ULTIMI AVVISI 2018 sul portale di Ateneo
27 Gennaio 201925 APRILE 2005 – 60° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO
27 Gennaio 2019La storia di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d’Italia
parte 5 di 7 – torna all’indice della Storia di Ondina Peteani in sette capitoli:
Mentre i carabinieri legavano Fiori, Ondina approfittando della confusione riuscì a fuggire. Non aveva molte altre possibilità se non ritornare a Monfalcone dai Fontanot e riferire quanto era accaduto. Ma neanche Monfalcone è sicura e lo stesso Vinicio Fontanot fugge in montagna per aggregarsi ai partigiani. Si tratta di un momento difficile: la partigiana Alma Vivoda è stata uccisa in uno scontro a fuoco a Trieste alla fine di giugno.
Il cerchio si stringe anche intorno ad Ondina. Il 2 luglio la polizia politica larresta. Viene portata al carcere femminile dei “Gesuiti” e interrogata. La sua posizione è delicata e qualcuno ha parlato facendo nomi e raccontando fatti. Il carcere ospita prigioniere politiche soprattutto slovene, si fa la fame.
A salvare Ondina sono gli avvenimenti del settembre 1943. L’armistizio firmato l’8 settembre mette in subbuglio anche il Friuli Venezia Giulia. Il 9 settembre la folla libera i prigionieri dell’altro carcere triestino, quello del “Coroneo”, il giorno successivo vengono liberate anche le recluse dei “Gesuiti”. Ondina appena libera decide di unirsi ai partigiani. Ha poche scelte: è oramai conosciuta come attivista comunista e per i fascisti è una “evasa”.
La situazione politica non è affatto chiara, l’unica certezza è che i tedeschi non rimarranno con le mani in mano. Rimanere a Trieste significherebbe per lei essere ripresa e questa volta dai nazisti. Va a Villa Montevecchio presso Ranziano. Molti operai dei cantieri di Monfalcone erano fuggiti e, tutti insieme, stavano cercando di organizzare una unità di combattimento.
Ondina a questo proposito scriveva: “Da parte del comando partigiano viene impartito l’ordine a Fontanot Vinicio (Petronio) di scendere a Ronchi per reclutare largamente fra i compagni del terreno. A Selz incontra Marega Ferdinando alla testa di un nutrito gruppo di operai del cantiere che si arruolano volontari tra i partigiani. Si forma così la prima brigata partigiana italiana che assume provvisoriamente il nome di Brigata Triestina, col compito di operare principalmente nella parte più avanzata del Carso, sopra Monfalcone fino a Gorizia” (7).
Il 10 settembre per Ondina fu una giornata memorabile. Il Comitato d’Azione del cantiere di Monfalcone ha deciso: millecinquecento operai ancora con la tuta da lavoro si avviano verso Villa Montevecchio dove c’è un centro di smistamento incaricato di inquadrarli in una unità partigiana. Ondina è con loro.
Lungo la strada la colonna attacca il presidio dell’aereoporto di Ronchi e mette in fuga un corpo di guardia tedesco che sorveglia il cavalcavia. Nella notte gli operai raggiungono Villa Montevecchio. Le notizie non sono buone: i tedeschi riavutisi dalla sorpresa iniziale si avvicinano e si parla di carri armati e d’artiglieria.
In tutta fretta i nuovi arrivati vengono inquadrati in quella che provvisoriamente viene denominata “Brigata Proletaria”. Il compito che i partigiani si danno è di resistere su una linea che va da Merna a Valvocciano in modo da interrompere i rifornimenti via terra destinati ai tedeschi che combattono nei Balcani.
Il 12 settembre i tedeschi avanzano. Non è chiaro in questo momento dove sia Ondina, probabilmente nel 3° Battaglione comandato da Vinicio Fontanot che difende Monte Sagrado. I tedeschi avanzano con l’appoggio dei mezzi corazzati. La “Divisione Proletaria” regge l’urto, distrugge un carro e tre blindati, ventisei nemici rimangono uccisi. Si combatte con ferocia, i tedeschi ricorrono all’aviazione che bombarda le posizioni della “Proletaria” e verso il 21 settembre attaccano nuovamente e in forze. Il 3° Battaglione viene travolto e fatto a pezzi, gli operai continuano a combattere sin quando rimangono munizioni.
Quando i tedeschi completano lo sfondamento sul campo di battaglia rimangono i cadaveri di duecentocinquantasei operai di Monfalcone e di centonovantadue di Ronchi.
Ondina scrive nel suo diario: “Solamente pochissimi riescono a rifugiarsi sulla parte più arretrata e a porsi in salvo”, tra questi la stessa Ondina che, persi i collegamenti con il gruppo, torna verso casa.
(7) Riccardo Giacuzzo – Giacomo Scotti, Quelli della montagna. Storia del Battaglione Triestino d’Assalto, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno, 1972, p. 29.