Si impersonale e si pleonastico
28 Dicembre 2019Il palazzo e il giardino di Alcinoo
28 Dicembre 2019
Questo brano del capitolo XV di “Madame Bovary” di Gustave Flaubert mostra Emma durante una rappresentazione teatrale, che si immerge completamente nelle emozioni suscitate dalla musica e dall’interpretazione degli attori.
Emma si abbandona alla bellezza e all’intensità della musica e dell’opera, identificandosi profondamente con i personaggi e le loro passioni. Edgardo, in particolare, cattura la sua immaginazione con la sua voce potente e il suo aspetto affascinante, diventando per lei l’incarnazione stessa dell’amore e dei sogni. Emma immagina una vita straordinaria e passionale insieme a lui, desiderando ardentemente di fuggire dalla sua esistenza monotona e insoddisfacente. Il brano evidenzia la forte tensione tra la realtà grigia di Emma e il suo desiderio di un’esistenza romantica e avventurosa.
Qui sotto il testo commentato durante la lezione,. in una traduzione diversa rispetto a quella usata in classe, presente sul libro di testo della antologia
Capitolo XV (Parte seconda), brano tratto da Madame Bovary di Gustave Flaubert
Lei si ritrovava tra le letture della giovinezza in pieno Walter Scott. Le pareva di sentire attraverso la nebbia il suono delle cornamuse scozzesi ripetersi sulle brughiere. Il ricordo del romanzo l’aiutava a capire il libretto, così poteva seguire la trama frase per frase, mentre inafferrabili pensieri le tornavano per disperdersi subito sotto le raffiche della musica. Si abbandonava al dondolio delle melodie, si sentiva vibrare con tutto il suo essere come se gli archetti dei violini passassero sui suoi nervi. Due soli occhi non le bastavano per contemplare i costumi, le scene, i personaggi, quegli alberi dipinti che tremolavano a ogni passo sul palcoscenico, e i copricapo di velluto, i mantelli, le spade, tutta la roba di fantasia che s’agitava nelle volute della musica come nell’atmosfera di un altro mondo. Ma una giovane donna si fece avanti, gettò una borsa a uno scudiero tutto in verde. Poi restò sola, allora si sentì un flauto fare come un mormorio di fontana o un gorgheggio d’uccelli. Lucia attaccò con aria grave la sua cavatina in sol maggiore; si lamentava d’amore, desiderava delle ali. Anche Emma le avrebbe volute, le ali: fuggir la vita, volarsene via in un abbraccio d’amore. E d’improvviso ecco Edgardo: Lagardy.
Era pallido, uno di quegli splendidi pallori che conferiscono una marmorea maestà alle ardenti razze del meridione. Il torso vigoroso era serrato in un farsetto di color bruno, un piccolo pugnale cesellato gli sbatteva contro la coscia sinistra, girava intorno languidi occhi e metteva in mostra i denti abbaglianti. Si diceva che una principessa polacca se ne fosse innamorata nel sentirlo cantare una sera sulla spiaggia di Biarritz, mentre rabberciava una barca; era andata in rovina per lui; allora lui l’aveva piantata per altre donne; da qui una celebrità di dongiovanni che continuava a favorire la sua reputazione di artista. L’astuto commediante aveva anzi cura di far scivolare costantemente negli annunci qualche frasetta poetica circa il potere di seduzione della sua persona e la sensibilità della sua anima. Una bella voce, una sfacciataggine senza limiti, una maggior ricchezza di temperamento che di intelligenza, una dote superiore di enfasi che di lirismo, completavano quell’ammirevole natura di ciarlatano, un misto di parrucchiere e di torero.
Suscitò l’entusiasmo subito, dalla prima scena. Serrava Lucia tra le braccia, la lasciava, tornava, pareva disperato, aveva clamorosi scatti di collera e poi elegiaci rantoli di una dolcezza infinita, il suo collo nudo partoriva note piene di singhiozzi e baci. Per vederlo meglio Emma si sporgeva piantando le unghie nel velluto del parapetto, si riempiva il cuore dei lamenti melodiosi strascicantisi sull’accompagnamento dei contrabbassi come urli d’un naufrago nel tumultuar d’una tempesta. Le riconosceva tutte, quelle ebbrezze, quelle angosce, lei, non ne era morta per poco? La voce della cantante le pareva il riecheggiare stesso della propria coscienza: quell’illusione scenica che la affascinava, la sentiva parte della propria vita. Ma nessuno sulla terra le aveva mai votato un simile amore. Non aveva mica pianto come Edgardo, lui, l’ultima sera, quando s’eran detti: «A domani! A domani!» La sala veniva giù dagli applausi; la stretta finale fu riattaccata dal principio, gli innamorati parlavan di fiori, della loro tomba, di giuramenti, di esilio, di fatalità, di speranze; quando lanciarono l’ultimo addio, Emma proruppe in un grido acuto che si confuse con gli accordi conclusivi.
