Testo descrittivo
27 Gennaio 2019Dipinti di Antonello da Messina
27 Gennaio 2019Appunti sulla filosofia, in particolare fisica, metafisica ed etica di Aristotele, di Alissa Peron
Discepolo di Platone apparentemente ostile all’atteggiamento del maestro, solo diverso di mentalità; Platone amava dedurre la realtà dai principi, Aristotele è uno scienziato, scrive opere su tutto ciò che il mondo offre: i viventi e la natura.
Fisica
Le realtà prime per noi sono intuitive, mentre le realtà prime per sé sono oggetto della ragione.
Il filosofo deve trasformare le realtà prime per noi in realtà prime per sé, come Aristotele scrive ne primo capitolo della “Fisica”.
Il filosofo trascrive evidenze dell’esperienza in termini razionalmente coerenti.
Il suo compito è decodificare ciò che è scritto in un codice e renderlo in un altro codice, perché la natura è già scritta chiaramente, basta saperla leggere.
Sembra un problema di linguaggio, voler trasformare l’esperienza in sapere.
L’esperienza è fluida, ma è sintetica, dà subito il senso della cosa.
E’ ridicolo voler dimostrare le cose evidenti, si deve decodificare la verità dei sensi, questo è un po’ come il nesso tra pensiero e parola.
Per Aristotele la realtà è come la vedono i sensi, il filosofo dà solo dei riferimenti per tradurla.
Filosofia prima, o Metafisica
La Metafisica è, letteralmente, l’opera che viene dopo la fisica, ma significa anche “oltre” o “al di sopra” delle cose fisiche, e questo quello che ne è rimasto.
La metafisica sembra in contraddizione con lo sguardo di Aristotele sulla realtà, ma la realtà esiste solo se c’è qualcosa che va oltre la fisica.
Uno scienziato per essere tale deve studiare un oggetto esistente, poiché, perché ci sia scienza, deve esserci l’oggetto della scienza.
L’ essere
L’ essere si dice in tanti modi e tanti significati. Ci sono tanti tipi di essere, e ci sono tante scienze quante i generi dell’essere.
Esiste una sostanza della metafisica? Sì, il sovrasensibile? Aristotele dimostra che il sovrasensibile esiste.
Tutte le scienze si occupano di sostanze, cioè oggetti che permangono. Tutti gli altri modi di essere dipendono dalla sostanza, che è come il sostantivo nella grammatica. Se tutte le sostanze fossero corruttibili, non esisterebbe nulla di incorruttibile, tutto sarebbe sensibile, cioè tutto nascerebbe e morrebbe.
Tempo e movimento sono incorruttibili, il tempo non può essere generato e non si corromperà, è infinito e non sensibile e sovrasensibile; è la misura di un movimento che anch’esso è quindi sovrasensibile; il tempo non è sostanza perché è attributo di movimento, il movimento è attributo delle cose, ma, se non esistesse, nulla si muoverebbe e nulla esisterebbe.
La metafisica si occupa della causa, che non si vede, della realtà, che si vede.
Tuttavia, è necessario porre la causa sovrasensibile, perché altrimenti non si spiegherebbero il tempo e il movimento; la metafisica studia una realtà dimostrata dall’esistenza delle cose che si muovono.
Come si spiegano le cose, e quando sono comprese scientificamente? Quando se ne capisce la causa, nel senso che ci si chiede che cos’è la causa; chi cerca le cause è scienziato, chi si chiede che cos’è la causa è filosofo.
Il filosofo fabbrica gli strumenti concettuali per studiare le cose, astratti e universali; il discorso epistemologico, di ricerca, è tipico della scienza. Aristotele, quindi il filosofo, verifica questi strumenti nelle cose e in seguito li assolutizza, in questo è più simile all’uomo occidentale di oggi, rispetto a Platone.
Per Aristotele parole come causa, essere, uno, bene si possono dire in tanti modi, poi analizzando la molteplicità, lui va alla ricerca della definizione.
Modi della causa
I modi della causa sono:
- causa materiale,
- causa formale
- causa efficiente
- causa finale
Le prime due cause (materiale e formale) spiegano l’essere fermo, statico, le altre due (efficiente e finale) l’essere in moto, in movimento.
Materia e forma
Ogni cosa è fatta di materia e forma.
La materia è causa materiale, cioè ciò di cui è fatta una cosa, ad esempio il vetro, oppure l’acqua.
La forma è causa formale, cioè l’aspetto, la figura che ha una cosa, ad esempio la forma di una brocca, una brocca di vetro piena d’acqua.
Non c’è cosa che non cada sotto questi due parametri: materia e forma.
