Testo descrittivo
27 Gennaio 2019Dipinti di Antonello da Messina
27 Gennaio 2019di Alissa Peron
Classicista è Pietro Giordani, Leopardi è più vicino alla corrente classicistica che a quella romantica, classicista è Monti limitatamente alla produzione poetica. Il classicismo si propone di abbracciare la lingua letteraria tradizionale vagliandola secondo un principio di armonia ed equilibrio, parole cardine di letteratura ed arti figurative, specialmente scultura. Il riferimento principe dell’Ottocento classicistico nel lessico è il Trecento fiorentino, considerato fondamento della lingua letteraria ma depurato dalle parole troppo arcaiche, siamo lontani da una prospettiva puristica: si distingue ciò che della tradizione è ancora vivo e ciò che non è più utilizzabile. Nella sintassi i classicisti rifiutano la prosa boccacciana e preboccacciana, dunque sia la prosa latineggiante e sbilanciata a sinistra di Boccaccio, sia quella anacolutica e semplice basata sulla paratassi del Novellino, di tipo accumulatorio. I modelli si ricercano nel Cinquecento e nel Seicento, nei prosatori come Bembo e in quelli che si distaccano da Boccaccio, che cercano di scrivere in una prosa complessa, sorvegliata, eletta ma con lo sforzo di riuscire naturale e non artefatta come quella boccacciana: Aretino, Caro, Bartoli. Del resto quello che informa il classicismo del primo Ottocento è l’ideale greco molto più di quello latino, e viene variamente interpretato: Monti fa spesso ricorso a composti grecizzanti nella sua poesia definita neoclassica, cosa che non avviene nella prosa che si rifà all’aureo Trecento. L’ideale greco viene declinato nella prosa specialmente nella sintassi, con un tendere alla semplicità, ovvero a quel lavoro estremamente raffinato che deve apparire naturale. E’ marcata l’opposizione alle posizioni dell’Accademia della Crusca, opposizione sia teorica sia pratica, perché la Crusca si chiude su un’esaltazione del Trecento purché sia, senza vaglio.
Si possono associare alle caratteristiche del mondo romantico alcuni aspetti di sintassi e lessico: forte inclinazione al patetismo e al titanismo, l’eroe solo che si batte contro la società (Jacopo Ortis di Foscolo ma attenzione), ed immagini lacrimevoli, patetiche. Rappresentante tipico di questa corrente patetico-titanica è Guerrazzi, dittatore della Repubblica di Firenze del 1849, autore che ebbe grandissimo successo con romanzi: La battaglia di Benevento, l’Assedio di Firenze; altro esponente è Antonio Bresciani, autore del primo romanzo a puntate in Italia. Dal punto di vista ideologico le due personalità sono distanti: il primo è fervente democratico, il secondo un cattolico reazionario, che nel suo primo romanzo stigmatizza la crudeltà delle società segrete. I due autori sono accomunati da tratti lessicali: ricorso insistito all’aulicismo per portare la prosa sul Titano; la sintassi è fortemente oratoria, magniloquente, a tratti pomposa (vedi passi specifici). Elemento del romanticismo è il riferimento al popolo e alla storia, vale più che per Manzoni per i manzoniani come Tommaso Grossi (nel Marco Visconti); quest’attenzione si manifesta in modi differenti: ricerca di una sintassi colloquiale (dislocazioni a sinistra, dislocazioni a destra, temi sospesi), utilizzo di regionalismi nel lessico (i manzoniani che hanno in mente la ventisettana usano colloquialismi in gran copia, fame da lupo).
Tutti i letterati dell’Ottocento si trovano di fronte alla necessità di creare dal nulla quella lingua che negli altri paesi europei esisteva da tempo; per la maggior parte dunque non sono ascrivibili ad una categoria. Nello stesso Niccolò Tommaseo si coniugano la passione per i toscanismi e una sintassi moderna, molto giocata sullo stile nominale; temperie ancora diversa dai due casi prima citati. A complicare le cose stanno le differenze ideologiche, nella grande maggioranza i romantici sono antinapoleonici, per quel periodo egli era continuatore del laicismo e degli ideali della Rivoluzione francese e del razionalismo; i classicisti non utilizzano locuzioni francesi ma sono più vicini agli illuministi. Si aggiunge poi il problema del purismo, indirizzo che non dà frutti dal punto di vista artistico, Cesari e Puoti furono letterati meno che mediocri, ma tutti i nostri prosatori dovettero fare i conti con le teorie puriste strettamente linguistiche. Costoro non si caratterizzano per ideologia: Antonio Cesari prete cattolico, Basilio Puoti nobiluomo napoletano. Il purismo si rivela come antifrancesismo dal punto di vista lessicale, per contrastare il profluvio di francesismi entrati nell’italiano a tutti i livelli (mod, amministrazione, scienze) e opposizione alla sintassi francese, lo stile spezzato, prosa molto semplice e con molti periodi monoproposizionali e che tralascia connettivi e nessi logici. La resistenza ai francesismi viene effettuata tramite il riferimento acritico e completo alla prosa trecentesca, accettata in tutti i suoi esiti da quelli artistici a quelli pratici. Antonio Cesari abate veronese rielabora il vocabolario della Crusca (Crusca veronese), opera lessicografica imponente criticata da molte parti (1806-1811), e il vocabolario fu utilizzato da Manzoni per quella che diventerà la ventisettana; altra opera teorica celebre è la dissertazione sullo stato presente della lingua italiana del 1809, dove scrive “tutti in quel benedetto tempo del 1300 parlavano e scrivevano bene”, dai letterati ai semianalfabeti. Non tutti avevano una posizione così netta e radicale, il marchese Basilio Puoti, maestro di Francesco de Sanctis, o Carlo Botta (che scrive la storia degli Stati Uniti con una lingua di cinque secoli prima) adottano una prosa più cinquecentesca.
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