«Scusa,» domandò Charles, «ma perchè quello lì la perseguita?»
«Non hai capito nulla,» replicò lei, «è il suo amante.»
«Ma allora perchè giura di vendicarsi sulla famiglia di lei, mentre quell’altro, quello di poco fa, diceva: “Amo Lucia e riamato mi credo?” D’altra parte se n’è andato a braccetto con il padre di Lucia. Perchè è suo padre, vero, il piccoletto brutto con la penna di gallo sul cappello?»
Nonostante tutte le spiegazioni di Emma, dopo il recitativo in cui Normanno espone al suo signore Ashton i suoi abominevoli traffici, Charles, vedendo il falso anello di fidanzamento destinato a ingannare Lucia, credette che si trattasse, invece, di un ricordo d’amore inviato da Edgardo. A ogni modo confessava di non capire i fatti, la musica nuoceva troppo alle parole.
«Cos’importa?» protestò Emma. «Sta’ zitto!»
«Ma a me piace rendermi bene conto delle cose, lo sai,» insistè lui, chinandosi sulla sua spalla.
«Sta’ zitto! Sta’ zitto!» si spazientì lei.
Lucia veniva avanti sorretta dalle sue donne, aveva una corona di fiori d’arancio tra i capelli, era più pallida del raso bianco della veste. Emma pensava al giorno del suo matrimonio: si rivedeva laggiù, in mezzo al grano, sul piccolo sentiero, diretta in chiesa. Perchè, perchè mai non era stata capace di resistere anche lei così, di supplicare in quel modo? Era allegra, invece, quel giorno, non s’era accorta dell’abisso in cui stava per precipitare… Ah! se, nel fulgore della sua bellezza, prima di venire insozzata dal matrimonio e di venir delusa dall’adulterio, avesse potuto fondare la sua esistenza su un gran cuore saldo, allora certo, confluendo virtù, affetto, voluttà, dovere, non sarebbe mai discesa da una così alta felicità. Ma una simile felicità era soltanto una menzogna escogitata per frustrare ogni desiderio. Lei adesso la conosceva bene, l’angustia delle passioni che l’arte è sempre pronta a esasperare. Sforzandosi, dunque, di distoglierne il pensiero, Emma voleva vedere in quella riproduzione dei suoi tormenti soltanto una fantasia plastica buona a dilettar gli occhi, era arrivata anzi a sorridere tra sè e sè di sprezzante compatimento quando d’improvviso dal fondo della scena, da dietro le tende di velluto, si fece avanti un uomo in mantello nero.
Il gran copricapo alla spagnola cadde a un gesto; subito strumenti e cantanti attaccarono il sestetto. Edgardo, lampeggiante di furore, dominava tutti con la sua voce più chiara; Ashton gli scagliava in note gravi provocazioni omicide; Lucia filava il suo acuto lamento; Arturo modulava in disparte medi accenti, e i bassi toni del ministro russavano come un organo, mentre le donne ripetevano in coro, deliziosamente, le sue parole. Stavano tutti sulla stessa fila, a gesticolare: l’ira, il desiderio di vendetta, la gelosia, il terrore, la pietà e lo stupore prorompevano insieme dalle bocche dischiuse. L’oltraggiato amante aveva snudato la spada; squassava il collare di pizzo con gli urti del petto; andava da destra a sinistra a gran passi, facendo tintinnare contro le tavole del palcoscenico gli speroni dorati dei suoi stivali flosci svasati alla caviglia. Doveva possedere, pensò lei, una capacità inesauribile di amore se ne poteva versar tanto, a getto continuo, sopra la folla. Tutte le sue velleità di distacco svanivano sotto la suggestione poetica della finzione: attratta verso l’uomo dall’illusione del personaggio, si provò a immaginarne la vita, una vita clamorosa, straordinaria, magnifica, una vita che anche lei avrebbe potuto spartire, del resto, se solo il caso lo avesse voluto. Avrebbero potuto conoscersi, si sarebbero amati! Con lui, in tutti i regni d’Europa, avrebbe viaggiato da una capitale all’altra, avrebbe condiviso fatiche e trionfi, raccogliendo i fiori gettati a lui, ricamando i costumi per lui, e poi, ogni sera, nel fondo di un palchetto, dietro la grata dorata, avrebbe ricevuto, beandosi, le effusioni di quell’anima che avrebbe cantato per lei soltanto, guardando sempre lei dalla scena. Ma cosa faceva ora, diventava pazza? Lui la guardava, ne era sicura! Ebbe voglia di correre a buttarglisi tra le braccia, a rifugiarsi nella forza di quell’uomo che era l’incarnazione dello stesso amore, gli avrebbe detto, gli avrebbe gridato: «Portami via, rapiscimi, fuggiamo! Son tua, son tua! Son tuoi i miei ardori, tutti i miei sogni!»
Calò il sipario.