La causa efficiente è la causa che fa, o causa motrice, ad esempio un cameriere.
La causa finale è lo scopo, la direzione del movimento, ciò che attira, ad esempio versare dell’acqua da una brocca di vetro.
Mentre la causa efficiente è ciò che spinge, che agisce, la causa finale è ciò cui tende l’azione.
Aristotele privilegia la causa finale a quella efficiente, forse altri filosofi forse privilegiano la causa efficiente alla causa finale, così come sono diversi creazionismo (causa efficiente) e finalismo o teleologia (causa finale).
Per Aristotele certamente ciò che muove il mondo è la causa finale, lui si chiede dove tende la natura e la storia del mondo.
In natura tutto ciò che è mosso, è mosso da altro, non esiste cosa che abbia in sé il movimento.
Ogni cosa può essere mossa come causa efficiente o finale.
Aristotele collega l’agire umano e il movimento naturale, entrambi fanno capo alla causa finale; Aristotele quindi si interessa di eziologia, tratta di eziologia, scienza della causa.
L’aspetto rivoluzionario di Aristotele è l’osservare l’essere, e dal dato voler arrivare al concetto, trovando la scienza delle cause a partire da ciò che è causato.
Modi dell’essere
L’essere si dice in quattro modi:
- essere per sé
- essere per accidenti
- potenza-atto
- essere come vero
Qui Aristotele cataloga tutto quello che compare in natura.
“L’essere come vero” riguarda la logica.
“L’essere per sé”, o sostanza, si regge da solo, è autonomo, tra questi vi è l’uomo.
“L’essere per accidente” è, esiste “per caso”, non è necessario che sia, che esista, poiché delle cose accidentali non può esserci scienza.
Analizziamo invece il concetto di potenza e atto.
Potenza-atto
Aristotele aggiunge un significato a potenza contrapponendola all’atto.
Potenza è uguale a “poter essere”.
Si può essere due cose contemporaneamente: una in potenza, dimensione del presente, e una in atto, dimensione del futuro nell’essere.
L’uomo è un soggetto mutevole e mobile per natura; il non essere è un essere in potenza, di più dell’essere. La priorità è nell’atto, perché ci sia qualcosa in potenza deve esserci in atto.
Ogni “essere per sé”, o sostanza, è una realtà complessa:
- ha delle qualità,
- ha un volume cioè una quantità,
- un dove,
- un quando,
- un agire
- un patire,
- una relazione
- un avere
- un giacere (che ha a che fare con il luogo, cioè con il “dove”)
Queste sono le categorie, le caratteristiche dell’essere per sé o sostanza (le categorie infatti sono 10, compresa la sostanza, che è la categoria prima e più importante).
Una sostanza con tutte queste categorie generali è un individuo, un oggetto fisico, ma le categorie da sole non si trovano in natura.
Nelle categorie rientrano tutte le cose che possiamo conoscere e si sistemano automaticamente in un rapporto di analogia con la sostanza che ha la priorità.
Perché la qualità, così poco stabile, è tra le categorie? Perché la sostanza non può non avere qualità né quantità ecc…
Le categorie, in altre parole, possono variare individualmente, ma non possono non esserci.
La qualità rientra nell’ “essere per sé”, ma può essere accidentale, ed è in potenza e in atto;
Ciascun attributo dell’essere si dice della sostanza.
L’essere per sé è affetto da una o più categorie che possono essere in potenza in atto o accidentali.
Criteri per trovare la sostanza
I criteri per trovare la sostanza sono:
- 1 non si predica né inerisce ad altro;
- 2 sussiste per sé;
- 3 è individuale e determinata, non universale (qui Aristotele confuta il maestro Platone, per il quale l’idea esiste di più della cosa);
- 4 è unitaria, non un agglomerato di cose;
- 5 deve essere in atto.
La materia è sostanza in senso debole perché risponde solo al primo criterio, è ciò di cui sono fatte tutte le cose e non si predica di altro, ma non sussiste di per sé, non è determinata perché non è oggetto, e non è unitaria perché non ha forma e non è in atto.
La forma è sostanza in senso forte, è ciò che fa essere le cose quello che è.
L’organismo non è la somma delle parti, ma la sua forma è la sua anima, ciò che fa sì che una cosa sia se stessa. Aristotele, nel caso dell’organismo, chiamava la forma pneuma vitale.
La forma è l’anima delle cose che si sostengono per sé, e rispondono a tutti i criteri.
Sinolo: unione di materia e forma
Il sinolo è l’unione di un’anima con il corpo; Aristotele credeva che gli astri non avessero corpo, fossero forma pura, pura anima, ma era convinto invece che l’uomo fosse un sinolo.
