Il mio nome e’ Asher Lev di Chaim Potok
28 Dicembre 2019L’uomo col problema di Donald Honig
28 Dicembre 2019La abilità riconosciuta a Flannery O’Connor di creare personaggi complessi e multiformi è una delle ragioni per cui è considerata una delle più grandi scrittrici del XX secolo.
Alcuni dei suoi caratteri più distintivi includono:
- Le nonne: Le nonne in molte delle sue storie, come quella in “Un brav’uomo è difficile da trovare”, sono figure complesse che possono sembrare stereotipate all’inizio ma che alla fine dimostrano di avere molte sfumature. Spesso rappresentano la tradizione, la moralità convenzionale e la superficialità, ma vengono anche confrontate con la loro stessa ipocrisia e mancanza di compassione.
- Personaggi bizzarri e eccentrici: O’Connor è nota per i suoi personaggi eccentrici e bizzarri che popolano le sue storie, come il Misfit in “Un brav’uomo è difficile da trovare” o il protagonista deformato in “Il violino di Gehenna”. Questi personaggi spesso rappresentano il lato oscuro e distorto dell’umanità, ma possono anche essere veicoli per la redenzione o la rivelazione.
- Cristiani devoti: Molti dei personaggi di O’Connor sono devoti cristiani che cercano di vivere secondo i dettami della loro fede, anche se spesso falliscono nel farlo. Questi personaggi possono essere sia fonte di ispirazione che di critica, poiché O’Connor esplora le loro contraddizioni e ipocrisie.
- Personaggi violenti o disfunzionali: O’Connor spesso presenta personaggi violenti, disturbati o disfunzionali che incarnano il male o la depravazione umana. Tuttavia, anche questi personaggi possono essere soggetti alla grazia divina e alla redenzione, sebbene in modi imprevedibili e sorprendenti.
Questi sono solo alcuni esempi dei caratteri originali che popolano le storie di Flannery O’Connor.
“Credo di avere una lesione interna,” annunciò la nonna, ma nessuno le rispose. Bailey batteva i denti. Portava una camicia sportiva gialla con pappagalli azzurro vivo e aveva la faccia gialla come la camicia. La nonna decise di non accennare al fatto che la villa era nel Tennessee.
La strada li sovrastava di circa tre metri e riuscivano a vedere solo le cime degli alberi, sul lato opposto. Dietro il fosso in cui sedevano c’era un altro bosco, alto buio e profondo. Poco dopo, scorsero, a una certa distanza, in cima a una collina, una macchina che avanzava lentamente, come se i passeggeri li stessero osservando. La nonna si alzò e agitò le braccia con aria drammatica, per attirare l’attenzione. La macchina continuò ad avanzare lentamente, sparì dietro una curva e riapparve, muovendosi ancora più adagio, sulla cima della collina dalla quale si erano ribaltati. Era una grossa automobile nera e malandata che sembrava un carro funebre. Dentro c’erano tre uomini.
Si arrestò proprio sopra di loro e, per qualche minuto, l’uomo al volante guardò giù, dov’erano seduti, con occhio fermo e inespressivo senza parlare. Poi si voltò e mormorò qualcosa agli altri due, che smontarono. Uno era un ragazzo grasso, in pantaloni neri e maglietta rossa, con uno stallone d’argenti in rilievo sul petto. Si portò sulla destra del gruppo e rimase a guardarlo con la bocca semiaperta in una specie di ghigno molle. L’altro aveva i calzoni color cachi, la giacca blu a righe e un cappello grigio, calcato al massimo, che gli nascondeva gran parte del viso. Si portò lentamente sulla sinistra. Nessuno dei due aprì bocca.
Il guidatore scese dall’auto e rimase lì accanto a guardar giù. Era più vecchio degli altri. Aveva dei fili grigi nei capelli e portava un paio di occhiali montati in argento che gli davano un’aria da professore. Aveva il viso lungo, segnato e non portava né camicia né canottiera. Indossava un paio di blu-jeans troppo stretti e aveva in mano un cappello nero e una pistola. Anche i due ragazzi erano armati di pistola.
“Abbiamo avuto un incidente!” strillarono i bambini.
La nonna aveva la curiosa sensazione che l’uomo occhialuto fosse qualcuno di sua conoscenza. Il viso le era familiare, come se l’avesse visto per tutta la vita, ma non riusciva a ricordare chi fosse. L’uomo si staccò dall’automobile e cominciò a scendere per la scarpata, appoggiando i piedi con precauzione, per non scivolare. Portava un paio di scarpe bianche e marrone, senza calzini, e aveva le caviglie esili e rosse.
“Buona sera,” disse. “Avete fatto una piccola capriola, a quanto vedo.” “Ci siamo ribaltati due volte!” esclamò la nonna.
“Una volta,” corresse l’uomo. “Abbiamo visto la scena. Hiram, prova la loro macchina e guarda se va,” ordinò, tranquillo, al ragazzo dal cappello grigio.
“Perché hai quella pistola?” domandò John Wesley. “Che cosa vuoi fare con quella pistola?”. “Signora,” disse l’uomo alla madre dei bambini, “le dispiacerebbe chiamare i suoi figli e farseli sedere accanto? I bambini mi rendono nervoso. Voglio che vi sediate tutti assieme, lì, dove siete.”
“Chi sei, tu, per dare degli ordini a noi?” reclamò June Star.
Dietro di loro, la linea dei boschi si spalancava come una bocca buia. “Venite qui,” chiamò la madre dei bambini.
“Sentite,” saltò su Bailey, all’improvviso. “Siamo in un guaio tremendo… Siamo…”
La nonna lanciò un urlo acuto. Si tirò in piedi e rimase immobile, con gli occhi sgranati. “Lei è il Balordo!” gridò. “L’ho riconosciuto subito!”.
“Sissignora,” rispose l’uomo, con un lieve sorriso, come se, suo malgrado, essere una figura nota lo lusingasse. “Però, sarebbe stato meglio per tutti voi se non mi avesse riconosciuto, signora.”
Bailey girò il capo di scatto e disse a sua madre qualcosa che scandalizzò perfino i bambini. La vecchia signora si mise a piangere e il Balordo arrossì.
“Non se la prenda, signora,” la confortò. “A volte, un uomo dice cose che non pensa. Io non credo che lui pensasse quello che le ha detto.”
“Lei non ucciderebbe una signora, vero?” domandò la nonna e, sfilando un fazzoletto pulito dal polsino, cominciò a picchiettarselo sugli occhi.
Il Balordo affondò la punta d’una scarpa in terra e fece un piccolo buco, poi lo ricoprì. “Mi dispiacerebbe molto, se ci fossi costretto.”
“Senta…” La nonna quasi gridava. “Io so che lei è un brav’uomo! Si vede che non ha una goccia di sangue plebeo! Io so che lei è di buona famiglia!”
“Sissignora, la miglior famiglia del mondo.” Quando sorrideva, il Balordo mostrava una fila di denti bianchi e forti. “Dio non ha mai creato una donna migliore di mia madre, e mio padre aveva un cuore d’oro.” Il ragazzo in maglietta rossa era andato a mettersi dietro il gruppo e se ne stava immobile, con la pistola sull’anca. Il Balordo si accovacciò per terra. “Sta’ attento ai bambini, Bobby Lee,” ordinò. “Sai che mi rendono nervoso.” Guardò il sestetto raggruppato disordinatamente davanti a lui e parve in imbarazzo, come se non gli venisse in mente nulla da dire. “Non c’è una nube in, in cielo,” osservò, alzando gli occhi. “Sole non ce n’è, ma nemmeno nuvole.”
“Sì, è una bella giornata,” convenne la nonna. “Senta,” aggiunse, “non dovrebbe farsi chiamare il Balordo perché io so che lei è un brav’uomo, in fondo al cuore. Mi basta guardarla.”
“Zitta!” urlò Bailey. “Zitta! Fate silenzio tutti e lasciate che m’incarichi io di questa faccenda!” Stava rannicchiato, nella posizione d’un corridore pronto a scattare, ma non si mosse.
“Molto obbligato, signora,” disse il Balordo, e disegnò un piccolo cerchio per terra, col calcio della pistola.
“Ci vorrà mezz’ora, per aggiustare quella macchina!” gridò Hiram, alzando gli occhi dal cofano aperto.
“Be’, intanto tu e Bobby Lee prendete lui e il bambino e portateli laggiù,” ordinò il Balordo, indicando Bailey e John Wesley. “I ragazzi vogliono domandarvi qualcosa,” spiegò a Bailey. “Vi dispiacerebbe seguirli nel bosco?”
