Testo descrittivo
27 Gennaio 2019Dipinti di Antonello da Messina
27 Gennaio 2019
canzone, n. 270 del canzoniere di Petrarca
analisi del testo di Alissa Peron
testo
Amor, se vuo’ ch’i’torni al giogo anticho,
come par che tu mostri, un’altra prova
meravigliosa et nova,
per domar me, conventi vincer pria.
Il mio amato tesoro in terra trova,
che m’è nascosto, ond’io son sí mendico,
e ‘l cor saggio pudico,
ove suol albergar la vita mia;
et s’egli è ver che tua potentia sia
nel ciel sí grande come si ragiona,
et ne l’abisso (perché qui fra noi
quel che tu val’ et puoi,
credo che ‘l sente ogni gentil persona),
ritogli a Morte quel ch’ella n’à tolto,
et ripon’ le tue insegne nel bel volto.
Riponi entro ‘l bel viso il vivo lume
ch’era mia scorta, et la soave fiamma
ch’anchor, lasso, m’infiamma
essendo spenta: or che fea dunque ardendo?
E’ non si vide mai cervo né damma
con tal desio cercar fonte né fiume,
qual io il dolce costume
onde ò già molto amaro; et più n’attendo,
se ben me stesso et mia vaghezza intendo,
che mi fa vaneggiar sol del pensero,
et gire in parte ove la strada manca,
et co la mente stanca
cosa seguir che mai giugner non spero.
Or al tuo richiamar venir non degno,
ché segnoria non ài fuor del tuo regno.
Fammi sentir de quell’aura gentile
di for, sí come dentro anchor si sente;
la qual era possente,
cantando, d’acquetar li sdegni et l’ire,
di serenar la tempestosa mente
et sgombrar d’ogni nebbia oscura et vile,
ed alzava il mio stile
sovra di sé, dove or non poria gire.
Aguaglia la speranza col desire;
et poi che l’alma è in sua ragion più forte,
rendi agli occhi, agli orecchi il proprio obgetto,
senza qual imperfetto
è lor oprare, e ‘l mio vivere è morte.
Indarno or sovra me tua forza adopre,
mentre ‘l mio primo amor terra ricopre.
Fa ch’io riveggia il bel guardo, ch’un sole
fu sopra ‘l ghiaccio ond’io solea gir carco;
fa’ ch’i’ ti trovi al varco,
onde senza tornar passò ‘l mio core;
prendi i dorati strali, et prendi l’arco,
et facciamisi udir, sí come sòle,
col suon de le parole
ne le quali io imparai che cosa è amore;
movi la lingua, ov’erano a tutt’ore
disposti gli ami ov’io fui preso, et l’ésca
ch’i’ bramo sempre; e i tuoi lacci nascondi
fra i capei crespi et biondi,
ché il mio voler altrove non s’invesca;
spargi co le tue man’ le chiome al vento,
ivi mi lega, et puo’ mi far contento.
Dal laccio d’òr non sia mai chi me scioglia,
negletto ad arte, e ‘nnanellato et hirto,
né de l’ardente spirto
de la sua vista dolcemente acerba,
la qual dí et notte più che lauro o mirto
tenea in me verde l’amorosa voglia,
quando si veste et spoglia
di fronde il bosco, et la campagna d’erba.
Ma poi che Morte è stata sí superba
che spezzò il nodo ond’io temea scampare,
né trovar pôi, quantunque gira il mondo,
di che ordischi ‘l secondo,
che giova, Amor, tuoi ingegni ritentare?
Passata è la stagion, perduto ài l’arme,
di ch’io tremava: ormai che puoi tu farme?
L’arme tue furon gli occhi, onde l’accese
saette uscivan d’invisibil foco,
et ragion temean poco,
ché ‘ncontra ‘l ciel non val difesa humana;
il pensar e ‘l tacer, il riso e ‘l gioco,
l’abito honesto e ‘l ragionar cortese,
le parole che ‘ntese
avrian fatto gentil d’alma villana,
l’angelica sembianza, humile et piana,
ch’or quinci or quindi udia tanto lodarsi;
e ‘l sedere et lo star, che spesso altrui
poser in dubbio a cui
devesse il pregio di più laude darsi.