Parti della Metafisica:
- ontologia, scienza dell’essere
- eziologia, scienza delle cause
- usiologia, scienza della sostanza
- teologia, scienza di Dio
La Metafisica è resa armonica di quattro scienze: eziologia, ontologia, usiologia, teologia, che in realtà formano un’unica scienza.
Teologia
Qualsiasi cosa sensibile è limitata, ma deve esistere qualcosa di illimitato, ed è il movimento
La metafisica ricerca il movimento infinito, che non è sostanziale, né stabile, ma enigmatico.
Le quattro scienze devono trovare unità perché il pensiero sia filosofico, la teologia garantisce questa unità, le altre di per sé sono tre vie aperte che non si coagulano.
I quattro significati dell’essere sono uniti in relazione analogica con la sostanza.
Perché la forma è sostanza in senso pieno? Perché è’ ciò che fa sì che le cose siano quello che sono: nelle categorie la qualità è forma, la sostanza stessa è forma, Dio è forma pura.
Forma deriva da eidos, l’idea di Platone
Per Platone l’idea-forma è il vero essere delle cose, ed è altrove.
Per Aristotele, invece, essa non è nell’iperuranio, ma la forma aristotelica è affine all’idea platonica, non è la semplice figura, ma è ciò che fa essere una cosa quella cosa, non è qualcosa che si vede, ma di più, è pensata filosoficamente.
Nella parola “forma” è implicito il concetto di persona, il logos della persona o della cosa.
Nel mondo fisico questa sostanza, che è la forma, è mescolata con la materia nel sinolo.
In effetti, si conosce qualcosa se si conosce la forma perché essa è il logos, è ciò che può uscire dalla materia, ed entrare nella nostra mente e nella nostra anima, è solo così che si coglie la sostanza delle cose.
Aristotele spiega come è fatto il mondo, e come lo si conosce, superando Platone, che aveva la necessità di postulare il mondo delle idee.
La forma non è un elemento della cosa, ma ne è la struttura, il logos, che è un’armonia.
In effetti, il movimento infinito ha bisogno di una causa, da solo non esiste, è l’epifania di una realtà infinita.
Insomma, non si vede il movimento infinito, ma se ne vedono gli effetti.
Se c’è la causa del movimento, essa è sostanza, è l’unica che esiste per sé.
Aristotele vedeva che in tutti i movimenti c’è un motore e un mosso, assioma che deriva dall’esperienza, ma così la catena di “motore” e “mosso” non finisce mai, come tra gallina e uovo.
Allora, Aristotele afferma che il primo motore (la prima “gallina” per semplificare) è immobile.
Di per sé il motore immobile non produce movimento, sarebbe una contraddizione in termini se non ci fosse differenza tra il nostro meccanicismo e l’idea aristotelica.
Noi privilegiamo la causa efficiente, mentre per lui la causa finale è primaria.
Se non si giudicano le cose in una catena causale, il motore è tale perché è immobile, ha già realizzato, è causa finale compiuta.
Si muove chi tende a qualcosa, si muove quello a cui manca qualcosa, ma a Dio non manca nulla.
La sua immobilità è il segno della perfezione e dell’atto puro.
Una cosa perfetta, in un orizzonte concepito finalisticamente, spiega tutto il moto.
Tutto si compatta attorno alla perfezione (come un magnete).
La perfezione non si vede nell’esperienza, il motore immobile è il pensiero di pensiero, il pensiero di se stesso.
Il pensiero, che è la più nobile delle cose, quando pensa se stesso diventa dio e atto puro, diventa perfetto e come causa finale attrae ogni cosa che esiste, dalle intelligenze motrici degli astri, al mondo sublunare via via sempre meno perfetto.
Dio non pensa al mondo, poiché penserebbe a qualcosa d’altro meno bello e perfetto di sé, e quindi non sarebbe infinito, ma il mondo pensa a Dio, che è l’unica cosa perfetta e tende ad esso; la causa formale del mondo è dio.
Dio è ciò che fa essere il mondo quello che è, Dio raccoglie i caratteri perfetti, la miglior parte dell’essere.
Conclusioni: il metodo aristotelico
Aristotele è un monumento al metodo. I suoi errori sono tali, proprio in ragione del sistema che ha creato e proprio per merito suo si riconoscono.
Aristotele non ha puntato sulla verità come risultato, ma come metodo, ha dato i suoi scritti e le sue regole per giudicarlo.
Aristotele si contraddice più di Platone, perché Platone esprimeva in modo quasi letterario e spesso criptico i suoi pensieri, Aristotele in modo del tutto sistematico.