“Sentite,” cominciò Bailey. “Siamo in un guaio spaventoso! Nessuno se ne rende conto!” La voce gli si spezzò e rimase perfettamente immobile. Aveva gli occhi azzurri e intensi come i pappagalli della camicia.
La nonna fece per sistemarsi il cappello, come se avesse dovuto accompagnarli nel bosco, ma l’ala le rimase in mano. La fissò per un attimo, poi la lasciò scivolare a terra. Hiram fece alzare Bailey sostenendolo per un braccio, come se aiutasse un vecchio. John Wesley prese per mano il padre e Bobby Lee li seguì. S’incamminarono verso il bosco e quando ne raggiunsero il margine buio Bailey si voltò, reggendosi al tronco grigio e nudo di un pino, e gridò: “Torno fra un minuto, mamma, aspettami!”
“Torna immediatamente!” chiamò lei, con voce stridula, ma tutti e quattro sparirono nel bosco.
“Bailey, figlio mio!” gridò la nonna, con voce tragica, ma s’accorse di star guardando il Balordo, accoccolato per terra davanti a lei. “Io so che lei è un brav’uomo!” riattaccò, disperatamente. “Lei è tutt’altro che plebeo!”
“Nossignora, non sono un brav’uomo,” ribatté lui, dopo un attimo, come se avesse vagliato attentamente l’affermazione. “Però, non sono neanche il peggior uomo della terra. Mio padre diceva che ero di una razza di cani diversa dai miei fratelli e dalle mie sorelle. ‘Sapete,’ diceva mio padre, ‘c’è gente che può vivere tutta la vita senza domandarsi chi è, e altri che devono sapere tutti i perché e i percome. E questo ragazzo è un tipo così. Vorrà sapere tutto!’” Si mise il cappello nero e alzò lo sguardo, all’improvviso, poi l’affondò tra gli alberi, come se fosse di nuovo imbarazzato. “Mi dispiace di esser senza camicia davanti a due signore,” disse, curvando le spalle. “Abbiamo seppellito gli abiti che avevamo addosso, quando siamo evasi, e dobbiamo arrangiarci finché non troviamo qualcosa di meglio. Questa roba l’abbiamo presa a prestito da certa gente che abbiamo incontrato.”
“Niente di male,” lo rassicurò la nonna. “Forse Bailey ha una camicia di ricambio, in valigia.” “Tra un momento vado a vedere.”
“Dove lo portano?” domandò la madre dei bambini.
“Anche mio padre era un bel tipo,” continuò il Balordo. “Nessuno riusciva a fargliela in barba. Però non ha mai avuto noie con le autorità. Sapeva prenderle.”
“Anche lei potrebbe essere onesto, se solo ci provasse,” disse la nonna. “Pensi come sarebbe bello sistemarsi e vivere con tutti i comodi, senza il pensiero che qualcuno le dà la caccia giorno e notte.”
Il Balordo continuò a grattare la terra col calcio della pistola, come se stesse pensandoci sopra. “Eh, sì, signora. C’è sempre qualcuno che ci corre dietro,” mormorò.
La nonna si accorse di quanto erano fragili le sue scapole, subito sotto il cappello, perché stava in piedi e lo guardava dall’alto. “Lei prega, qualche volta?” domandò.
Il Balordo scosse la testa. Tutto quel che lei vide fu il cappello che oscillava tra le scapole. “Nossignora.”
Dal bosco, venne un colpo di pistola, seguito quasi subito da un altro. Poi il silenzio. La vecchia signora girò la testa di scatto. Sentiva il vento muoversi fra le cime degli alberi come un lungo respiro soddisfatto. “Bailey, figlio mio!” chiamò.
“Per un certo tempo, ho fatto il cantante,” disse il Balordo. “Ho fatto praticamente di tutto. Ho fatto il soldato per mare e per terra, in patria e all’estero; mi sono sposato due volte; ho fatto il becchino e il ferroviere; ho arato la Madre Terra; sono stato preso in un tornado e, una volta, ho visto bruciare vivo un uomo.” E alzò gli occhi sulla madre dei bambini e su June Star che sedevano molto vicine, con la faccia bianca e gli occhi vitrei. “Ho visto anche frustare a sangue una donna.”
“Preghi, preghi,” disse la nonna. “Preghi, preghi…”
“Non sono mai stato cattivo, da ragazzo, a quanto ricordo,” continuò il Balordo, con voce quasi sognante. “Ma a un certo punto, ho fatto qualcosa che non dovevo fare e sono finito al penitenziario. Mi hanno sepolto vivo.” Alzò gli occhi e agganciò l’attenzione della nonna con uno sguardo tenace.
“E’ allora, che avrebbe dovuto mettersi a pregare,” disse lei. “Cos’ha fatto, per finire al penitenziario quella prima volta?”
“Ti volti a destra c’è un muro,” disse il Balordo, alzando gli occhi verso il cielo senza nubi. “Ti volti a sinistra e c’è un muro. Guardi giù, e c’è il pavimento; guardi su, e c’è il soffitto. Ho dimenticato quel che ho fatto, signora. Me ne stavo là, seduto, per ore e giorni, cercando di ricordare che cos’avevo fatto, e a tutt’oggi non me ne ricordo. Ogni tanto mi pareva che mi tornasse in mente, e invece no.”
“Forse l’hanno messa in prigione per sbaglio,” disse la nonna, con aria vaga.
“Nossignora, non è stato uno sbaglio. Avevano le carte.”
“Avrà rubato qualcosa.”
Il Balordo fece una risatina di scherno. “Nessuno aveva niente che volessi,” affermò. “Un dottore del cervello, al penitenziario, diceva che avevo ammazzato il mio papà, ma io so che è una bugia. Il mio papà è morto nel ’19 di spagnola, e io non ci sono entrato per nulla. L’hanno sepolto al cimitero battista di Mount Hopewell; potete andare a controllare con i vostri occhi.”
“Se pregasse, Gesù l’aiuterebbe,” assicurò la vecchia signora.
“E’ vero,” convenne il Balordo.
“Allora perché non prega?” domandò lei, con un improvviso tremito di gioia.
“Non ho bisogno di aiuto. Me la cavo benissimo da me.”
Hiram e Bobby Lee tornarono dal bosco a passo lento. Bobby Lee si tirava dietro una camicia gialla con pappagalli azzurro vivo.
“Gettami quella camicia, Bobby Lee,” ordinò il Balordo. La camicia arrivò in volo, planandogli su una spalla, e lui l’indossò. La nonna non riusciva a capire che cosa le ricordasse quella camicia. “Nossignora,” continuò il Balordo, mentre si abbottonava. “Io ho scoperto che il delitto, in sé, non conta. Puoi fare una cosa come un’altra, uccidere un uomo o rubargli un copertone della macchina, tanto, presto o tardi, te ne dimentichi, ti prendono e amen.”
La madre dei bambini aveva cominciato a emettere dei suoni strozzati, come se le mancasse il respiro. “Signora, non vuole andare laggiù con la bambina, a raggiungere suo marito, insieme a Hiram e Bobby Lee?” domandò il Balordo.
Sì. Grazie,” rispose lei, debolmente. Il braccio sinistro le pendeva inerte, e col destro reggeva il pupo, che si era addormentato.
“Aiuta la signora ad alzarsi, Hiram,” ordinò il Balordo, mentre la donna si affannava ad uscire dal fosso. “E… Bobby Lee, tu prendi per mano la bambina.”
“Non voglio andare per mano con lui,” protestò June Star. “Sembra un maiale.”
Il ragazzo grasso scoppiò a ridere e arrossì, poi prese la bambina per un braccio e la trascinò nel bosco, dietro a Hiram e alla madre.
Sola con il Balordo, la nonna scoprì di aver perduto la voce. In cielo non c’erano né sole né nubi. Intorno a lei c’erano soltanto boschi. Voleva spiegare al Balordo che doveva pregare, ma aprì e chiuse la bocca molte volte, prima che ne uscisse qualche suono. Finalmente si ritrovò a dire: “Gesù, Gesù,” intendendo: “Gesù vi aiuterà”, ma, da come lo diceva, sembrava che bestemmiasse.
