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L’ALIMENTAZIONE
La transazione dall’antichità al medioevo si può ricondurre, per molti aspetti, ad un vasto processo di trasformazione culturale legata all’incontro-scontro tra civiltà “classica” e civiltà “barbarica”.
Da una parte la civiltà greco-romana, formatasi e cresciuta in un ambito che possiamo definire mediterraneo, dove il sistema di produzione assegnava alla cerealicoltura e all’alboricoltura (vite e ulivo) un ruolo di assoluto primo piano, affiancandogli una magra pastorizia soprattutto ovina e relegando a spazi improduttivi l’insieme dei boschi e le aree incolte. A questo sistema produttivo è conseguita un’alimentazione basata sulla triade grano, olio, vino, integrata più che dalla carne, da latticini, prima destinazione dell’allevamento ovino.
Assai diverso era il modello produttivo elaborato dalle genti germaniche e celtiche nell’area continentale dell’Europa: sistemi di vita seminomade si accompagnavano, qui, a un’economia di tipo sostanzialmente silvo-pastorale, basata sullo sfruttamento degli spazi incolti e boschivi mediante la caccia, la pesca, la raccolta e l’allevamento brado del bestiame (maiali soprattutto); la cerealicoltura era praticata scarsamente, solo in funzione alla produzione di birra e le coltivazioni orticole erano presenti nei pressi degli insediamenti
Entrambe le culture uscirono modificate da questo “incontro”: da un lato, la cerealicoltura e la viticoltura si diffusero nel Nord dell’Europa, portando a una maggiore diffusione di pane e vino; anche lovicultura prese valore, e assieme anche lolio, “nobilitato” soprattutto dall’uso liturgico che la chiesa ne faceva.
Da parte sua, il modello produttivo-alimentare germanico ebbe diffusione nelle regioni centro-meridionali dell’Europa, propagandosi con tanta maggiore intensità quanto più rapida e incisiva era l’affermazione politica e sociale di quelle popolazioni: si diffuse un atteggiamento nuovo verso quelle aree prima per lo più ignorate, boschi, paludi, ora più intensamente sfruttate, come luoghi di caccia, pesca, raccolta, ecc..
Per quanto riguarda l’allevamento, la stragrande maggioranza dei capi era costituita da maiali, pecore e capre; queste ultime erano utilizzate soprattutto come fonti di lana e latte, il maiale come animale da carne.
La carne, infatti, e il pesce assumono un’importanza nuova, così come l’orzo, lavena, il miglio, il farro, e si assiste alla decadenza del frumento, e ciò significa meno consumo di pane e largo uso di zuppe di cereali e polente; e questo in particolare tra i contadini: si considerava fortunato chi riusciva a fare due pasti al giorno , a base di zuppa di verdure al mattino( ortaggi e frutta, infatti, costituivano un importante ruolo, in quanto economici e pienamente ammessi dalla rigida moralità ecclesiastica) e di pesce alla sera, carne raramente. Infatti le scorte di frumento e di animali domestici erano molto esigue a causa delle ricorrenti razzie, distruzioni e carestie, chi possedeva mucche ne beveva il latte, mentre gli altri dovevano accontentarsi dell’acqua. Il vino e la birra abbondavano solo sulle tavole dei ricchi.
Per i potentes la prima occasione di manifestare la loro superiorità era proprio l’alimentazione: i lussuosi banchetti e l’ostentazione del cibo chiarivano la loro superiorità sociale.
La caccia era praticata da tutti, essendo mezzo di sostentamento per il contadino e motivo di svago per i signori,
Per quanto riguarda i monaci, essi mangiavano due volte al giorno, ma una volta sola nei giorni o periodi di feste importanti ( come la Quaresima o lAvvento):la proposta monastica era di individuare il segno di distinzione e di forza ( su di un piano non fisico ma spirituale ) nel fatto di mangiare poco, di macerare il corpo con il digiuno, di astenersi dal consumo di carne.
Principale alimento nei monasteri erano i legumi, soprattutto la fava, ed il pesce. La prima forma di “scomunica” per un monaco macchiato di colpa era l’esclusione dalla mensa e la dieta a base di pane e acqua.