Con quest’arme vincevi ogni cor duro:
or se’ tu disarmato; i’ son securo.
Gli animi ch’al tuo regno il cielo inchina
leghi ora in uno et ora in altro modo;
ma me sol ad un nodo
legar potêi, ché ‘l ciel di più non volse.
Quel’uno è rotto; e ‘n libertà non godo
ma piango et grido: “Ahi nobil pellegrina,
qual sententia divina
me legò inanzi, et te prima disciolse?
Dio, che sí tosto al mondo ti ritolse,
ne mostrò tanta et sí alta virtute
solo per infiammar nostro desio”.
Certo ormai non tem’io,
Amor, de la tua man nove ferute;
indarno tendi l’arco, a voito scocchi;
sua virtú cadde al chiuder de’ begli occhi.
Morte m’à sciolto, Amor, d’ogni tua legge:
quella che fu mia donna al ciel è gita,
lasciando trista et libera mia vita.
analisi
Componimento 270: è solenne dal punto di vista formale, la terza canzone della seconda parte: una sfida che l’amante lancia ad Amore perché rimetta in gioco in ogni parte l’oggetto ormai perduto; potrebbe essere definito un planctus ma dialettico, come un patteggiamento con la realtà difficile da interpretare per i commentatori: potrebbe significare la rinascita di un amore nuovo e diverso, ma si dice che è impossibile ogni rinascita. Il componimento potrebbe risalire al 1349 circa. Metro: canzone di endecasillabi e settenari. Anche qui il poeta è grato alla donna per averlo rifiutato perché in questo modo egli ha innalzato per lei canti immortali ed ha dimostrato saggezza e virtus. Richiami consistenti alla vita nuova di Dante, i segni d’amore sono le insegne d’amore che in Dante appaiono sul viso della donna. Le coblas sono capfinidas (fine prima riponi, inizio seconda riponi); è un modo antico caratteristico della poesia duecentesca ormai passato di moda, che qui Petrarca recupera per dare solennità. Compare l’immagine dell’aura gentile, il nome della doona che si dissolve nella natura e rasserenava la mente del poeta. Esercitava anche la funzione di innalzare lo stile di scrittura del poeta, egli raggiunge grazie ad Amore-Laura uno stile che va al di là delle sue forze ed ora egli non può più pervenire a quei vertici. Petrarca riprende il ditta dentro di Dante e lo colora in modo differente. Primo amore: per Dante Cavalcanti è il primo amico ovvero il più alto, così questo primo amore, l’amore vero, valore del termine nell’italiano antico. La stanza successiva contiene invocazioni ad Amore, c’è la riflessione sugli occhi, si riprende e amplifica quanto annunciato nella stanza precedente. Lo sguardo della donna era come un sole che scioglie il ghiaccio che si addensa attorno al cuore del poeta. Il varco è lo sguardo, il luogo del passaggio di Amore (3 di lacrime son fatti uscio e varco), già nella poesia cortese dagli occhi si attiva la fenomenologia amorosa. Passare qui è nello stesso ambito metaforico del varco, nella tradizione stilnovistica equivale a trafiggere (cavalcanti); il procedere qui non è meno ineluttabile ma perde la crudezza cavalcantiana, e mentre in Cavalcanti ha come unico esito l’amore disperato, qui l’amore che pure fa soffrire il poeta fa innalzare il suo stile; qui siamo più vicini alla scelta di Dante. Udire: fammi ora udire lo scoccare dell’arco come prima si udiva il suono delle parole di Laura dalle quali egli imparò cosa fosse amore; vuole udire il suono della freccia unito alle parole. Il desiderio del poeta non può farsi invischiare in altro luogo fuori della rete dei capelli di Laura dove si nasconde Amore. E’ evocato il movimento delle chiome al vento che diventano lacci che imprigionano il poeta e fanno la sua felicità. Nella stanza seguente il poeta rivendica la sua libertà nei confronti di Amore, ormai che tutto questo è accaduto le sue armi sono spuntate. Non potrà essere sciolto dai lacci dei capelli d’oro artisticamente spettinati e nessuno lo può liberare dall’ardente spirito della sua vista dolce e acerba ad un tempo. L’affanno del poeta è senza requie come