“Sissignora,” rispose il Balordo, come se fosse d’accordo. “Gesù ha mandato tutto a gambe all’aria. E’ stato lo stesso, per Lui e per me, solo che Lui non aveva commesso delitti e invece hanno potuto provare che io ne avevo commesso uno, perché avevano le carte. Naturalmente,” proseguì, “a me le carte non le hanno mai fatte vedere. Ecco perché firmo io, adesso. Mi sono detto, molto tempo fa: studiati una firma, poi firma tutto quello che fai e tienine copia. Allora saprai cos’hai fatto e potrai confrontare il delitto col castigo e vedere se si compensano… E alla fine avrai qualcosa in mano per dimostrare che non ti hanno trattato con giustizia. Ho preso il nome di Balordo perché non riesco e far tornare il conto del male che ho fatto e di quello che ho patito per scontarlo.”
Dal bosco venne un grido lacerante, subito seguito da un colpo di pistola.
“Vi sembra giusto, signora, che un uomo sia castigato senza pietà e un altro non sia castigato per niente?”
“Gesù!” gridò la nonna. “Lei ha buon sangue! Io so che non ucciderebbe mai una signora! Io so che è di buona famiglia. Preghi! Gesù! Non deve sparare a una signora. Le darò tutti i soldi che ho!”.
“Signora,” sospirò il Balordo, guardando oltre la nonna, lontano, nel bosco. “Non c’è mai stato un morto che abbia dato la mancia al becchino.”
Si udirono altri due colpi e la nonna alzò la testa, come una vecchia tacchina assetata che reclama acqua, e gridò: “Bailey, figlio mio! Bailey, figlio mio!” come le si spezzasse il cuore. “Gesù è stato l’unico a risuscitare i morti,” riprese il Balordo. “E non avrebbe dovuto farlo. Ha mandato tutto a gambe all’aria. Se ha fatto quel che ha detto, allora non ci resta che gettar tutto e seguirlo; se non l’ha fatto, allora non ci resta che goderci meglio che possiamo i pochi minuti che ci avanzano: uccidendo qualcuno, bruciandogli la casa o facendogli qualche altra cattiveria. Non c’è piacere al di fuori della cattiveria,” affermò, e la sua voce divenne quasi un ringhio.
“Forse non ha risuscitato i morti,” borbottò la vecchia signora, senza sapere quel che diceva, e le venne un tale capogiro che piombò nel fosso con le gambe ripiegate malamente sotto di sé.
“Io non c’ero, quindi non posso dire se l’ha fatto o no,” rimuginò il Balordo. “E vorrei esserci stato,” continuò, battendo il pugno per terra. “Non è giusto, che non ci fossi, perché se fossi stato là avrei saputo. Senta, signora,” disse con voce acuta, “se ci fossi stato, avrei saputo la verità e non sarei come sono adesso.” La voce del Balordo sembrò sul punto di spezzarsi e per un attimo la mente della nonna si schiarì. Vide la faccia dell’uomo accanto alla sua, contratta, come se stesse per piangere, e mormorò: “Ma tu sei uno dei miei bambini. Sei una delle mie creature!” Allungò la mano e gli toccò la spalla. Il Balordo scattò all’indietro come se l’avesse morsicato un serpente, e le sparò tre volte, trapassandole il petto. Poi depose la pistola, si levò gli occhiali e si mise a pulirli.
Hiram e Bobby Lee tornarono dal bosco e rimasero in riva al fosso a guardare la nonna, mezzo seduta e mezzo riversa in una pozza di sangue, con le gambe incrociate sotto il corpo come un bambino e il viso sorridente rivolto al cielo terso.
Senza lenti, gli occhi del Balordo erano orlati di rosso, pallidi e indifesi. “Portatela via e gettatela dove avete gettato gli altri,” ordinò, prendendo per il collo il gatto che gli si strofinava contro una gamba.
“Che lingua lunga, eh?” osservò Bobby Lee, lasciandosi scivolare nel fosso come uno yodel. “Sarebbe stata una buona donna, se quand’era viva le avessero sparato ogni cinque minuti.” “Sai che divertimento!” rise Bobby Lee.
“Zitto, Bobby Lee,” lo redarguì il Balordo. “Non c’è vero piacere nella vita.”
Quando la signora Hopewell diceva alla signora Freeman che la vita era così, la signora Freeman rispondeva: “L’ho sempre detto anch’io”. Nessuno era arrivato a nulla che non fosse stato prima raggiunto da lei. Era più veloce del signor Freeman. Quando la signora Hopewell le aveva detto, dopo che erano stati sul posto per un po’: “Sai, sei tu la ruota dietro al volante”, e aveva strizzato l’occhio, la signora Freeman aveva detto: “Lo so. Sono sempre stato veloce. Alcuni sono più veloci degli altri.”
“Ognuno è diverso”, ha detto la signora Hopewell.
“Sì, la maggior parte delle persone lo è”, ha detto la signora Freeman.
“Ci vogliono tutti i tipi per creare il mondo.”
«L’ho sempre detto anch’io.»
La ragazza era abituata a questo genere di dialoghi a colazione e soprattutto a cena; a volte lo mangiavano anche a cena. Quando non avevano ospiti mangiavano in cucina perché era più facile. La signora Freeman sempre
riuscì ad arrivare ad un certo punto durante il pasto e a vederli finirlo. Se era estate stava sulla soglia, ma d’inverno stava con un gomito sopra il frigorifero e li guardava, oppure stava accanto alla stufa a gas, sollevando leggermente la parte posteriore della gonna. Di tanto in tanto si metteva contro il muro e girava la testa da un lato all’altro. In nessun momento ha avuto fretta di andarsene. Tutto questo metteva a dura prova la signora Hopewell, ma lei era una donna di grande pazienza. Si rese conto che niente è perfetto e che tra i Freeman c’erano dei bravi contadini e che se, al giorno d’oggi, trovi dei bravi contadini, è meglio tenerteli stretti.
Aveva molta esperienza con la spazzatura. Prima dei Freeman aveva in media una famiglia di inquilini all’anno. Le mogli di questi contadini non erano il tipo di tipo con cui vorresti stare accanto a te per molto tempo. La signora Hopewell, che aveva divorziato dal marito molto tempo prima, aveva bisogno di qualcuno che camminasse con lei nei campi; e quando Joy doveva essere impressionata per questi servizi, i suoi commenti erano di solito così brutti e il suo viso così cupo che la signora Hopewell diceva: “Se non puoi venire gentilmente, non ti voglio affatto”, al che la ragazza, in piedi con le spalle rigide e il collo leggermente proteso in avanti, rispondeva: “Se mi vuoi, eccomi qui, COME SONO”. La signora Hopewell giustificò questo atteggiamento a causa della gamba (che era stata amputata in un incidente di caccia quando Joy aveva dieci anni). Era difficile per la signora Hopewell rendersi conto che sua figlia aveva ormai trentadue anni e che da più di vent’anni aveva una gamba sola. La pensava ancora da bambina perché le straziava il cuore pensare invece alla povera ragazza robusta sulla trentina che non aveva mai ballato un passo né si era mai divertita normalmente. Il suo nome in realtà era Joy ma appena ventunenne e lontana da casa se lo era fatto cambiare legalmente. La signora Hopewell era certa di aver pensato e pensato finché non si era imbattuta nel nome più brutto di qualsiasi lingua. Poi se n’era andata e aveva cambiato il bellissimo nome, Joy, senza dirlo a sua madre se non dopo averlo fatto. Il suo nome legale era Hulga. Quando la signora Hopewell pensò al nome, Hulga, pensò all’ampio scafo nudo di una corazzata. Non lo userebbe. Continuava a chiamarla Joy al che la ragazza rispondeva ma in modo puramente meccanico. Hulga aveva imparato a tollerare la signora Freeman che la salvava dal fare passeggiate con sua madre. Anche Glynese e Carramae erano utili quando occupavano l’attenzione che altrimenti sarebbe stata rivolta a lei.
All’inizio aveva pensato di non poter sopportare la signora Freeman perché aveva scoperto che non era possibile essere scortese con lei. La signora Freeman nutriva strani risentimenti e per giorni interi restava imbronciata, ma la fonte del suo dispiacere era sempre oscura; un attacco diretto, uno sguardo positivo, una palese bruttezza sul suo viso: tutto questo non l’ha mai toccata. E un giorno, senza preavviso, iniziò a chiamarla Hulga.
