CORSO DI CABRI géomètre
27 Gennaio 2019Foto Spettacolo Il cantastoria
27 Gennaio 2019
recital musicale didattico del prof. Gaudio
Negli anni ’80 il rock presentava già segni di piena maturità, per non dire di vecchiaia, sotto forma di ripetizione non originale di moduli già sentiti ed elaborati nei decenni precedenti, con l’unica differenza della maggior distorsione dello strumento principe del rock: la chitarra.
In questo panorama variegato, e comunque sempre più condizionato dalle esigenze del mercato, si distinguono tre gruppi musicali, lontani per sensibilità, origini e sviluppi, ma accomunati dalla grande capacità creativa e comunicativa: parliamo dei Queen, dei Police, e degli U2.
Questi tre gruppi hanno affermato una loro originalità e identità, utilizzando del resto tutti i ritrovati tecnici e propagandistici per la produzione e diffusione delle loro canzoni.
Quattro sono le caratteristiche che accomunano questi gruppi:
1) la durata delle canzoni, spesso più lunghe dei soliti due-tre minuti o strutturate in un modo assolutamente libero dai soliti schemi (questo discorso vale soprattutto per i Queen);
2) l’impatto sonoro , potente e unito ad un ritmo coinvolgente e ad un uso creativo degli strumenti tipici del rock, come, per esempio, il basso e la batteria nei Police o la chitarra nei Queen e negli U2 (questi ultimi, poi, risentono talvolta della loro origine irlandese-celtica e sfruttano con molta suggestione il basso continuo che crea atmosfere surreali)
3) le voci acute e graffianti di Freeddie Mercury, di Sting e di Bono, dotate di un’espressività e di un’estensione vocale eccezionale (e pensare che Sting suona anche il basso mentre canta!)
4) la profondità dei testi, che spesso non sono banali e cercano di esprimere una domanda di senso attraverso il malessere e la
solitudine, che i giovani, e non solo i giovani, sperimentano nella vita di tutti i giorni. Il rock negli anni ottanta non è più musica spensierata per conquistare le ragazze e ballare in modo trasgressivo, come alle origini; diventa uno spazio di momentanea libertà dove urlare insieme a migliaia di altre persone il proprio bisogno di essere e contare qualcosa per qualcuno (i mega-concerti negli stadi ne sono un esempio);
É il contrario della spensieratezza: è una richiesta drammatica di aiuto, descritta da una musica sofferta e intensa.
SUNDAY, BLOODY SUNDAY (U2)
“Sunday, bloody Sunday circola come la canzone-manifesto del gruppo, anche in considerazione del fatto ceh verrà ripetutamente proposta in tutti i successivi concerti che dal dicembre 1982 gli U2 terranno in Inghilterra, Svezia, Danimarca, Olanda, Belgio e poi di nuovo in Irlanda. Il testo si occupa dell’uccisione da parte degli inglesi di quattordici civili al Croke Park e a Londonderry, dieci anni prima una domenica del 1972, affermando però che non si può rispondere all’odio con l’odio, alla violenza con la violenza, una posizione che non accontenta nessuna delle parti in campo . “Se questa canzone non vi piacerà, qui a Belfast, non la suoneremo mai più. E’ una promessa” dice Bono nel cuore martoriato dell’Irlanda, davanti ad una platea straripante. E’ una promessa che non dovrà mantenere, poiché Sunday, Bloody Sunday verrà richiesta e invocata all’unisono, e diventerà l’inno di una generazione, gridata o cantata a fil di voce dalla gente semplice. E non solo d’Irlanda” 1 da “U2 – studio su testi e musiche” ed.Gammalibri pag.40; 80-83. “Non posso credere alle notizie di oggi, non posso chiudere gli occhi e lasciare che tutto venga dimenticato. Per quanto, per quanto ancora continuerà questa storia? Per quanto? Stasera potremmo essere tutti uniti. Cocci di bottiglia sotto i piedi dei bimbi, cadaveri allineati in una strada senza uscita, ma non voglio farmi prendere dal richiamo della vendetta, anche se mi sento, mi sento proprio messo con le spalle al muro. Domenica, sanguinosa domenica, domenica, sanguinosa domenica. E la battaglia è appena cominciata, ci sono già molti morti, ma dimmi, chi ha vinto in realtà? Le trincee scavate nei nostri cuori e i bimbi strappati alle madri, i fratelli alle sorelle. Sì, è vero, ormai siamo indifferenti quando ciò che accade è fatto passare per un’invenzione letteraria e la TV come la vera realtà e oggi sono milioni coloro che piangono. Noi mangiamo e beviamo, mentre domani questi moriranno. La vera battaglia è appena cominciata per esigere quella vittoria che fu di Gesù in una domenica, sanguinosa domenica. Domenica,, sanguinosa domenica”.
