27 Gennaio 2014 Giorno della Memoria
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27 Gennaio 2019La Brigata proletaria, il primo gruppo armato contro il nazifascismo
Dieci anni dall’Istituzione del giorno del ricordo. Dieci febbraio, che è la stessa data della sottoscrizione del Trattato di Pace di Parigi del 1947, un trattato che ha totalmente ignorato la resistenza che gli italiani hanno effettuato contro i nazifascisti. Giorno del ricordo in cui si parla anche delle vicende complesse del confine orientale. Ed io decido di parlare della Brigata Proletaria, perché rientra nelle vicende complesse del confine orientale, perché tra revisionismi, menzogne, esaltazione di eventi, esasperazione dei singoli fatti proposti in modo sconnesso dal passato di cui sono figli, un passato censurato e chiuso nel peggior oblio opportunista, in quella terra che ha visto sorgere il sole dell’avvenire ma anche tramontare ad est il sole della verità, è cosa utile e positiva parlare della resistenza, anche in tale occasione.
Eravamo in tanti, io credo quasi un migliaio, e si andò prima di tutto a Selz e a Vermegliano nelle case dei contadini a prendere carri agricoli, aratri, erpici e altra ferramenta; sistemammo il tutto sulla strada in modo di formare degli ostacoli posti a scacchiera per fermare l’avanzata di eventuali carri armati o autoblinde dei tedeschi. Da lì a piedi ci portammo a Villa Montevecchio, eravamo armati di mitragliatrici, fucili e moschetti appartenuti all’esercito italiano.Furono formate le brigate italiane: una venne dislocata a Merna e una fu inviata alla Stazione di Gorizia. Così Giovanni Morsolin intervistato da Silvio Domini nel 1996, il cui testo è stato riportato nel libro Ronchi dei L. Storia e documenti, 2006, pag 158 e ss. Il gruppo di resistenza di Morsolin, dopo un’azione partigiana sui monti sopra l’Aidussina, venne catturato da una pattuglia di tedeschi. Messi contro un muro furono crivellati di colpi, da raffiche di mitra,caddero tutti i suoi nove compagni di lotta, ma Morsolin si salvò, perché creduto morto, venne ferito solo di striscio sopra l’occhio.
Da parte del comando partigiano viene impartito l’ordine a Fontanot Vinicio (Petronio) di scendere a Ronchi per reclutare largamente fra i compagni del terreno. A Selz incontra Marega Ferdinando alla testa di un nutrito gruppo di operai del cantiere che si arruolano volontari tra i partigiani. Si forma così la prima brigata partigiana italiana che assume provvisoriamente il nome di Brigata Triestina, col compito di operare principalmente nella parte più avanzata del Carso, sopra Monfalcone fino a Gorizia” ( in Riccardo Giacuzzo – Giacomo Scotti, Quelli della montagna. Storia del Battaglione Triestino d’Assalto, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno, 1972, p.).
Si unirono alla Brigata proletaria anche i partigiani sloveni e fecero importanti azioni, come l’interruzione di strade e della linea Trieste Gorizia, cosa che venne perfettamente eseguita con la distruzione dei ponti sul Vipacco. Attaccarono il presidio nemico dell’aeroporto di Ronchi, misero in fuga un corpo di guardia tedesco che sorvegliava il cavalcavia, però poi l’azione di risposta tedesca fu violentissima, in quella che verrà ricordata come la battaglia di Gorizia.
Chiudere gli occhi ed immaginare operai con la tuta blu, contadini, antifascisti, giovani e donne, uniti e unite nella resistenza, la prima resistenza armata dopo la firma dell’Armistizio, nata con lo scopo di liberare l’Italia dal nazifascismo e per edificare una società anti-capitalista, socialista, perché la resistenza è stata anche ciò, cosa che si vuole rimuovere, dimenticare o nascondere, non può che recare immensa emozione. Uomini e donne di Trieste, Monfalcone, Fiume, Ronchi, Gorizia, e delle cittadine costiere istriane hanno dato la vita, la loro vita, per costituire formazioni come la Brigata Proletaria e Delavska Enotnost-Unità Operaia che collaborarono con la resistenza jugoslava nella prospettiva della rivoluzione socialista , quella rivoluzione, osteggiata anche dalle direttive del PCI, tradita dal compromesso di cui oggi giorno noi tutti vediamo e comprendiamo il senso aspro ed acerbo.
Marco Barone