Non la chiamava così davanti alla signora Hopewell che si sarebbe infuriata ma quando lei e la ragazza si trovavano fuori casa insieme, diceva qualcosa e aggiungeva alla fine il nome Hulga, e il grande Joy-Hulga dagli occhiali si accigliava e arrossiva come se la sua privacy fosse stata violata. Considerava il nome una sua questione personale. All’inizio ci era arrivata semplicemente basandosi sul suo brutto suono e poi l’aveva colpita tutta la genialità della sua idoneità. Ebbe una visione del nome che funzionava come il brutto Vulcaniano sudato che stava nella fornace e dal quale, presumibilmente, la dea doveva venire quando veniva chiamata. Lo vedeva come il nome del suo atto creativo più alto. Uno dei suoi maggiori trionfi era che sua madre non era riuscita a trasformare la sua polvere in Joy, ma il più grande era che era riuscita lei stessa a trasformarla in Hulga. Tuttavia, il piacere della signora Freeman nell’usare quel nome la irritava solo. Era come se gli occhi piccoli e appuntiti della signora Freeman fossero penetrati abbastanza in profondità dietro il suo viso da raggiungere qualche fatto segreto. Qualcosa in lei sembrava affascinare la signora Freeman e poi un giorno Hulga si rese conto che si trattava della gamba artificiale. La signora Freeman aveva una predilezione speciale per i dettagli di infezioni segrete, deformità nascoste, aggressioni ai bambini. Tra le malattie preferiva quelle persistenti o incurabili. Hulga aveva sentito la signora Hopewell raccontarle i dettagli dell’incidente di caccia, di come la gamba fosse stata letteralmente fatta saltare in aria e di come lei non avesse mai perso conoscenza. La signora Freeman poteva ascoltarlo in qualsiasi momento come se fosse successo un’ora prima.
Quando Hulga entrava in cucina la mattina (poteva camminare senza fare quel rumore terribile ma lo fece – la signora Hopewell ne era certa – perché aveva un suono brutto), li guardò e non parlò. La signora Hopewell indossava il suo kimono rosso con i capelli legati intorno alla testa a stracci. Lei era seduta al tavolo, stava finendo la colazione e la signora Freeman era appesa per il gomito fuori dal frigorifero, guardando il tavolo. Hulga metteva sempre a bollire le uova sul fornello e poi si metteva sopra di loro con le braccia conserte, e la signora Hopewell la guardava – una specie di sguardo indiretto diviso tra lei e la signora Freeman – e pensava che se solo avesse potuto tieniti un po’ sveglia, non sarebbe poi così brutta. Non c’era niente di sbagliato nel suo viso che un’espressione piacevole non avrebbe aiutato. La signora Hopewell diceva che le persone che vedono il lato positivo delle cose sarebbero belle anche se non lo fossero.
Ogni volta che guardava Joy in questo modo, non poteva fare a meno di pensare che sarebbe stato meglio se la bambina non avesse preso il dottorato. Di certo non l’aveva tirata fuori e ora che ce l’aveva, non aveva più scuse per andare di nuovo a scuola. La signora Hopewell pensava che fosse carino per le ragazze andare a scuola per divertirsi, ma Joy ce l’aveva fatta. In ogni caso, non sarebbe stata abbastanza forte per ripartire. I medici avevano detto alla signora Hopewell che, con le migliori cure, Joy avrebbe potuto raggiungere i quarantacinque anni. Aveva un cuore debole. Joy le aveva fatto capire chiaramente che, se non fosse stato per quella condizione, sarebbe stata lontana da quelle colline rosse e dalla brava gente di campagna. Sarebbe stata in una conferenza universitaria a persone che sapevano di cosa stava parlando. E la signora Hopewell poteva benissimo immaginarsela qui lì, con l’aspetto di uno spaventapasseri e mentre tiene lezioni a più di lui. Qui andava in giro tutto il giorno con una gonna di sei anni e una felpa gialla con sopra un cowboy sbiadito a cavallo. Pensava che fosse divertente; La signora Hopewell pensò che fosse un’idiozia e dimostrò semplicemente che era ancora una bambina. Era brillante ma non aveva un briciolo di buon senso. Alla signora Hopewell sembrava che ogni anno diventasse sempre meno simile alle altre persone e sempre più simile a se stessa: gonfia, scortese e strabica. E ha detto cose così strane! Alla propria madre aveva detto – senza preavviso, senza scuse, alzandosi nel bel mezzo di un pasto con la faccia paonazza e la bocca mezza piena – “Donna! Ti guardi mai dentro? Ti capita mai di guardarti dentro e vedere ciò che non sei? Dio!” aveva esclamato ricadendo e fissando il piatto: «Malebranche aveva ragione: non siamo la nostra luce. Non siamo la nostra luce!” La signora Hopewell fino ad oggi non aveva idea di cosa lo avesse causato. Aveva solo fatto l’osservazione, sperando che Joy lo capisse, che un sorriso non ferisce mai nessuno. La ragazza aveva conseguito il dottorato di ricerca. in filosofia e questo lasciò la signora Hopewell completamente persa. Potresti dire: “Mia figlia è un’infermiera”, oppure “Mia figlia è un’insegnante di scuola” o anche “Mia figlia è un ingegnere chimico”. Non potresti dire: “Mia figlia è una filosofa”. Era qualcosa che era finito con i Greci e i Romani. Per tutto il giorno Joy rimase seduta sul collo su una sedia profonda, a leggere. A volte andava a fare delle passeggiate ma non le piacevano i cani, i gatti, gli uccelli, i fiori, la natura e i ragazzi simpatici. Guardava i bravi giovani come se potesse fiutare la loro stupidità.
Un giorno la signora Hopewell prese uno dei libri che la ragazza aveva appena posato e, aprendolo a caso, lesse: “La scienza, d’altra parte, deve affermare di nuovo la sua sobrietà e serietà e dichiarare che si occupa esclusivamente di con ciò che è. Niente: come può essere per la scienza altro che un orrore e un’illusione? Se la scienza ha ragione, una cosa resta ferma: la scienza non vuole sapere nulla del nulla. Dopotutto questo è l’approccio strettamente scientifico al Nulla. Lo conosciamo non volendo sapere nulla del Nulla”. Queste parole erano state sottolineate con una matita blu e funzionavano sulla signora Hopewell come un malvagio incantesimo in parole senza senso. Chiuse velocemente il libro e uscì dalla stanza come se avesse i brividi.
Stamattina, quando è arrivata la ragazza, la signora Freeman era a Carramae. “Ha vomitato quattro volte dopo cena”, disse, “e si è alzata di notte dopo le tre. Ieri non ha fatto altro che divagare nel cassetto del comò. Tutto quello che ha fatto. Stai lassù e vedi su cosa potrebbe incappare. ”
“Deve mangiare”, mormorò la signora Hopewell, sorseggiando il caffè, mentre guardava Joy dietro ai fornelli. Si chiedeva cosa avesse detto il bambino al venditore di Bibbia. Non riusciva a immaginare che tipo di conversazione avrebbe potuto avere con lui.
Era un giovane alto e magro, senza cappello, che aveva chiamato il giorno prima per vendere loro una Bibbia. Si era presentato sulla porta portando con sé una grande valigia nera che lo appesantiva così tanto da un lato che dovette appoggiarsi alla porta di fronte. Sembrava sul punto di crollare ma disse con voce allegra: “Buongiorno, signora Cedars!” e posai la valigia sul tappetino. Non era però un giovane di brutto aspetto indossava un abito blu brillante e calzini gialli che non erano tirati abbastanza su. Aveva ossa del viso prominenti e una striscia di capelli castani dall’aspetto appiccicoso che gli ricadeva sulla fronte.
“Sono la signora Hopewell”, ha detto.
“OH!” disse, fingendo di sembrare perplesso ma con gli occhi scintillanti, “Ho visto la scritta ‘The Cedars’ sulla cassetta della posta, quindi ho pensato che fossi la signora Cedars!” e scoppiò in una simpatica risata. Prese la borsa e, coperto da un pantalone, cadde in avanti nel corridoio. Era come se la valigia si fosse mossa per prima, trascinandolo dietro. “Sig.ra. Speriamo bene!” disse e le prese la mano. “Spero che tu stia bene!” e rise ancora, e poi all’improvviso il suo viso si fece serio. Fece una pausa, le rivolse uno sguardo serio e disse: “Signora, sono venuto per parlare di cose serie”.
“Bene, entra”, mormorò, per niente contenta perché la sua cena era quasi pronta. Entrò nel salotto, si sedette sull’orlo di una sedia dritta, si mise la valigia tra i piedi e si guardò intorno come per valutarla. L’argenteria luccicava sulle due credenze; decise che non era mai stato in una stanza elegante come quella. “Sig.ra. Hopewell”, iniziò, usando il suo nome in un modo che suonava quasi intimo, “so che credi nel servizio cristiano”.