Universo finalistico e non meccanicistico
Aristotele non ammette il vuoto, perché il suo universo è finalistico e nel vuoto non c’è spazio per la ragione.
Il mondo aristotelico è affascinante, poiché tutto vi avviene per qualcosa che non è ancora avvenuto, per un fine.
Questo permette una spiegazione unitaria di tutto ciò che esiste, diversamente dal mondo meccanico, in cui la causa efficiente è inospitale per l’uomo, il mondo finalistico è ospitale.
Allo stesso tempo ciò è simile a noi, nel senso che la causa finale è più in sintonia con il nostro modo di vedere le cose.
il criterio della causa efficiente è incongruo rispetto alla nostra vita. Noi pensiamo al fine delle cose, e non al meccanismo.
Così, i concetti si fondono. Anche il bene e il male stanno nel progetto, nel fine, e se viene tolto il fine, si toglie anche il bene e il male.
Il meccanicismo, invece, li elimina entrambi.
Siamo fatti per vivere secondo il fine, ma siamo sbattuti in un mondo della causa efficiente.
Aristotele aveva riunificato le parti, e aveva messo l’uomo in un mondo finalistico, mettendolo in sintonia con esso.
Etica
Aristotele inizia il discorso etico parlando del bene, proprio come concludeva Platone: il bene è ciò a cui ogni cosa tende.
Tutte le arti, le ricerche, ogni cosa tende al bene.
Gli stoici definiranno il bene ciò a cui ciascuna cosa tende.
Se ciascuna cosa tende ad un bene, dice Aristotele, ci deve essere un bene supremo.
Il filosofo usa per l’etica la stessa formula del mondo fisico, il ciclo motore-mosso.
Ma come allora, nella “Fisica”, anche nell’ “Etica” non si può arrivare all’infinito, ci vuole un fine ovvero un bene supremo, che è la felicità.
Oggi piacere e felicità sono la stessa cosa. Qui invece felicità è il fine ultimo, uno stato in cui ciascuno non desidera avere altro rispetto a ciò che ha, perfezione positiva dell’uomo, stato di quiete interiore.
Questo stato fa sì che finiscano i fini, perché non c’è più spinta alla ricerca.
Aristotele dice anche cosa non è la felicità.
La felicità non è:
- onore. L’onore non è la felicità perché dipende più da chi conferisce l’onore, che da chi lo riceve. L’onore è precario, prelude all’esaurimento, perché non dipende da noi.
- piacere. La felicità non è il piacere, perché il piacere rende simili agli schiavi, dipende da chi eroga il piacere, implica perdita di libertà.
- ricchezza. La felicità non è la ricchezza, perché è contro natura, perché la ricchezza non può essere fine, perché il denaro è strumento che di per sé non è bene e male, bene e male è come si usa.
- ideale. La felicità non può essere un ideale, cioè una cosa in potenza, altrimenti non si potrebbe essere felici.
Né le cose troppo vicine, né quelle troppo lontane possono essere felicità: onore, piacere, ricchezza, idea del bene.
Non si può spiegare cos’è una cosa astratta con un’altra cosa astratta.
Etica dell’azione
Dopo questa pars destruens, Aristotele esamina l’azione propria dell’uomo.
Essere è agire, qui prende forma l’uomo occidentale.
L’uomo perfettamente realizzato è l’uomo che perfettamente agisce, cioè la sua attività perfetta è attività di ciò che è veramente, e siccome l’uomo è veramente la sua anima razionale, si chiude il cerchio.
L’uomo virtuoso agisce secondo la sua anima razionale, è dominato e ama soprattutto l’intelletto.
La felicità non viene da fuori.
Tanto più si dipende da una felicità esterna, tanto più cresce l’angoscia dell’abbandono, si soffre sempre più di precarietà e si è esposti alla mutevolezza dei tempi.
Ogni essere ha un’opera propria.
L’opera propria dell’uomo è l’intelletto.
La felicità sta nel perfezionare ciò che ci è proprio, quindi il sapere.
Aristotele riconosce l’anima divisa in
- vegetativa (crescita dell’individuo),
- sensitiva
- e razionale
Sa però che non esiste nell’uomo sensazione avulsa dall’intelligenza, pollakos legetai come l’essere e la sostanza perché ha tante funzioni.
L’uomo cerca la perfezione delle anime sensitiva e razionale connesse, questo è un progresso rispetto a Socrate da cui era partito.
Aristotele parla di beni esteriori (ricchezza, fama e gloria) che non possono essere la felicità, ma restano beni, beni dell’anima e beni del corpo.
