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28 Dicembre 2019L’epilogo dell’Odissea XXIV 463-548
28 Dicembre 2019Testo del racconto La lavandaia da Un giorno di felicità di Isaac Bashevis Singer
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La lavandaia e la narrativa di Isaac B. Singer in formato power point modificabile
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In casa nostra eravamo poco a contatto con i Gentili. L’unico non-ebreo nel casamento era il portiere. Il venerdì veniva per le case per la mancia, “i soldi del venerdì” come li chiamava. Rimaneva impalato in piedi sulla soglia; si toglieva il cappello; e mia madre gli dava sei groschen.
Oltre al portiere, c’era anche una lavandaia non-ebrea, che veniva a casa nostra a ritirare la biancheria da lavare. La mia storia si riferisce a lei.
Era piccola, vecchia e grinzosa. Quando iniziò a lavare i nostri- panni aveva già settant’anni compiuti. La maggior parte delle donne ebree, a quell’età, erano malaticce, deboli e con le .ossa rotte. Tutte le vecchiette della nostra strada avevano la schiena curva e per camminare si appoggiavano al bastone. Ma questa lavandaia, piccola e magra com’era, aveva una forza che le proveniva da generazioni di antenati contadini. Mia madre, per esempio, le affidava un fagotto che conteneva la nostra biancheria accumulata da diverse settimane: lei si caricava il voluminoso fagotto sulle spalle strette e lo portava così fino a casa sua. Anche lei abitava in via Krochmalna, ma all’altro capo della strada, vicino al quartiere Wola. Probabilmente le ci voleva un’ora e mezzo di cammino. Ci riportava la biancheria lavata e stirata dopo circa due settimane. Mia madre non era mai stata tanto soddisfatta di una lavandaia quanto lo era di questa. La biancheria che riportava brillava come l’argento quando è appena lucidato. Ogni lenzuolo, straccio, o altro, era stirato alla perfezione e con cura. Tuttavia non chiedeva un prezzo più alto delle altre. Era veramente una scoperta. Mia madre teneva sempre il denaro pronto per pagarla;. perché sarebbe stato troppo faticoso per la vecchia tornare una seconda volta.
Fare il bucato, a quell’epoca, non era una cosa semplice. Nella sua abitazione la donna non aveva nemmeno l’acqua corrente e doveva perciò portarla in casa prelevandola da una pompa. Perché il bucato venisse così bello pulito, bisognava prima lavarlo a lungo fregando forte forte in un mastello, poi. risciacquarlo con soda da bucato, poi immergerlo e farlo bollire in un recipiente enorme, poi inamidarlo e infine stirarlo. Ogni pezzo di biancheria era trattato almeno 10 volte, se non di più. E l’asciugatura! Non si potevano stendere i panni fuori perché i ladri li avrebbero subito rubati. Dopo essere stato strizzato, il bucato doveva perciò essere portato su in soffitta e steso su fili appositi. D’inverno diventava rigido come ghiaccio: pareva che si spezzasse, al solo toccarlo. E c’era sempre da discutere tra le altre donne del casamento — che volevano i fili a disposizione per i loro bucati — e le lavandaie. Dio solo sa che guai passava quella vecchia ogni volta che doveva farse il bucato!
Avrebbe potuto chiedere la carità fuori della porta di una chiesa, o essere ricoverata in un ospizio per i vecchi e per gli indigenti. Ma c’era in lei un certo orgoglio e un amore al lavoro che è una qualità caratteristica di molti Gentili. La vecchia non voleva essere di peso a nessuno, e così sopportava il suo fardello.
Mia madre sapeva qualche parola di polacco e la lavandaia parlava molto con lei, di tante cose. Aveva un affetto particolare per me e diceva che assomigliavo a Gesù. Lo ripeteva ogni volta, mentre mia madre aggrottava le sopracciglia e fischiettava tra sé con disapprovazione e le sue labbra si muovevano appena, dicendo: “Possano le sue parole disperdersi nel deserto”.
La donna aveva un figlio che godeva di una certa agiatezza. Non ricordo di che cosa si occupasse; ma so che si vergognava di sua madre perché faceva la lavandaia, e non andava mai a trovarla. Né le mandava mai un soldo. La donna parlava di lui con rancore. Un giorno il figlio si era sposato e pareva che avesse fatto un buon matrimonio. Si sposò in chiesa. Il figlio non aveva invitato la vecchia madre al mio matrimonio; ma lei andò fino alla chiesa e attese sui gradini per vedere suo figlio accompagnare all’altare la “giovane”.