«Ebbene sì», mormorò.
“Lo so”, disse e fece una pausa, con un’aria molto saggia con la testa inclinata da un lato, “che sei una brava donna. Me lo hanno detto gli amici”.
Alla signora Hopewell non è mai piaciuto essere presa in giro. “Cosa stai vendendo?” lei chiese.
“Bibbie”, disse il giovane e il suo sguardo corse per la stanza prima di aggiungere: “Vedo che non hai la Bibbia di famiglia nel tuo salotto, vedo che è l’unica mancanza che ti manca!”
La signora Hopewell non poteva dire: “Mia figlia è atea e non mi lascia tenere la Bibbia in salotto”. Lei disse, irrigidendosi leggermente: “Tengo la Bibbia accanto al letto”. Questa non era la verità. Era da qualche parte in soffitta.
“Signora”, disse, “la parola di Dio dovrebbe essere nel parlatorio”.
“Beh, penso che sia una questione di gusti”, iniziò, “penso che…”
“Signora”, disse, “per un cristiano, la parola di Dio dovrebbe essere in ogni stanza della casa oltre che nel suo cuore. So che sei cristiano perché posso vederlo in ogni linea del tuo viso.
Lei si alzò e disse: “Ebbene, giovanotto, non voglio comprare una Bibbia e sento odore di cena che brucia”.
Non si è alzato. Iniziò a torcere le mani e, guardandole, disse piano: “Bene signora, le dirò la verità: non molte persone vogliono comprarne una al giorno d’oggi e inoltre so di essere davvero semplice. Non so come dire una cosa se non dirla. Sono solo un ragazzo di campagna. Alzò lo sguardo verso il suo volto ostile. “Alla gente come te non piace scherzare con la gente di campagna come me!”
“Perché!” esclamò, “la brava gente di campagna è il sale della terra! Inoltre, ognuno di noi ha modi diversi di agire, ce ne vogliono di tutti i tipi per far girare il mondo. È la vita!”
“Hai detto un boccone”, ha detto.
“Perché, penso che non ci siano abbastanza bravi contadini al mondo!” disse, agitata. “Penso che sia questo il problema!”
Il suo viso si era illuminato. “Non mi sono introdotto”, ha detto. “Sono Manley Pointer, vengo dalla campagna intorno a Willohobie, nemmeno da un posto, solo da vicino a un posto.”
“Aspetta un attimo”, disse. «Devo occuparmi della cena.» Uscì in cucina e trovò Joy in piedi vicino alla porta da dove aveva ascoltato.
“Liberiamoci del sale della terra”, disse, “e mangiamo”.
La signora Hopewell le rivolse uno sguardo addolorato e abbassò il fuoco sotto le verdure. “Non posso essere scortese con nessuno”, mormorò e tornò in salotto.
Aveva aperto la valigia e sedeva con una Bibbia su ogni ginocchio. “Apprezzo la tua onestà”, ha detto. “Non vedi più persone vere e oneste a meno che non vai in campagna.”
“Lo so”, ha detto, “gente vera e genuina!” Attraverso la fessura della porta sentì un gemito.
“Immagino che molti ragazzi vengano a dirti che stanno studiando per frequentare il college”, ha detto, “ma non te lo dirò. In qualche modo”, ha detto, “non voglio andare al college. Voglio dedicare la mia vita al servizio cristiano. Vedi”, disse, abbassando la voce, “ho questo problema al cuore. Potrei non vivere a lungo. Quando sai che c’è qualcosa che non va in te e che potresti non vivere a lungo, beh, allora, signora…” Fece una pausa, con la bocca aperta, e la fissò.
Lui e Joy avevano la stessa condizione! Sapeva che i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime, ma si riprese subito e mormorò: “Non rimani a cena? Ci piacerebbe averti!” e se ne dispiacque nell’istante in cui si sentì dirlo.
“Sì, mamma”, disse con voce imbarazzata. “Mi piacerebbe farlo!”
Joy gli aveva lanciato uno sguardo quando gli era stato presentato e poi durante il pasto non lo aveva più guardato. Le aveva rivolto diversi commenti, che lei aveva fatto finta di non sentire. La signora Hopewell non riusciva a comprendere la deliberata maleducazione, anche se conviveva con essa, e sentiva di dover sempre traboccare di ospitalità per compensare la mancanza di cortesia di Joy. Lo ha esortato a parlare di sé e lui lo ha fatto. Disse che era il settimo figlio di dodici anni e che suo padre era rimasto schiacciato sotto un albero quando lui stesso aveva otto anni. Era rimasto schiacciato malissimo, quasi tagliato in due ed era praticamente irriconoscibile. Sua madre se la cavava come meglio poteva lavorando sodo e aveva sempre fatto in modo che i suoi figli andassero alla scuola domenicale e leggessero la Bibbia ogni sera. Adesso aveva diciannove anni e vendeva Bibbie da quattro mesi. In quel periodo aveva venduto settantasette Bibbie e aveva la promessa di altre due vendite. Voleva diventare missionario perché pensava che quello fosse il modo in cui si poteva fare di più per le persone. “Chi ha perso la vita la ritroverà”, disse semplicemente ed era così sincero, così genuino e serio che la signora Hopewell non avrebbe sorriso per nulla al mondo. Evitò che i suoi piselli scivolassero sul tavolo bloccandoli con un pezzo di pane con cui poi pulì il piatto. Poteva vedere Joy osservare di traverso come maneggiava coltello e forchetta e vide anche che ogni pochi minuti il ragazzo lanciava uno sguardo acuto e valutativo alla ragazza, come se stesse cercando di attirare la sua attenzione. Dopo cena Joy tolse i piatti dal tavolo e scomparve e la signora Hopewell rimase a parlare con lui. Le raccontò ancora della sua infanzia, dell’incidente di suo padre e di varie cose che gli erano successe. Ogni cinque minuti circa soffocava uno sbadiglio. Rimase seduto per due ore finché alla fine lei gli disse che doveva andare perché aveva un appuntamento in città. Prese le sue Bibbie, la ringraziò e si preparò ad andarsene, ma sulla soglia si fermò, le strinse la mano e disse che in nessuno dei suoi viaggi aveva incontrato una signora gentile come lei e le chiese se poteva tornare. Aveva detto che sarebbe stata sempre felice di vederlo. Joy era rimasta sulla strada, apparentemente guardando qualcosa in lontananza, quando lui scese i gradini verso di lei, piegato di lato con la sua pesante valigia. Si fermò dove lei si trovava e la affrontò direttamente. La signora Hopewell non riusciva a sentire quello che diceva, ma tremava al pensiero di cosa gli avrebbe detto Joy. Vide che dopo un minuto Joy disse qualcosa e che poi il ragazzo riprese a parlare, facendo un gesto concitato con la mano libera. Dopo un minuto Joy disse qualcos’altro e il ragazzo riprese a parlare. Poi, con suo grande stupore, la signora Hopewell li vide allontanarsi insieme, verso il cancello. Joy aveva camminato con lui fino al cancello e la signora Hopewell non poteva immaginare cosa si fossero detti, e non aveva ancora osato chiederlo. La signora Freeman insisteva per attirare la sua attenzione. Si era spostata dal frigorifero alla stufa, tanto che la signora Hopewell dovette voltarsi e guardarla per sembrare in ascolto. «Glynese è uscita di nuovo con Harvey Hill ieri sera» disse. “Aveva questo orzaiolo.” “Hill”, disse distrattamente la signora Hopewell, “è quello che lavora nel garage?”
“No, è lui che frequenta la scuola di chiropratico”, ha detto la signora Freeman. «Aveva questo orzaiolo. Ce l’ho da due giorni. Così lei dice che quando l’ha portata qui l’altra sera lui ha detto: “Lasciami liberare di quel porcile per te”, e lei ha detto: “Come?” e lui ha detto: “Sdraiati sul sedile di quella macchina e…” Te lo faccio vedere.” Così lo fece e lui le staccò il collo. Ha continuato a farlo scoppiare più volte finché lei non lo ha fatto smettere. Stamattina”, disse la signora Freeman, “non ha l’orzaiolo. Non ha tracce di orzaiolo.»
“Non ne avevo mai sentito parlare prima”, ha detto la signora Hopewell.
“Le ha chiesto di sposarlo davanti all’Ordinario”, continuò la signora Freeman, “e lei gli ha detto che non si sarebbe sposata in nessun ufficio.”