I beni dell’anima sono i più perfetti, ma hanno bisogno dei beni esteriori come mezzi di aiuto per la felicità.
Non si può essere felici se si fa la fine di Priamo, senza beni esteriori.
I beni naturali non sono la felicità, ma senza beni naturali non si può essere felici.
Essi sono dunque necessari, ma non sufficienti.
Non è detto che chi ha i beni naturali sia felice, ma chi è felice ce li a.
Virtù etiche e virtù dianoetiche
L’insegnamento del filosofo è utile e onesto.
L’anima sensitiva non è svincolata dalla ragione.
Ci saranno virtù che riguardano quest’anima, e sono le virtù etiche che si rappresentano mediante il concetto di abitudine e di medietà (in medio stat virtus), e si rivolgono soprattutto ai dati dei sensi.
Per Aristotele, l’abitudine porta alla virtù.
Facendo abitualmente azioni giuste, si diventa giusti, poiché è la frequenza, e non l’entità della singola azione, che fa un uomo virtuoso;
Compiendo azioni virtuose ci si forma un habitus, un modo di essere
Ad esempio, facendo azioni coraggiose, si diventa coraggiosi e così via.
In medio stat virtus
La medietà non è fissa e meccanica, ma deve essere adattata a ciascuna persona.
La medietà consiste nell’evitare l’eccesso e il difetto, ma in relazione a noi.
Medietà è diverso da mediocrità. La mediocrità è assenza di qualità.
Coraggioso ad esempio è la via di mezzo tra vile e temerario, è un coraggio consapevole, preceduto da una adeguata valutazione del rischio, e non estemporaneo, sulla base di sensazioni, di azioni e passioni.
La tavola delle virtù diventa logica.
C’è una regola o un ragionamento attraverso il quale si può personalizzare la virtù, la via di mezzo.
La via di mezzo dipende dalle mie facoltà, non c’è un codice di comportamento, ma una regola per scegliere.
Anche i ragionamenti si uniscono con le sensazioni, e formano un modo di sentire e vivere tipico dell’uomo; non può esserci incompatibilità tra sensi e ragione.
Virtù dianoetiche
Le virtù dianoetiche riguardano l’intelletto che può avere due fini:
- l’intelletto applicato alle cose del mondo
- o alle cose sovramondane metafisiche perfette.
La saggezza
Quando l’intelletto considera il mondo in cui vive, si ha la virtù della saggezza
La virtù etica (la medietà) rende retto lo scopo, la saggezza rende retti i mezzi.
Per essere virtuosi, cioè felici, bisogna essere saggi, ma per essere saggi bisogna essere virtuosi.
Si tratta di una petizione di principio, una questione insolubile, perché non ci sono i mezzi per andare nella direzione delle virtù, ovvero trovare la via di mezzo, ma è importante, perché ognuno ha virtù personali e non assolute.
Come si mette in pratica il fine da raggiungere?
Lo può dire la “figura” del saggio;
Prima o di fianco alla regola morale ci vuole un essere morale.
La saggezza è la capacità pratica di realizzare la via di mezzo, ma non può essere scritta, perché varia per ognuno, può solo essere esemplificata.
La saggezza è la ragione efficace, che rende la virtù verità, ma la morale non può prescindere dalla prassi, perché le virtù sono proprie dell’individuo.
La sapienza
La vera sapienza non è umana.
L’uomo è ciò che pensa.
Se pensa cose grandi è grande.
Dio contempla se stesso
L’uomo, il filosofo, quando contempla i principi del mondo, è uguale a dio, e non è immaginabile felicità superiore a questa.
La felicità è teoresi.
Il filosofo raccoglie nell’unico atto della contemplazione tutta la potenzialità dell’azione sua propria, quella di contemplare.
La differenza tra la felicità dell’uomo e quella di Dio non è ontologica, ma è nella sua durata.
Dio tutta la vita pensa se stesso, mentre per l’uomo, per la sua natura carnale, sono i rari momenti in cui contempla il finalismo universale che è la corsa delle cose verso la perfezione.
Partendo dall’ergon umano si arriva a una felicità non umana.
L’uomo è pacificato quando diventa come dio.
Il procedimento è lo stesso della Metafisica, dallo studio della fisicità del movimento, e della quattro cause.
Lì quel processo lo aveva portato al motore immobile, pensiero di pensiero, qui alla sapienza.
Il mondo di Aristotele è così ospitale perché la perfezione della natura corrisponde alla felicità dell’uomo, pensiero che avrà notevole influenza sulla filosofia e sulla teologia successiva.
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