Banchetti e cibi
Il periodo delle invasioni barbariche, dal punto di vista gastronomico, non brillò certo per raffinatezza, soprattutto se confrontata con l’elegante cultura classica . Le popolazioni germaniche si cibavano di carne quasi esclusivamente cruda, “frollata” sotto le selle delle loro cavalcature. I pochi che si preoccupavano di cuocerla utilizzavano giganteschi spiedi per arrostire qualsiasi animale commestibile. Smodatamente amanti del bere, si cibavano anche di formaggi freschi e latte inacidito.
Ma i franchi, popolo relativamente civile, erano scesi dal centro Europa con il loro gusto germanico e i loro usi gastronomici: salsicce e crauti, polentine di cereali cotte nel latte, bolliti e arrosti, idromele e birra.
Solo con l’avvento, però, di Carlo Magno, la cucina venne ad assumere un ruolo più importante e raffinato . Appaiono sui deschi le prime tovaglie: belle, grandi, che ogni commensale se ne serviva per pulirsi bocca e mani.
L’unica posata era il cucchiaio: ognuno per tagliare usava il proprio coltello personale, e gli scalchi avevano dei gran forchettoni per infilzare le vivande bollenti e tranciarle. Ci si serviva da alcuni grandi piatti comuni in mezzo alla tavola. Moglie e marito bevevano nella stessa coppa e mangiavano nello stesso piatto che poteva essere una larga fetta di pane non lievitato che poi se non era mangiato, imbevuto di tutti i sughi, si dava ai poveri o ai cani.
Come già detto, la carne più consumata era quella di maiale e spesso era conservata tramite affumicatura, insaccamento o salagione.
Il contatto con gli Arabi aveva portato in auge pepe, cannella, coriandolo e garofano, affiancati a tutte le erbe aromatiche e il garum , (salsa ricavata dal pesce, tipica della cucina classica) “ereditati” da Apicio, cuoco romano famoso per aver elaborato il primo manuale di ricette, il cui trattato era ancora ritenuto un’opera fondamentale
L’impiego di spezie era legato anche alla necessità di camuffare il sapore di cibi che spesso potevano essere in precario stato di conservazione. Anche il sale, oltre a essere indispesabile per la conservazione degli alimenti, era usato per dare sapore ai cibi, rendendoli più appetibili,ed era usato ovunque: persino nel vino e nella birra
La lista dei pani era infinita, di farro, di segale, caldi, freddi; potevano essere lievitati, azzimi, all’uovo, biscottati, al burro…
I più poveri lo confezionavano anche di castagne che intere o ridotte in farina costituivano una fonte nutrizionale non irrilevante in particolare tra le classi meno abbienti
Infine i dolci più tipici erano pasticcini al miele e frutta candita
Espressione della gerarchia sociale era , per cominciare, il posto a tavola, determinato in base all’importanza delle persone e ai loro rispettivi rapporti. La maggiore o minore vicinanza al capo implicava e significava il grado di potere del singolo, secondo un rituale più o meno formalizzato: era estremamente rigorosa l’assegnazione dei posti sia alla tavola dell’imperatore di Bisanzio, come alla tavola del re franco o longobardo che fosse.
Anche una società come quella monastica assegna i posti a tavola in base all’autorità ( qui morale e spirituale ), labate poi aveva una sua mensa, distinta da quella dei confratelli, alla quale occasionalmente poteva invitare i monaci più anziani o altri ospiti.
La Chiesa, poi, sempre più potente, esigeva dai fedeli, sotto forma di decime e imposte , quello che un tempo veniva offerto spontaneamente. L’ostacolo dellastinenza da certi cibi era aggirato ricercando il meglio da quelli permessi. Si servivano quindi soprattutto pesci con salse delicatissime, formaggi, verdure, uova cucinate in ogni modo, vino tutti i giorni.
Nei periodi di astinenza vi era un pasto unico al tramonto; gli avanzi, infine venivano benedetti e distribuiti ai poveri.
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