Il racconto del figlio ingrato aveva fatto grande impressione a mia madre. Ne aveva parlato per settimane, per mesi. Non era soltanto un affronto verso la vecchia madre, ma era anche un’offesa per la “madre” in generale. Mia madre diceva: ‘Vale forse la pena di sacrificarsi per i figli? La madre si scanna per lavorare e lui non sa neanche, che cosa voglia dire “dedizione”. E faceva allusioni oscure al fatto che non era certa nemmeno dei propri figli. Chissà che cosa potrebbero fare, un giorno? Questo non le impediva, tuttavia, di dedicare a noi tutta la sua vita. Se mai c’era in casa qualche dolcetto, subito Io metteva da parte “per i bambini” inventando scuse di ogni genere per dire che lei non aveva voglia di assaggiarli. Aveva delle delicatezze e delle sfumature di modi che risalivano ai tempi antichi e usava espressioni ereditate da generazioni e generazioni di madri e donne amore voli. Se uno di noi bambini si lamentava di essersi fatto male da qualche parte, la mamma diceva: “Possa io essere il tuo riscatto e possa tu sopravvivere alle mie ossa. Oppure ancora: “Possa io pagare il prezzo dell’espiazione anche per l’ultima delle unghie delle dita del tuo piede!” Quando eravamo a tavola era solita dire: “Salute e sostanza nelle tue ossa!” Alla vigilia della luna nuova ci dava una specie di caramella che si diceva prevenisse l’annidarsi di parassiti nell’organismo. Se poi qualcuno di noi aveva qualcosa in un occhio, la mamma ci leccava l’occhio finché non era completamente pulito. Ci dava anche zucchero caramellato contro la tosse e di tanto in tanto ci portava a prendere la benedizione contro il malocchio. E tutte queste occupazioni non le impedivano di studiare i Doveri del cuore o il Libro dell’alleanza o altri libri di filosofia molto seri.
Ma, per tornare alla lavandaia, quell’inverno fu duro. Le strade erano strette in una morsa di freddo pungente. Potevamo caricare la stufa quanto volevamo, ma le finestre erano intarsiate di ghiaccio e decorate di ghiaccio. I giornali parlavano di gente che moriva per il gran freddo. Il prezzo del. carbone salì. L’inverno si era fatto così rigido che i genitori non permisero più ai loro bambini di frequentare la scuola ebraica; e anche le scuole di stato polacche si chiusero.
In una di quelle giornate gelide d’inverno la lavandaia, che doveva avere ormai quasi ottant’anni, venne da noi. Durante le settimane precedenti si era accumulata un bel po’ di biancheria. Mia madre le offrì una teiera piena di té perché si riscaldasse e le diede del pane. La vecchia si sedette su una sedia di cucina: tremava .ed era scossa :da brividi. Si scaldava k mani contro la teiera. Aveva le dita deformate dal gran lavoro e forse anche dall’artrite. Le unghie delle mani erano stranamente bianche. Quelle mani parlavano della tenacia degli esseri umani, della volontà di lavorare non entro i limiti delle proprie forze e possibilità, ma oltre questi.
Mia madre contò i pezzi e fece l’elenco: maglie da uomo, camiciole da donna, mutandoni con la gamba lunga, “combinazioni” da donna, sottovesti, camicie da notte, coperte imbottite di piume, federe-, lenzuola, .e gli scialli da preghiere degli uomini. Sì, la donna Gentile lavava anche questi sacri indumenti.
Il fagotto era grande, più grande del solito. Quando la lavandaia se lo caricò sulle spalle, la coprì completamente. Dapprima la donna ondeggiò, come se stesse per cedere sotto il peso. Ma una tenacia che le veniva dall’interno sembrava dirle per convincerla: no, non devi cadere, non puoi cadere. Un somaro si può permettere di cadere sotto il peso che porta, ma un essere umano, la perla della creazione, no.
Faceva paura stare a guardare la vecchia che barcollava sotto l’enorme fagotto, fuori in quel gelo, mentre la neve era secca e dura come il sale e l’aria piena di turbini di polvere bianca, come diavoletti che danzassero al freddo. Sarebbe mai arrivata a casa sua, alla Wola, la vecchia? Sparì: mia madre sospirò profondamente e pregò per lei.
Normalmente la lavandaia era solita riportare la biancheria lavata dopo due o, al massimo, tre settimane. Ma erano passate tre settimane, poi ne erano passate quattro e. poi cinque: e non si era saputo nulla della vecchia. Restammo senza lenzuola, senza strofinacci e senza biancheria. Il freddo si era fatto sempre più intenso. I fili del telefono erano diventati grossi come funi. I rami degli alberi-parevano di vetro. Era caduta tanta neve che sulle strade si erano formati dei monticelli e le slitte potevano scivolare per le strade come sulle penditi di un colle. La gente di buon cuore accendeva fuochi per le strade perché i mendicanti potessero riscaldarsi un po’ e arrostire qualche patata, se ne avevano.
