Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso
27 Luglio 2019A te nostro Padre
27 Luglio 2019Una signora mi ha detto che quanto accaduto in quel liceo, durante quella gita, è esageratamente folkloristico, inopportunamente sbandierato, negligentemente punitivo, perché a suo modo di vedere ci sono stati eccessi mediatici e di comunicazione in riferimento a un episodio che non è poi così grave.
Non è successo nulla di eclatante, più semplicemente una goliardata, una presa in giro, né più né meno di un gioco. Una ragazzata come tante altre, una ragazzata come quelle che si fanno dalla notte dei tempi, una ragazzata da non prendere troppo sul serio, proprio per non farla diventare un caso che poi rischia d’esser irresponsabilmente replicato.
Prima di risponderle ho davvero contato fino a dieci, per non incorrere in un surplus inadeguato di aggettivi e sostantivi di vecchio e nuovo conio.
Ho sempre pensato che i nostri figli rappresentano quel che noi siamo come adulti e dunque anche come non volutamente maturi, dentro una sorta di antitesi al nostro ruolo genitoriale, di educatori, formatori.
A tal proposito mi è sufficiente pensare con non meno intensità al cane ferocemente asociale e pirla, semplicemente perché il padrone è un indicibile pirla per giunta patentato.
Un adolescente afferrato, denudato, depilato a forza, caramellato come un cono gelato, messo alla berlina, denigrato, costretto a sottomettersi con la violenza, fino a considerarlo un oggetto, una cosa, uno spazio di divertimento, dove per qualche momento è rimasta sospesa la libertà di ognuno e di ciascuno, nonché il rispetto dovuto alla stessa vita umana.
Domando a questa signora scandalizzata dalla punizione troppo pesante esplicitata dal Preside, se questo atto di persecuzione messo in pratica dai coetanei, a mio modo di vedere, giustamente sospesi, può davvero essere ritenuto un innocente momento ricreativo, un’opportunità di svago?
Oppure usare la violenza verso un compagno ritenuto sfigato, drammaticamente innocente, è invece un atto prettamente bullistico, un atteggiamento-comportamento che scaturisce dalla “quotidiana anormalità” dei rapporti tra le persone, delle relazioni vissute in contrordine, bellamente in ribellione con quella linea mediana a volte banale e sonnolenta che però risulta essere un vero e proprio salvavita.
La signora dallo sguardo perentorio mi risponde senza troppi dubbi al seguito: sono giovanissimi che hanno messo in scena teatralmente una bischerata.
No, signora mia, non è una ragazzata, e, c’è di peggio, predisporsi alla sbrigativa delegittimante assoluzione, ricorrendo alle solite giustificazioni, nelle reiterate arringhe da genitori presi in contropiede, disperatamente alla ricerca di sempre nuovi e attrezzatissimi laboratori dove si costruiscono sfavillanti attenuanti pronte per l’uso.
Un adolescente messo sotto brutalmente dal branco, spogliato, costretto a diventare una caricatura di se stesso per il piacere dei commensali convenuti al banchetto degli imbecilli, non ritengo possa esser un’architettura adolescenziale sgangherata a tal punto da indurre a ridimensionarla a un fotogramma di simpatica comicità, perché non lo è affatto.
E’violenza messa in scena nei “consueti” canali mediatici molto in voga tra gli adolescenti, significando che lo strumento della violenza è percepito come un gioco, dunque anche il sopruso, la prepotenza, lo scherno ripetuto fino a scarnificarne la dignità, pubblicando le immagini tramite la messaggistica istantanea per sublimarne l’evento.
E’scuola dell’umiliazione, della sevizia che procede spedita in barba alle emozioni, ai valori, alla cultura del rispetto dell’altro che non può e non deve venire meno.
Cara signora le auguro che suo figlio non incolga mai in qualche innocente scherzetto-dolcetto come lo ha definito e maldestramente sminuito lei, neppure le auguro l’incontro con la sofferenza per un dolore così profondo, confido piuttosto nel suo istinto di madre attenta e sensibile, madre che educa, che tira fuori “insieme” il meglio dal proprio figlio, madre che non difende l’indifendibile, perché quanto accaduto a quel ragazzo è segnale verticale e orizzontale da non percepire con indifferenza, affinché domani non risulti suo figlio a dover subire i morsi di quelle “ragazzate” come le ha erroneamente chiamate lei.