“Bene, Glynese è una brava ragazza”, disse la signora Hopewell. «Glynese e Carramae sono entrambe brave ragazze.»
“Carramae ha detto che quando lei e Lyman si sono sposati, Lyman ha detto che sicuramente gli sembrava sacro. Ha detto che lui ha detto che non avrebbe accettato cinquecento dollari per essere sposato con un predicatore.
“Quanto prenderebbe?” chiese la ragazza dalla stufa.
“Ha detto che non avrebbe accettato cinquecento dollari”, ripeté la signora Freeman.
“Bene, abbiamo tutti del lavoro da fare”, ha detto la signora Hopewell.
“Lyman ha detto che gli sembrava semplicemente più sacro”, ha detto la signora Freeman. “Il dottore vuole che Carramae mangi le prugne. Dice invece di medicina. Dice che i crampi derivano dalla pressione. Sai dove penso che sia?”
“Starà meglio tra qualche settimana”, ha detto la signora Hopewell.
“Nella metropolitana”, disse la signora Freeman. “Altrimenti non sarebbe malata come è.”
Hulga aveva rotto le sue due uova in un piattino e le stava portando in tavola insieme ad una tazza di caffè che aveva riempito troppo. Si sedette con cautela e cominciò a mangiare, con l’intenzione di trattenere lì la signora Freeman per chiederle se per qualsiasi motivo avesse mostrato intenzione di andarsene. Poteva percepire lo sguardo di sua madre su di lei. La prima domanda indiretta avrebbe riguardato il venditore di Bibbia e lei non voleva parlarne. “Come le ha spezzato il collo?” lei chiese.
La signora Freeman iniziò a descrivere come le aveva spezzato il collo. Ha detto che possedeva una Mercury del ’55, ma che Glynese ha detto che avrebbe preferito sposare un uomo con solo una Plymouth del ’36 che sarebbe stato sposato da un predicatore. La ragazza gli chiese se avesse avuto una Plymouth del ’32 e la signora Freeman disse che quella che Glynese aveva detto era una Plymouth del ’36. La signora Hopewell ha detto che non c’erano molte ragazze con il buon senso di Glynese. Ha detto che ciò che ammirava in quelle ragazze era il loro buon senso. Ha detto che questo le ha ricordato che ieri avevano ricevuto una bella visita, un giovane che vendeva Bibbie. “Signore”, disse, “mi annoiava a morte ma era così sincero e genuino che non potevo essere scortese con lui. Era semplicemente una brava gente di campagna, sai”, disse, “… proprio il sale della terra.”
“L’ho visto avvicinarsi”, disse la signora Freeman, “e poi più tardi… l’ho visto andarsene”, e Hulga poteva sentire il leggero cambiamento nella sua voce, la leggera insinuazione, che non se n’era andato da solo, se avesse ? Il suo viso rimase inespressivo ma il colore le salì sul collo e sembrò inghiottirlo con la successiva cucchiaiata di uovo. La signora Freeman la guardava come se avessero un segreto insieme.
“Beh, ci vogliono tutti i tipi di persone per far girare il mondo”, ha detto la signora Hopewell. “È un bene che non siamo tutti uguali.”
“Alcune persone sono più simili di altre”, ha detto la signora Freeman.
Hulga si alzò e, facendo circa il doppio del rumore necessario, entrò nella sua stanza e chiuse a chiave la porta. Doveva incontrare il venditore di Bibbie alle dieci al cancello. Ci aveva pensato metà della notte. Aveva iniziato a considerarlo un grande scherzo e poi aveva cominciato a vederne profonde implicazioni. Era rimasta a letto immaginando per loro dialoghi che erano folli in superficie ma che raggiungevano profondità di cui nessun venditore di Bibbia sarebbe stato a conoscenza. La loro conversazione ieri era stata di questo tipo.
Si era fermato davanti a lei ed era semplicemente rimasto lì. Il suo viso era ossuto, sudato e luminoso, con un piccolo naso a punta al centro, e il suo aspetto era diverso da quello che era a tavola. La guardava con aperta curiosità, affascinato, come un bambino che guarda un nuovo fantastico animale allo zoo, e respirava come se avesse corso una grande distanza per raggiungerla. Il suo sguardo sembrava in qualche modo familiare, ma lei non riusciva a pensare a dove l’avessero vista prima. Per quasi un minuto non disse nulla. Poi, in quella che sembrò un’aspirazione, sussurrò: “Hai mai mangiato un pollo vecchio di due giorni?”
La ragazza lo guardò impassibile. Potrebbe aver semplicemente posto la questione all’esame della riunione di un’associazione filosofica. “Sì”, rispose subito lei, come se avesse considerato la cosa da tutti i punti di vista.
“Deve essere stato davvero piccolo!” disse trionfante e si scosse tutto in piccole risatine nervose, diventando tutto rosso in viso, per poi abbandonarsi al suo sguardo di completa ammirazione, mentre l’espressione della ragazza rimase esattamente la stessa. “Quanti anni hai?” chiese dolcemente.
Attese un po’ prima di rispondere. Poi, con voce piatta, disse: “Diciassette”.
I suoi sorrisi si susseguirono come onde che si infrangono sulla superficie di un laghetto. “Vedo che hai una gamba di legno”, disse. “Penso che tu sia davvero coraggioso. Penso che tu sia davvero dolce.
La ragazza rimase impassibile, solida e silenziosa.
“Vieni al cancello con me”, disse. “Sei una piccola creatura coraggiosa e mi sei piaciuta nel momento in cui ti ho vista varcare la soglia.”
Hulga iniziò ad andare avanti.
“Come ti chiami?” chiese, sorridendole in cima alla testa.
“Hulga”, disse.
«Hulga», mormorò, «Hulga. Hulga. Non avevo mai sentito nessuno che si chiamasse Hulga prima. Sei timido, vero, Hulga?» chiese.
Lei annuì, osservando la sua grande mano rossa sulla maniglia della valigia gigante. “Mi piacciono le ragazze che portano gli occhiali”, ha detto. “Penso molto. Non sono come queste persone a cui un pensiero serio non passa mai per la testa. È perché potrei morire”.
“Potrei morire anch’io”, disse all’improvviso e alzò lo sguardo verso di lui. I suoi occhi erano molto piccoli e marroni, scintillanti febbrilmente.
“Ascolta”, disse, “non credi che alcune persone fossero destinate a incontrarsi per tutto ciò che avevano in comune e tutto il resto? Come se entrambi avessero pensieri seri e tutto il resto?” Spostò la valigia nell’altra mano in modo che la mano più vicina a lei fosse libera. Lui le afferrò il gomito e lo scosse leggermente. “Non lavoro sabato”, ha detto. “Mi piace passeggiare nei boschi e vedere cosa indossa Madre Natura. Sopra le colline e lontano. Picnic e cose del genere. Non potremmo fare un picnic domani? Di’ di sì, Hulga,” disse e le lanciò uno sguardo morente, come se sentisse le sue viscere sul punto di abbandonarlo. Sembrava addirittura che oscillasse leggermente verso di lei.
Durante la notte aveva immaginato di sedurlo. Immaginò che i due camminassero sul posto finché arrivarono al fienile oltre i due campi sul retro e lì, immaginò, che le cose fossero arrivate a un punto tale che lei lo sedusse molto facilmente e che poi, naturalmente, lei doveva fare i conti con il suo rimorso. Il vero genio può trasmettere un’idea anche a una mente inferiore. Immaginava di prendere in mano il suo rimorso e di trasformarlo in una comprensione più profonda della vita. Ha portato via tutta la sua vergogna e l’ha trasformata in qualcosa di utile.
Si diresse al cancello esattamente alle dieci, scappando senza attirare l’attenzione della signora Hopewell. Non ha preso nulla da mangiare, dimenticando che di solito il cibo viene portato durante un picnic. Indossava un paio di pantaloni e una camicia bianca sporca e, come ripensamento, aveva messo del Vapex sul colletto poiché non possedeva alcun profumo. Quando raggiunse il cancello non c’era nessuno. Guardò su e giù per l’autostrada deserta e ebbe la furibonda sensazione di essere stata ingannata, che lui intendesse solo farla camminare fino al cancello dopo aver pensato a lui. Poi all’improvviso si alzò, altissimo, da dietro un cespuglio sull’argine opposto. Sorridendo sollevò il cappello che era nuovo e a tesa larga. Non l’aveva indossato ieri e si chiese se l’avesse comprato per l’occasione. Era color pane tostato, con una fascia rossa e bianca attorno ed era leggermente troppo grande per lui. Uscì da dietro il cespuglio portando ancora la valigia nera. Indossava lo stesso vestito e gli stessi calzini gialli risucchiati nelle scarpe dal camminare. Ha attraversato l’autostrada e ha detto: “Sapevo che saresti venuto!”