Per noi, la sparizione della lavandaia rappresentava una vera catastrofe. Avevamo bisogno di biancheria, a tutti i costi. E non sapevamo nemmeno di preciso dove abitasse. Sembrava certo che avesse avuto un collasso e fosse morta.. Mia madre affermò di aver avuto il presentimento che non avremmo mai più rivisto la nostra roba, dall’ultima volta che era stata lì la vecchia. Trovò delle vecchie camicie logore, le lavò e le rammendò. Osservammo come un periodo di lutto sia per la biancheria che per la vecchia, sfinita dal lavoro, che era stata parte della nostra vita in tutti quegli anni in cui ci aveva serviti fedelmente.
Passarono più di due mesi. Il gelo era diminuito; ma poi era tornato e un’altra ondata di freddo era sopraggiunta. Una sera, mentre la mamma stava seduta accanto alla lampada a petrolio; intenta a rammendare una camicia, la porta si spalancò. e un piccolo sbuffo di vapore, seguito da un fagotto gigantesco, entrò. Sotto il fagotto camminava barcollando la vecchia, con la faccia:più bianca dì un cencio. Qualche. ciocca di capelli bianchi spuntava disordinatamente da sotto lo scialle che le copriva la testa. Mia madre lanciò un grido mezzo soffocato. Era come se nella stanza fosse entrato un cadavere. Le corsi incontro per aiutarla a deporre il fagotto. Era ancora più magra, ora, più curva. Aveva il viso più scarno e scuoteva di continuo la testa da una parte all’altra come se dicesse “no”. Non riusciva ad emettere parole chiare, ma balbettava qualcosa con la bocca tra le guance incavate e le labbra pallide.
Dopo che si fu un po’ ripresa, la vecchia ci raccontò che era stata male, molto male. Di che cosa avesse sofferto, a dir la verità, non ricordo. Ma era stata ammalata così gravemente che qualcuno aveva chiamato un medico; e il medico aveva mandato a chiamare un prete. Qualcuno aveva avvertito: il figlio, il quale aveva dato un contributo per la cassa e per il funerale. Ma l’Onnipotente aveva deciso di non chiamare ancora a sé quella povera anima torturata: Si sentì meglio, a poco a poco, si riprese e non appena fu in grado di reggersi di nuovo in piedi, ricominciò a fare il bucato. Non solo il bucato per noi, ma per tante altre famiglie che serviva.
“Non potevo starmene tranquilla a riposare a letto” , spiegava la vecchia, “proprio per via del bucato. Il bucato non mi avrebbe permesso di morire!”
“Con l’aiuto di Dio vivrà fino a 120 anni” disse mia madre in tono di benedizione.
“Per amor di Dio, no! Che vantaggio sarebbe una vita così lunga? Il lavorare mi pesa sempre di più… Le forze mi abbandonano… Non voglio essere di peso a nessuno!” La vecchia borbottò qualcosa, si fece il segno della croce; poi alzò gli occhi al cielo.
Per fortuna avevamo un po’ di soldi in casa, e mia madre andò a prendere quel che le doveva. Ebbi una sensazione strana: le monete, nelle mani esangui della vecchia donna, parevano a un tratto. consumate, pulite e pie come lei.. Raccolse le monete in un fazzoletto; poi se ne andò, promettendo che sarebbe tornata dopo qualche settimana, per ritirare altra biancheria da lavare. Invece non ritornò mai più. Il bucato che ci riportò quel giorno era stato il frutto dell’ultimo grande suo sforzo su questa terra. Una volontà indomabile l’aveva fatta resistere fino a riportare ai proprietari la loro roba, e mantenere l’impegno che si era assunto. E ora quel corpo, che non era più da tempo che un coccio tenuto insieme dalla forza dell’onestà e dal senso del dovere, aveva ceduto, alla fine. La sua anima trapassò in. quelle sfere dove si ritrovano le anime sante, indipendentemente dalla parte che hanno recitato su questa terra e in quale lingua; e a qualsiasi fede abbiano appartenuto. Non mi è possibile immaginare il Paradiso senza la presenza di questa lavandaia Gentile Così come non riesco nemmeno a concepire un mondo dove possa non esservi ricompensa per un simile sforzo.
Isaac Bashevis Singer (Leoncin, 14 luglio 1904 – Miami, 24 luglio 1991) ebreo polacco vincitore del premio Nobel nel 1978.
Singer, Un giorno di felicità ,traduzione di F. Boesch, Bompiani, 2001