene, di dare forma ed anima ad un mondo fisico presentato quindi come imitazione delle Idee perché de-limitazione formale (in termini anche spazio-temporali), animata e vitale (=un grande organismo dotato di anima) di un altro non meglio identificabile Principio materiale di indeterminatezza ed illimitatezza, la Chòra – che, bisogna fare attenzione, NON è “il non Essere” in senso parmenideo, ma quell'”essere altro/diverso da (=dal mondo metafisico delle Idee, perfetto perché ordinato, immateriale ed eterno)” argomentato nel Sofista. Da cui quel pluralismo di percezioni ed interpretazioni della sua Filosofia complessiva: Filosofia teologica che apre le porte ad una visione quasi monoteistica della divinità creatrice o Filosofia politica che consapevolmente proietta in miti di fondazione e creazione del Cosmo intero il senso attraverso cui leggere in ultima analisi la realtà delle comunità umane?
Tutti questi racconti orbitano attorno ad un nocciolo: il mondo è corruttibile poiché originato da un miscuglio; esso è un corpo vivente, un organismo con un’anima che tende verso il modello perfetto al quale vorrebbe assimilarsi (cosa che ricorda i Dialoghi sull’Eros come desiderio, soprattutto il Simposio); ma la materia di cui anche è fatto oppone resistenza e lo attrae in senso contrario. E’ così che il mondo materiale è destinato, sia a livello di ogni sua forma individualmente presa che come unità – a rigore Platone parla di cataclismi mandati dagli dèi secondo ricorrenze scandite da cicli di tempo regolari, non di conflagrazione universale, come faranno invece gli Stoici con la loro drammaticissima visione di tempo infinito come eterna ripetizione di un ciclo sempre uguale a se stesso. La dimensione è sì cosmologica, ma l’obiettivo è dare ragione del mondo in cui poi l’uomo e le sue comunità trovano espressione. L’analogia del microcosmo e macrocosmo (“come in alto, così in basso”) abbraccia tutte le manifestazioni del sensibile: dall’uomo fisico alle sue organizzazioni politiche, al mondo ed al Cosmo, tutto si avvicina e si allontana ciclicamente dal Bene, in un sistema di (miticamente) ordinate e segrete consonanze e corrispondenze numerologiche ed astronomiche che tanto affascinarono la cultura medievale e rinascimentale. Dall’età ellenistica, attraversando l’età del tardo Impero grazie soprattutto allo Stoicismo riassorbito dal grande sincretismo neoplatonico ed arrivando al Medioevo, qualcosa di questi Dialoghi in cui Platone lasciò traccia della sua passione pitagorica giungerà fino a noi nella forma di calcoli ossessivi su calendari cosmico-astrali atti prima a prevedere la fine di Roma, poi la conflagrazione universale non più ciclica, ma definitiva del Giudizio Universale dei Cristiani. Il tempo storico assume una valenza essenzialmente deterministica che riapre in ben altri termini il problema della libertà, quindi della reale possibilità di libero arbitrio dell’individuo espresso nella grande Tragedia attica del V sec.a.C. ll Medioevo e Rinascimento amarono il Timeo che, insieme al Fedone, fu l’opera per secoli più letta del corpus platonico: due Dialoghi in cui, senza nominare l’Eros del Simposio e del Fedro, si parla di immortalità di un’anima assolutamente immateriale (=spirituale), di Anima del Mondo, di Desiderio del Bene e del dramma dell’allontanamento progressivo ed inevitabile da quello, nonché della morte di un uomo, Socrate, con quella del Cristo la più famosa nel nostro Occidente.
Con questo post, chiudo la serie su Platone. Anche qui ho provato a leggere le opere più tarde recuperando il loro rapporto con il testo e l’ideale di coesione ed appartenenza politica alla base della Repubblica: modi di Platone di ridefinire parte dei più fondamentali temi che lì aveva toccato inserendoli in un gradualmente più aperto orizzonte: eccolo allora fornire un modello pratico per l’identificazione/selezione di giovani menti eccelse e loro educazione alla Filosofia/Dialettica (Parmenide, Teeteto, Sofista); eccolo descrivere il risultato umano di quell’educazione, ovvero l’uomo politico filosofo e saggio, in quanto individuo (Filebo) e responsabile della salute della sua città (Politico); eccolo fondare una città terrena ed emanarne le leggi (Leggi); eccolo inserirla nel mondo (Politico, Crizia e, soprattutto, Timeo e Leggi) e nel Cosmo (Timeo e Leggi) di cui è parte e di cui riflette l’Ordine. L’argomento è vastissimo e chiaramente non ho potuto dare ragione di tutta la molteplicità di prospettive da cui questo appassionante ed appassionato autore può essere letto, l’infinità di spunti che la sua produzione contiene, lui, che rincorreva la Forma dell’Unità nel molteplice e immaginava di rinchiudere l’Infinito nella legge della Misura e del Numero, ma che riconobbe al mondo delle cose e dell’uomo la stessa pluralità di cui ci ha lasciato traccia nel modo sorprendentemente sfuggente in cui scrisse i suoi libri. A chi legge, un saluto!
Cristina Rocchetto
Nella raccolta dell’opera del Prof. Reale: https://giuseppecapograssi.files.wordpress.com/2015/03/platone_a_cura_di_giovanni_reale_tutti_gli_scribookzz-org.pdf
Repubblica – pag 1067
Politico pag 315 (mito “del mondo capovolto”, pag 329- 334)
Crizia – pag 1417
Timeo – pag 1347
Vedere anche eventualmente i testi nei link:
Repubblica: http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneRepubblica.pdf
Leggi: http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneLeggi.pdf
Per chi voglia seguire un corso completo ed accessibile di lezioni scolastiche su Platone, segnalo due approcci didattici profondamente diversi. Sul web si trova tantissimo materiale alternativo: la ragione della mia scelta riposa sul fatto che entrambi i corsi sono stati tenuti davanti a classi di studenti di scuole superiori di secondo grado e rappresentano quindi due modi di introdurre Platone alle nuove generazioni:
1) Cinefilosofia/ prof. Saverio Mauro Tassi (Milano), di cui ho già indicato i link di due lezioni. La maggior parte delle 17 lezioni partono da domande specifiche, l’approccio è analitico, l’intento è di trasmettere del pensiero di Platone un’immagine di filosofia sistematica, riportando anche il significato dei suoi miti all’analisi razionale. E’ probabilmente un approccio molto utilizzato nelle scuole e nei manuali scolastici, ha il grande merito di rispecchiare una lunga tradizione interpretativa e quindi è importante conoscerlo. Il professore non ha ordinato le videolezioni in playlist, quindi dalla n. 1 si può risalire via via alle seguenti: Platone (1/17): https://www.youtube.com/watch?v=JBn4W4bB9Mk
2) Il prof. Matteo Saudino (Torino) preferisce partire dal racconto dei testi, ha un approccio critico personale, appassionato e coinvolgente che lo porta a volte a dire qualche inesattezza. Fa spesso interessanti collegamenti creativi con temi di Storia, Cinema ed attualità: Platone (playlist, 20 lez.): https://www.youtube.com/playlist?list=PL77YfPx_TtAlsTkKEOueEWqVrZF8vdeVm
Audio Lezioni, ascolta il podcast di Filosofia del prof. Gaudio
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