La ragazza si chiese acidamente come avesse fatto a saperlo. Indicò la valigia e chiese: “Perché hai portato le tue Bibbie?”
Le prese il gomito, sorridendole come se non riuscisse a fermarsi. “Non puoi mai sapere quando avrai bisogno della parola di Dio, Hulga”, ha detto. Ebbe un momento in cui dubitò che ciò stesse realmente accadendo e poi cominciarono a salire sull’argine. Scesero al pascolo verso il bosco. Il ragazzo camminava leggero al suo fianco, rimbalzando sulle punte dei piedi. La valigia non sembrava essere pesante oggi; lo ha persino fatto oscillare. Attraversarono metà del pascolo senza dire nulla e poi, posandole con disinvoltura la mano sulla schiena, le chiese sottovoce: “Dove si unisce la tua gamba di legno?”
Diventò di un brutto rosso e lo guardò torvo e per un istante il ragazzo sembrò imbarazzato. “Non volevo farti del male”, disse. «Volevo solo dire che sei così coraggioso e tutto il resto. Immagino che Dio si prenda cura di te.
“No”, disse, guardando avanti e camminando velocemente, “non credo nemmeno in Dio”.
A questo punto si fermò e fischiò. “NO!” esclamò come se fosse troppo stupito per dire altro.
Lei continuò a camminare e in un attimo lui saltellava al suo fianco, sventolandosi con il cappello. “È molto insolito per una ragazza”, osservò, osservandola con la coda dell’occhio. Quando furono arrivati al limite del bosco, lui le mise di nuovo la mano sulla schiena, la attirò a sé senza dire una parola e la baciò pesantemente.
Il bacio, che aveva più pressione che sentimento, produsse nella ragazza quell’ulteriore ondata di adrenalina che permette di portare un baule pieno fuori da una casa in fiamme, ma in lei la forza andò subito al cervello. Ancor prima che lui la lasciasse, la sua mente, comunque chiara, distaccata e ironica, lo guardava da grande distanza, con divertimento ma con pietà. Non era mai stata baciata prima e fu felice di scoprire che si trattava di un’esperienza non eccezionale e tutta una questione di controllo della mente. Ad alcune persone potrebbe piacere l’acqua di scarico se gli venisse detto che è vodka. Quando il ragazzo, in attesa ma incerto, la spinse via gentilmente, lei si voltò e proseguì senza dire nulla, come se una faccenda del genere, per lei, fosse abbastanza comune.
Lui le si avvicinò ansimando, cercando di aiutarla quando vide una radice nella quale avrebbe potuto inciampare. Afferrò e trattenne i lunghi fili ondeggianti della vite spinosa finché lei non li superò. Lei fece strada e lui arrivò ansimando pesantemente dietro di lei. Poi sbucarono su un pendio soleggiato, che digradava dolcemente in un altro un po’ più piccolo. Al di là, potevano vedere la parte superiore arrugginita del vecchio fienile dove era immagazzinato il fieno in più. La collina era cosparsa di piccole erbacce rosa. “Allora non sei salvato?” chiese all’improvviso, fermandosi.
La ragazza sorrise. Era la prima volta che gli sorrideva. “Nella mia economia”, ha detto, “io sono salva e tu sei dannato, ma ti avevo detto che non credevo in Dio”.
Niente sembrava distruggere lo sguardo di ammirazione del ragazzo. Adesso la guardava come se il fantastico animale dello zoo avesse infilato la zampa tra le sbarre e gli avesse dato un colpetto affettuoso. Pensò che sembrasse come se volesse baciarla di nuovo e proseguì prima che lui ne avesse la possibilità.
“Non c’è un posto dove possiamo sederci qualche volta?” mormorò, addolcendosi la voce verso la fine della frase.
“In quel fienile”, disse.
Si diressero rapidamente come se potesse scivolare via come un treno. Era un grande fienile a due piani, fresco e buio all’interno. Il ragazzo indicò la scala che conduceva al solaio e disse: “Peccato che non possiamo salire lassù”.
“Perché non possiamo?” lei chiese.
“La tua gamba”, disse con reverenza.
La ragazza gli rivolse uno sguardo sprezzante e, mettendo entrambe le mani sulla scala, salì mentre lui stava di sotto, apparentemente sbalordito. Si tirò su con perizia, aprì l’apertura, poi lo guardò e disse: “Bene, vieni se vieni”, e cominciò a salire la scala, portando goffamente la valigia con sé.
“Non avremo bisogno della Bibbia”, osservò.
“Non si può mai dire”, disse, ansimando. Dopo essere entrato nel solaio, impiegò qualche secondo per riprendere fiato. Si era seduta su un mucchio di paglia. Un’ampia fascia di sole, piena di particelle di polvere, cadeva obliqua su di lei. Si sdraiò contro una balla, il viso girato dall’altra parte, guardando fuori dall’apertura anteriore del fienile dove il fieno veniva gettato da un carro nel fienile. I due pendii punteggiati di rosa si adagiavano contro una scura cresta di boschi. Il cielo era senza nuvole e di un azzurro freddo. Il ragazzo si lasciò cadere al suo fianco, le mise un braccio sotto e l’altro sopra e cominciò a baciarle metodicamente il viso, facendo piccoli versi come quelli di un pesce. Non si tolse il cappello ma lo spinse abbastanza indietro per non interferire. Quando gli occhiali gli furono d’intralcio, glieli tolse e se li infilò in tasca.
La ragazza dapprima non ricambiò nessuno dei baci ma poi cominciò a farlo e dopo averne posati diversi sulla guancia, raggiunse le sue labbra e rimase lì, baciandolo ancora e ancora come se stesse cercando di tirare fuori tutto il respiro. di lui. Il suo respiro era chiaro e dolce come quello di un bambino e i baci erano appiccicosi come quelli di un bambino. Borbottò di amarla e di sapere, quando l’aveva vista per la prima volta, che l’amava, ma il borbottio era come l’agitazione assonnata di un bambino messo a dormire dalla madre. La sua mente, durante tutto questo, non si è mai fermata né si è persa per un secondo nei suoi sentimenti.
“Non hai detto che non mi amavi,” sussurrò infine, allontanandosi da lei. “Devi dirlo.”
Lei distolse lo sguardo da lui verso il cielo vuoto e poi giù verso una cresta nera e poi ancora più in basso in quelli che sembravano essere due laghi verdi gonfi. Non si era accorta che lui le aveva preso gli occhiali, ma quel paesaggio non poteva sembrarle eccezionale perché raramente prestava molta attenzione a ciò che la circondava.
“Devi dirlo”, ripeté. “Devi dire che mi ami.”
Era sempre attenta a come si impegnava. “In un certo senso”, iniziò, “se usi la parola in modo approssimativo, potresti dire così. Ma non è una parola che uso. Non ho illusioni. Sono una di quelle persone che non vedono nulla.”
Il ragazzo era accigliato. “Devi dirlo. L’ho detto e tu devi dirlo”, ha detto.
La ragazza lo guardò quasi con tenerezza. «Povero bambino», mormorò. «Meno male che tu non capisca», e lo tirò per il collo, a faccia in giù, contro di sé. “Siamo tutti dannati”, ha detto, “ma alcuni di noi si sono tolti le bende e vedono che non c’è niente da vedere. È una sorta di salvezza”.
Gli occhi stupiti del ragazzo guardavano senza espressione attraverso le punte dei suoi capelli. “Va bene”, quasi piagnucolò, “ma mi ami o no?”
“Sì”, ha detto e ha aggiunto, “in un certo senso. Ma devo dirti una cosa. Non deve esserci nulla di disonesto tra noi”. Lei gli sollevò la testa e lo guardò negli occhi. “Ho trent’anni”, ha detto. “Ho diverse lauree.”
Lo sguardo del ragazzo era irritato ma ostinato. “Non mi interessa”, ha detto. “Non mi interessa nulla di tutto quello che hai fatto. Voglio solo sapere se mi ami o no?” e lui l’afferrò e le coprì selvaggiamente il viso di baci finché lei disse: “Sì, sì”.
“Va bene allora”, disse, lasciandola andare. “Provalo.”