nella sestina 22, non muore mai come il lauro e il mirto piante sempreverdi e simboli della gloria poetica. Con altre immagini il poeta afferma il permanere del suo amore, unisce e supera i topoi: dì e notte, in primavera e in autunno Amore è sempre presente; la tradizione lirica successiva riprenderà questi motivi inventati da Petrarca che agita siciliani Dante e stilnovo in uno sheker e versa il cocktail nuovo della sua lirica. La morte ha sciolto il nodo da cui vuole liberarsi ma teme di liberarsi, tanto che non troverai per quanto sia grande il mondo da dove si possa intrecciare un altro nodo pari al primo; non serve che Amore metta in campo i suoi marchingegni, tenda lacciuoli, perché quel nodo da cui Petrarca fu avvinto non può essere riprodotto. Stagione dell’amore: la giovinezza, ormai passata. Le armi di Amore erano gli occhi della donna che lo facevano tremare ma ora sono spenti e Amore non può più agire su di lui. Variatio rispetto a Cavalcanti per cui dal varco degli occhi uscivano saette infuocate che ferivano l’animo del poeta, che poi è la norma: non sappiamo se Petrarca pensasse a Cavalcanti. Al poeta serve riprendere queste armi per dire che ormai tutto è vinto e lui può stare immune dalle ferite: l’amore che provoca negli amanti cavalcantiani autodistruzione e sofferenza qui ha il risultato contrario, Amore è privato delle armi perché è venuto a mancare l’oggetto dell’amore. Quelle armi non permettevano di essere governate da ragione, in Cavalcanti la dicotomia amore-ragione è insanabile; qui per Petrarca le armi non potevano essere tenute a freno dalla ragione, nessuna difesa umana può contrastare ciò che vuole il cielo, cioè i fata latini. Qui c’è contrasto con Dante per il quale la ragione agisce con la fede e la forza che le assegna diventa strumento di conoscenza che non agisce da solo; in Petrarca non c’è l’aggancio metafisico, la difesa umana non vale contro il cielo. Nel canzoniere non ci sono molti rumori, l’immagine della donna amata emerge nel silenzio, si sente solo la voce del poeta. Ragionar cortese: si oppone a villano che ricorre subito dopo, quelle parole avrebbero trasformato in nobile un’animo villano. La descrizione parte dagli astratti, aspetti disincarnati, pensare e tacere, riso e gioco, abito onesto e ragionar cortese, e poi l’angelica sembianza di ascendenza cavalcantiana. C’è un incipit di Dante da Maiano vicinissimo a questo verso: angelica figura umìle e piana, quasi come Petrarca. Ci sono elementi di tradizione arcaicizzante in questa stanza più che nelle altre, Petrarca nelle scelte stilistiche sottolinea una situazione retrospettiva rispetto all’innamoramento stilnovistico: sono elementi che precedono la rivoluzione di Dante e che pochi seguirono. Or quinci or quindi: Leopardi sottolinea l’imprecisione dell’indicazione spaziale, proprio della scrittura petrarchesca, si sentiva lodare ovunque senza definire il luogo. Sentirsi lodare: ogni espressione è nuova ed è antica, recupera Tanto gentile e ricarica l’espressione di significati nuovi. Nella stanza che precede il congedo c’è il senso ultimo del pensiero espresso in questa canzone. Parola chiave è legare, ritorna più volte come la parola nodo (il sonetto 271 inizia con l’ardente nodo). In uno e in altro modo, secondo i lacci delle combinazioni amorose. C’è qui e torna nel congedo il senso di una libertà negativa: il cielo non volle che il poeta fosse legato da altri amori ed egli ne piange. Sententia divina: volere divino. Il congedo di tre versi è rivolto ad Amore: la funzione della morte che ha sciolto il nodo è in apparenza positiva ma ha lasciato il poeta in una vita libera ma triste anche se la sua donna è salita al cielo. Dunque non un amore nuovo, ma la fine di ogni amore; viene meno il giogo d’amore ma compare la tristezza della perdita; quello che ha legato il poeta non è uno dei tanti nodi ma l’unico nodo possibile.