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28 Dicembre 2019Nel Capitolo XII del Galateo di Giovanni Della Casa, intitolato La discrezione, si tratta della critica verso l’abitudine di raccontare i propri sogni nelle conversazioni.
Secondo Della Casa, i sogni spesso non hanno alcun valore o interesse per gli altri, ma chi li racconta tende a enfatizzarli e a dare loro un’importanza sproporzionata, senza considerare che i sogni stessi sono usualmente confusi e insensati, e, dunque, poco adatti a una conversazione piacevole e significativa.
Sintesi e analisi
- Critica alla narrazione dei sogni comuni: Della Casa osserva che spesso chi racconta i propri sogni non fa che annoiare gli ascoltatori con “una sì vile materia come i sogni sono,” specialmente perché, afferma, sono per lo più “sciocchi” e non hanno nulla di notevole. Le persone, inoltre, tendono a caricare i sogni di meraviglia e stupore, “con tanta affezione,” come se contenessero rivelazioni significative. A parere dell’autore, ciò riflette un eccesso di attenzione su argomenti banali e privi di senso comune.
- Distinzione con i sogni antichi: Della Casa riconosce che gli antichi saggi narravano sogni nei loro scritti, ma puntualizza che lo facevano con “alto intendimento e con molta vaghezza,” quindi in modo ponderato e artistico. Questo però, sostiene, non dovrebbe essere preso come esempio da persone comuni o prive di cultura, che tendono a interpretare sogni banali come degni di essere riportati.
- Esempio del sogno significativo: Per dimostrare che alcuni sogni meritano di essere raccontati, Della Casa presenta un’eccezione: il sogno di messer Flaminio Tomarozzo, in cui appare una scena onirica dotata di profondi significati morali. Nel sogno, un uomo venerabile, identificato come Dio, beve un liquido, la “discrezione”, che era stato rifiutato da tutti gli altri. Questo sogno ha valore, afferma Della Casa, perché contiene una lezione morale e universale, mostrando come la discrezione sia un valore poco apprezzato dagli uomini, sebbene prezioso.
- Conclusione e lezione morale: Conclude che solo i sogni che assomigliano a “pensiero di ben desta mente” meritano di essere raccontati. Della Casa invita a una maggiore discrezione: raccontare i sogni non è vietato, ma essi devono avere un senso e un insegnamento. I sogni privi di forma e contenuto sensato vanno, al contrario, “licenziati insieme col sonno.”
Commento
In questo capitolo, Della Casa usa il racconto dei sogni come esempio di ciò che, nella sua visione, caratterizza la discrezione e il buon gusto nella conversazione. Critica il desiderio di alcuni di parlare troppo di sé e di condividere contenuti futili, senza preoccuparsi di ciò che è gradito o utile agli altri. La lezione implicita è che una conversazione appropriata deve tenere in considerazione il valore e l’interesse dei temi trattati, evitando di infastidire o annoiare gli interlocutori.
Della Casa, attraverso il Galateo, non si limita a offrire norme di comportamento sociale, ma intende anche promuovere una visione etica e intellettuale della conversazione, dove la discrezione e l’autocontrollo sono elevati a virtù da coltivare per vivere in armonia e rispetto reciproco.
Testo del Galateo, Cap. XII, in cui “Si riprova distintamente l’uso di raccontare i sogni nelle conversazioni.”
50. Male fanno ancora quelli che tratto tratto si pongono a recitare i sogni loro con tanta affezione, e facendone sì gran maraviglia, che è uno isfinimento di cuore a sentirli massimamente che costoro sono per lo più tali, che perduta opera sarebbe lo ascoltare qualunque s’è la loro maggior prodezza, fatta eziandio quando vegghiarono. Non si dee adunque noiare altrui con si vile maleria come i sogni sono, spezialmente sciocchi, come l’uom gli fa generalmente. E comechè io senta dire assai spesso, che gli antichi savi lasciarono ne’ loro libri più e più sogni scritti con alto intendimento e con molta vaghezza; non perciò si conviene a noi idioti, nè al comun popolo, di ciò fare ne’ suoi ragionamenti. E certo di quanti sogni io abbia mai sentito riferire, comechè io a pochi soffera di dare orecchio, niuno me ne parve mai d’udire che meritasse che per lui si rompesse silenzio; fuori solamente uno che ne vide il buon messer Flaminio Tomarozzo gentiluomo romano, e non mica idiota nè materiale, ma scienziato e di acuto ingegno: al quale, dormendo egli, pareva di sedersi nella casa di un ricchissimo speziale suo vicino; nella quale poco stante, qual che si fosse la cagione, levatosi ii popolo a romore, andava ogni cosa a ruba; e chi toglieva un lattovaro e chi una confezione, e chi una cosa e chi altra, e mangiavalasi di presente, sicchè in poco d’ora nè ampolla nè pentola nè bossolo né alberello vi rimanea che voto non fosse e rasciutto. Una guastadetta v’era assai picciola, e tutta piena di un chiarissimo liquore, il quale molti fiutarono, ma assaggiare non fu chi ne volesse, e non istette guari, che egli vide venire un uomo grande di statura, antico e con venerabile aspetto, il quale riguardando le scatole ed il vasellamento dello spezial cattivello, e trovando quale voto e quale versato, e la maggior parte rotto, e’ gli venne veduto la guastadetta che io dissi: perchè postalasi a bocca, tutto quel liquore si ebbe tantosto bevuto sì, che gocciola non ve ne rimase; e dopo questo se ne uscì quindi, come gli altri avean fatto: della qual cosa pareva a messer Flaminio di maravigliarsi grandemente: perchè rivolto allo speziale, gli addimandava: — Maestro questi chi è? e per qual cagione si saporitamente l’acqua della guastadetta bevve egli tutta, la quale tutti gli altri aveano rifiutata? — A cui parea che lo speziale rispondesse: — Figliuolo, questi è Domeneddio; e l’acqua da lui solo bevuta, e da ciascun altro, come tu vedesti, schifata e rifiutata, fu la discrezione; la quale, siccome tu puoi aver conosciuto, gli uomini non vogliono assaggiare per cosa del mondo. —
51. Questi così fatti sogni dico io bene potersi raccontare, e con molta dilettazione e frutto ascoltare, perciocchè più si rassomigliano a pensiero di ben desta che a visione di addormentata mente, o virtù sensitiva, che dir dobbiamo: ma gli altri sogni senza forma e senza sentimento, quali la maggior parte de’ nostri pari gli fanno (perciocchè i buoni e gli scienziati sono, eziando quando dormono migliori e più savi che i rei e che gl’idioti) si deono dimenticare, e da noi insieme col sonno licenziare.