Lei sorrise, guardando con aria sognante il paesaggio sfuggente. Lo aveva sedotto senza nemmeno decidersi a provarci. “Come?” chiese, sentendo che avrebbe dovuto ritardare un po’.
Lui si chinò e le avvicinò le labbra all’orecchio. “Mostrami dove si unisce la tua gamba di legno”, sussurrò.
La ragazza emise un piccolo grido acuto e il suo viso perse immediatamente colore. Non fu l’oscenità della proposta a sconvolgerla. Da bambina era stata talvolta soggetta a sentimenti di vergogna, ma l’educazione ne aveva cancellato le ultime tracce, come un buon chirurgo gratta il cancro; non si sarebbe sentita in colpa per ciò che le stava chiedendo più di quanto non avrebbe creduto nella sua Bibbia. Ma era sensibile alla gamba artificiale quanto un pavone alla coda. Nessuno l’ha mai toccato tranne lei. Se ne prendeva cura come qualcun altro avrebbe curato la sua anima, in privato e quasi con i suoi stessi occhi girati dall’altra parte. “No”, disse.
«Lo sapevo», mormorò, mettendosi a sedere. “Mi stai solo prendendo in giro.”
“No no!” lei pianse. “Si unisce al ginocchio. Solo al ginocchio. Perché vuoi vederlo?”
Il ragazzo le rivolse uno sguardo lungo e penetrante. “Perché”, ha detto, “è ciò che ti rende diverso. Non sei come nessun altro.”
Rimase seduta a fissarlo. Non c’era niente nel suo viso o nei suoi occhi rotondi di un azzurro gelido che indicasse che questo l’avesse commossa; ma si sentiva come se il suo cuore si fosse fermato e avesse lasciato che la mente pompasse il sangue. Decise che per la prima volta nella sua vita si sarebbe trovata faccia a faccia con la vera innocenza. Questo ragazzo, con un istinto che andava oltre la saggezza, aveva toccato la verità su di lei. Quando dopo un minuto, lei disse con voce roca e acuta: “Va bene”, era come arrendersi completamente a lui. Era come perdere la propria vita e ritrovarla, miracolosamente, nella sua.
Molto delicatamente, cominciò a sollevare la gamba molle. L’arto artificiale, con un calzino bianco e una scarpa piatta marrone, era fasciato con un materiale pesante come tela e terminava con una brutta giuntura nel punto in cui era attaccato al moncone. Il viso e la voce del ragazzo erano assolutamente riverenti mentre lo scopriva e diceva: “Ora mostrami come toglierlo e rimetterlo”.
Lei glielo tolse e lo rimise e poi lui se lo tolse lui stesso, maneggiandolo teneramente come se fosse vero. “Vedere!” disse con una faccia da bambino felice. “Ora posso farlo da solo!”
“Rimettitelo”, disse. Pensava che sarebbe scappata con lui e che ogni notte lui le avrebbe tolto la gamba e ogni mattina l’avrebbe rimessa. “Rimettitelo”, disse.
“Non ancora”, mormorò, appoggiandolo sul piede fuori dalla sua portata. “Lascia perdere per un po’. Invece mi hai preso.”
Lei lanciò un piccolo grido di allarme ma lui la spinse giù e ricominciò a baciarla. Senza la gamba si sentiva completamente dipendente da lui. Il suo cervello sembrava aver smesso del tutto di pensare e concentrarsi su qualche altra funzione in cui non era molto bravo. Diverse espressioni correvano avanti e indietro sul suo viso. Di tanto in tanto il ragazzo, con gli occhi come due spuntoni d’acciaio, lanciava un’occhiata dietro di sé dov’era la gamba. Alla fine lei lo spinse via e disse: “Rimettimelo adesso”.
“Aspetta”, disse. Si sporse dall’altra parte, tirò a sé la valigia e l’aprì. Aveva una fodera a pois azzurri e dentro c’erano solo due Bibbie. Ne tirò fuori uno e ne aprì il coperchio. Era cavo e conteneva una fiaschetta tascabile di whisky, un mazzo di carte e una piccola scatola blu con sopra una stampa. Li distese davanti a lei uno alla volta in una fila uniformemente distanziata, come chi presenta le offerte al santuario di una dea. Le mise in mano la scatola blu. QUESTO PRODOTTO DEVE ESSERE UTILIZZATO SOLO PER LA PREVENZIONE DELLE MALATTIE, lesse e lo lasciò cadere. Il ragazzo stava svitando il tappo della fiaschetta. Si fermò e indicò, con un sorriso, il mazzo di carte. Non era un mazzo normale ma uno con un’immagine oscena sul retro di ogni carta. “Prendi un sorso”, disse, offrendole prima la bottiglia. Lo tenne davanti a lei, ma lei non si mosse, come se fosse ipnotizzata.
La sua voce quando parlava aveva un suono quasi implorante. “Voi,” mormorò, “non siete semplicemente dei bravi contadini?”
Il ragazzo inclinò la testa. Sembrava che stesse appena cominciando a capire che forse lei stava cercando di insultarlo. “Sì”, disse, arricciando leggermente il labbro, “ma non mi ha trattenuto per niente. Sono bravo come te ogni giorno della settimana.
“Dammi la mia gamba”, disse.
Lo spinse più lontano con il piede. “Andiamo adesso, cominciamo a divertirci”, disse in tono persuasivo. “Non dobbiamo ancora conoscerci bene.”
“Dammi la mia gamba!” lei urlò e cercò di lanciarsi verso di essa, ma lui la spinse giù facilmente.
“Che cosa ti è successo all’improvviso?” chiese, accigliandosi mentre avvitava il tappo della fiaschetta e la rimetteva velocemente nella Bibbia.
“Poco fa hai detto che non credevi a niente. Pensavo fossi una ragazza!
Il suo viso era quasi viola. “Sei cristiano!” sibilò. “Sei un bravo cristiano! Sei proprio come tutti loro: dì una cosa e ne fai un’altra. Sei un cristiano perfetto, sei…”
La bocca del ragazzo era rabbiosa. «Spero che tu non pensi», disse in tono altezzoso e indignato, «che io creda a queste stronzate! Posso vendere Bibbie ma so quale sarà la fine e non sono nato ieri e so dove sto andando!”
“Dammi la mia gamba!” strillò.
Lui balzò in piedi così in fretta che lei a malapena lo vide rimettere le carte e la scatola blu nella Bibbia e gettare la Bibbia nella valigia. Lo vide afferrare la gamba e poi per un istante la vide abbandonata e sconsolata all’interno della valigia, con una Bibbia su entrambi i lati delle estremità opposte.
Chiuse di colpo il coperchio, afferrò la valigia, la gettò nel buco e poi entrò lui stesso. Quando tutto di lui fu passato tranne la testa, si voltò e la guardò con uno sguardo che non conteneva più alcuna ammirazione. “Ho ricevuto molte cose interessanti”, ha detto. “Una volta ho avuto l’occhio di vetro di una donna in questo modo. E non devi pensare che mi prenderai perché Pointer non è proprio il mio nome. Uso un nome diverso in ogni casa in cui chiamo e non rimango da nessuna parte a lungo. E ti dirò un’altra cosa, Hulga,” disse, usando quel nome come se non ci pensasse molto, “non sei così intelligente. Non ho creduto a nulla da quando sono nato!” e poi il cappello color pane tostato scomparve nel buco e la ragazza rimase seduta sulla paglia, sotto il sole polveroso. Quando voltò il viso agitato verso l’apertura, vide la sua figura blu che lottava con successo sul lago verde maculato.
La signora Hopewell e la signora Freeman, che erano nel pascolo dietro casa, a dissotterrare cipolle, lo videro uscire poco dopo dal bosco e attraversare il prato verso la strada statale.
“Diamine, assomiglia a quel giovanotto simpatico e ottuso che ieri ha cercato di vendermi una Bibbia”, disse la signora Hopewell, strizzando gli occhi. «Deve averli venduti ai negri là dentro. Era così semplice”, ha detto, “ma immagino che il mondo sarebbe migliore se fossimo così semplici”.
Lo sguardo della signora Freeman si spinse in avanti e lo sfiorò appena prima che scomparisse sotto la collina. Poi riportò la sua attenzione al germoglio di cipolla dal cattivo odore che stava raccogliendo da terra. “Alcuni non possono essere così semplici”, ha detto. “So che non potrei mai.”
(Racconto tratto da Tutti i racconti, vol. primo, pp. 132-148, Bompiani, Milano 1990; trad. di Ida Omboni)