5. Panoramica generale della produzione platonica
29 Giugno 20177. L’immortalità delle anime alate
29 Giugno 2017Si notino qui due presupposti fondamentali del pensiero platonico: che esista una sostanza immateriale chiamata “anima” e che essa “animi” per l’appunto i corpi dei viventi, definibili quindi come composto di un corpo materiale ed un’anima immateriale.
Ora, il concetto di “anima” (“psiché”) apparteneva già alla mentalità greca, che aveva gradualmente emancipato l’uomo da un mondo in cui ogni suo gesto era voluto e mosso da un dio, come ancora in parte accade nei Poemi omerici, definendo piano piano il concetto di “anima/coscienza/pensiero individuale”, e, con esso, il problema della scelta e della conseguente responsabilità umana. Con la Tragedia attica tale problema è assolutamente al centro dello sviluppo dell’azione drammatica, e la Tragedia raggiunse il suo apice proprio mentre Platone cresceva, in una Atene diventata il polo d’attrazione di letterati, artisti, scienziati/filosofi, Sofisti, città natale di Socrate. Intanto, la filosofia ionica e delle colonie greche in Sud Italia aveva individuato nell’uomo una facoltà che lo contraddistingue dagli altri esseri viventi e gli permette di cogliere dietro al continuo movimento del mondo che esperiamo tramite i nostri sensi qualcosa di eterno ed incorruttibile, identificato come il “Vero Essere” in vari modi da vari pensatori. Tale facoltà sarebbe la facoltà razionale, la capacità di pensiero, che “astrae dalle apparenze e coglie la Realtà”. Sia la facoltà razionale che il suo prodotto, il ragionamento sono espressi in Greco antico dalla stessa suggestiva e poliedrica parola, (lògos), che significa anche discorso, racconto, e che è la radice di tante nostre parole (terminanti per “-logia”, per esempio).
Socrate fu un pensatore molto concentrato sul problema della crisi di valori comunitari e sociali della sua amata città. La sua preoccupazione fu quella di definire quei valori e poco si concentrò sul cosa poi fosse l’anima, che natura avesse, come facesse a produrre pensiero; non tese ad alcuna concezione definita, non scrisse nulla e non fondò propriamente alcuna scuola. La caratteristica di Platone fu il parlare invece di anima nei termini di “sostanza avente esistenza “, dando addito ad una serie di interpretazioni contrastanti.
Platone parlò poi appunto anche di Eros, il Desiderio, come della forza che sostiene l’uomo ad emanciparsi dalla materialità e tendere verso qualcosa che è superiore a quella, che “è oltre”: senza questa forza appassionata, l’uomo può ragionare, ma non arriva ad andare “più in là” e “vedere”. Ed in effetti, la più grande differenza tra Socrate e Platone a me sembra essere sintetizzata in questi due verbi: Socrate “ragionava” con i suoi interlocutori, il suo discorso/lògos era legato all’occasione, era un metodo che egli offriva alla comunità per orientarsi nella vita pratica; Platone va oltre il ragionamento/lògos, espresso dalle parti dialogiche dei suoi scritti, e, quando lo fa, si affida ad altre forme di linguaggio (immagini, miti, metafore), perché quel che “vede” e vuol far intuire al lettore è la Bellezza, che non è dottrina, ma visione pura.
Egli distingueva i saperi tecnici, che hanno a che fare con settori concreti della realtà o della conoscenza delle cose materiali (che lui non disdegnava, rendendosi conto della loro funzione specifica nella comunità: medici, architetti, artigiani eccetera hanno la loro ragione di essere in uno Stato concepito nella sua organicità), da una forma di sapere che cerca di cogliere la realtà nel suo significato globale, che è quindi “conoscenza” nel significato più alto del termine.
Questo sapere, che è quello a cui tende la continua ricerca dei filosofi, dai Dialoghi perlomeno non risulta essere caratterizzato da un insieme di dottrine veramente trasmissibili via insegnamento all’aspirante filosofo. Il vero maestro filosofo non è colui che “insegna” ciò che ritiene essere la visione della Verità, ovvero una dottrina definita in tutte le sue parti, ma colui che guida, accompagna nelle tappe di un ragionamento dinamico in una specie di sentiero che conduce a vedere qualcos’altro, di fronte al quale la parola del lògos tace e lascia il posto ad altre suggestioni, inclusa la bellezza del mito. In alcuni Dialoghi, ed il Fedone ne è uno degli esempi più toccanti, Platone, lo vedremo, attesta che di queste cose infatti non si può parlare se non per via ipotetica, poiché un pensiero (un’anima) ancora intrappolato nel materiale non può avere conoscenza/visione pura e chiara della Verità Ultima.
Ricordiamoci che Platone non fu solo filosofo e che noi lo conosciamo come lo conosciamo in quanto fu anche un grande scrittore – da giovane si dilettò a scrivere tragedie. Scrivendo dialoghi – badiamo bene: Socrate nel dialogo, sia come persona nella vita che come personaggio nelle opere di Platone, INTERAGISCE; Platone è autore, non cronista ma creatore, di quell’interazione letteraria – sembra capace, talvolta, quasi di ammiccare oltre il testo scritto, un po’ giocando con le parole, un po’ a prendersi poco sul serio (dati gli argomenti trattati, qualcuno riconosce proprio in questi momenti il segno della sua più straordinaria umanità/coscienza dei limiti). Questo continuo e vario “andare oltre” è parte della bellezza che della produzione di questo autore ha fatto innamorare i suoi studiosi appassionati nel corso dei secoli.
Il prossimo post sarà interamente dedicato all’anima ed ai miti escatologici che Platone utilizzò per parlare della sua forma e del suo destino.
Cristina Rocchetto
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