PRIDE – IN THE NAME OF LOVE (U2)
Esce nel 1984 nell’album “Unforgettable fire” riferito al fuoco indimenticabile delle bombe atomiche esplose sul Giappone alla fine della seconda guerra mondiale.Qui gli U2 rifuggono dalle scontatezze degli amori infelici e delusioni esistenziali, ma enumerano dati di fatto di cui è necessario occuparsi. Questa canzone, per esempio, parla di Martin Luther King, il campione per antonomasia della forza interiore che si trasforma in energia carismatica, martire contemporaneo, in lotta senza quartiere con le sole armi dell’amore. La figura di King è appena accennata, verso il finale, solo intuita attraverso una data e un luogo. Prepotente emerge invece l’impronta emotiva del suo passaggio nella storia, una suggestione consolante che ha l’inequivocabile senso di una traccia.” 2 op.cit. pag.43, 96-99
“Un uomo viene nel nome dell’amore, un uomo arriva e se ne va, un uomo viene per dare un senso, un uomo, per stravolgere il mondo nel nome dell’amore. Cosa pretendere di più? Nel nome dell’amore, nel nome dell’amore un altro ancora nel nome dell’amore. Quattro aprile, mattino presto uno sparo eccheggia nel cielo di Memphis. Alla fin fine si sono sbarazzati di te, ti hanno strappato la vita, non hanno potuto prenderti l’orgoglio”.
SILVER AND GOLD (U2)
“Testimonia l’impegno del gruppo, in particolare di Bono, sempre in prima linea sul fronte delle iniziative di carattere umanitario. Bono compone questa canzone per il disco anti-apartheid Sun City, prodotto dagli Artist United Against Apartheid. 3 op.cit. pag.44
I STILL HAVEN’T FOUND WHAT I’M LOOKING FOR (U2)
Nelle civiltà arabe il deserto non rappresenta solo la geografia quotidiana di un popolo, ma l’essenza stessa della loro natura. Ed è spesso nel cuore di questo vuoto che sorge la rosa del desrto o l’albero di Joshua. Nel vuoto che si riproduce, sempre diverso e sempre simile a se stesso – come nella natura umana – svetta improvvisamente un albero che vuole significare la Speranza, il simbolo che decreta la possibiltà del seme di attecchire e radicare persino nel nulla. Cambiamentoe speranza dunque: questo è il senso dell’album The Joshua Tree del 1987, un album importantissimo, di cui una canzone significativa è “I still haven’t found what I’m looking for”. 4 op.cit.pag.45
WHERE THE STREETS HAVE NO NAME (U2)
Where the streets have no name è il brano che inaugura l’album, apoteosi del suono potente e voluttuoso degli U2, affidato alla scarna essenzialità degli strumenti principi del rock: tutto vi è reso con la massima efficacia espressiva, con richiami continui di basso e chitarra in impatto ritmico e trascinante. Il solito 4/4 sostiene un procedere regolarissimo, perfettamente misurato sugli accordi tonali, salvo in chiusura della prima strofa, elaborata con un accordo eccedente di nona. Altrettanto scarno e lineare il percorso melodico, indice della sintesi espressiva raggiunta dal gruppo; poche note, disposte per gruppi di brevi frasi, esplorano un tema monotono arricchendolo di sfumature. Di grande effetto la variazione dopo la seconda strofa. Lungo tutto il corso del brano l’energia, crepitante, è come controllata e ricondotta continuamente al punto di emissione. Il segreto della musica degli U2 è, in fondo, un po’ questo: totale abbandono alla passione, ma controllo lucido e volitivo, in continua reielaborazione dei prodotti della passione stessa, urlando il proprio disagio e la sfida a chi ascolta. 4 op.cit.pag.170-172.
WHIT OR WITHOUT YOU (U2)
“Con le sue atmosfere nitide e nello stesso tempo cupe, il brano concede ai quattro irlandesi la possibilità di esasperare il clima, attraverso un andamento sinfonico che, raggiunto il climax dopo una progressione ben calibrata, torna a placarsi, ripercorrendo il tema con brevi varianti. Come nel brano precedente, ancora in 4/4 si sviluppa sostanzialmente, dal punto di vista armonica, su un solo accordo tonale, utilizzato lungo tutto il corso dell’esecuzione con lievi varianti regolari, in particolare dettate dalla linea del basso e da vaghe tastiere. Il canto è in tono dimesso, perfettamente in tono con l’assunto del brano, storia di un amore irrealizzabile anche se desiderato”. 5 op.cit.pag.173-175
ROXANNE (POLICE)
Nel panorama punk della fine degli anni settanta spicca un gruppo che non indulge molto ai forti toni rock dell’epoca. Si tratta dei nascenti Police, formati dal batterista Stewart Copeland, amante dei ritmi sincopati del reggae, dal chitarrista Andy Summers, appassionata della musica americana degli anni sessanta e dal bassista e cantante Gordon Sumner, in bilico tra l’attività diurna di professore e quella serale di contrabbassista jazz, che adotta in modo casuale e fortunato il nome d’arte di Sting, cioé pungiglione. Dopo una lunga gavetta nei locali londinesi i tre arrivano al successo con il singolo “Roxanne” nel 1978, una bella canzone con un testo semplice e sentimentale, si lega a una melodia dolce, ma non priva di una certa tensione, una costruzione minima, molto dura, così da permettere alla mia voce di porsi in primo piano, di uscir fuori come un pugno. Il nome Roxanne è tratto dal Cyrano di Rostand. Sting ha spiegato: “Ho scritto la canzone a Parigi. Era la prima volta che ci andavamo, eravamo scesi in un pessimo hotel e c’erano prostitute per la strada. (nel Nord Europa la luce rossa segnala prostituzione)”. Continua Sting: “Non le avevo mai viste prima, in Inghilterra le prostitute non passeggiano per la strada. E rimasi profondamente commosso e colpito da queste donne che parevano tanto belle – a distanza”. A proposito di questa canzone Andy Summers riferisce un episodio interessante: “Avevamo incominciato a suonare Roxanne. Sting aveva portato soltanto le strofe e be’…, Sting lo ha sempre negato, ma io ricordo Stewart che letteralmente gli insegnava come inserire le note di basso, perché era Stewart, in quel periodo, il miglior conoscitore di reggae. Questo non per sminuire Sting, che è un musicista e un autore splendido; è solo questione d’essere in un gruppo”. 1 Paolo Bertrando “Police – Sting” pag.23,147
CAN’T STAND LOSING YOU (POLICE)
Nel primo album dei Police, “Outlands d’amour” del 1978 è l’altra canzone, oltre Roxanne, a risentire maggiormente del reggae. Nel testo si nota la ricerca ad ogni costo di un uditorio adolescente, ricalcandone fremiti e passioncelle con calcolo palese, da parte di Sting già ventisettenne. op.cit.pag.23
MESSAGE IN A BOTTLE (POLICE)
Secondo Sting, l’uso delle quinte parallele (presenti anche in Message in a bottle) deriva sì dal jazz, <<in un certo senso, ma anche dal canto gregoriano>>. 3 op.cit.pag.16 Eancora, “così Sting giustifica l’impeccabile equilibrio raggiunto dalle sue canzoni: <<Non ho una melodia iniziale su cui adatto le parole. Quel che davvero accade è che scrivo tutto insieme. C’è un momento magico in cui dalla serie di accordi, dalla progressione, all’improvviso parole e musica emergono simultaneamente. Non c’è un’altra melodia possibile per il ritornello di Message in a bottle” op.cit.pag.43
EVERY BREATH YOU TAKE (POLICE)
“Andy Summers indica il tipico procedimento di costruzione dei Police. L’esempio è quello di Every Breath You Take. <<Un accordo quasi classico dei Police è l’accordo maggiore con una nona aggiunta: un LA maggiore con un SI aggiunto, un FA # minore con un SOL# aggiunto e così via>>. Dice al proposito lostesso Sting: <<Il mio accordo di LA con aggiunta di SI è un’espansione del fondamentale riff in LA di Chuck Berry, cui la nona aggiunta dà un tono di jazz sofisticato. Porta il rock&roll in un’area leggermente più estetica>>. op.cit.pag.16 Riguardo al testo, Sting afferma: “mi piace sorprendere la gente. Per esempio, Every breath you take: un testo autenticamente insidioso vestito da canzoni d’amore. Tutti la cantavano come se parlasse d’amore. Ma è una canzone sul coontrollo e la proprietà e la sorveglianza”. op.cit.pag.148