Taccuini di appunti, Carnets de notes su Memorie di Adriano di Marguerite Yourcena…
28 Dicembre 2019Sant’Agostino
28 Dicembre 2019Nel XXXIV canto dell’Inferno, Dante e Virgilio raggiungono il punto più basso dell’Inferno, dove si trova Lucifero, “l’imperador del doloroso regno”.
È la chiusura della prima cantica della Divina Commedia, un passaggio potente e intriso di simbolismi sul male e sul tradimento.
Sintesi del Canto XXXIV
Il canto si apre con il verso latino “Vexilla regis prodeunt inferni” (“Avanzano le insegne del re dell’Inferno”), citazione dell’inno della Chiesa cattolica (Vexilla Regis prodeunt) per segnare l’inquietante marcia dei vessilli infernali. Virgilio invita Dante a osservare le insegne di Lucifero, il re dell’Inferno, e avanzano fino a scorgere una figura maestosa e orrenda. Dante paragona l’enorme mole di Lucifero a un gigantesco mulino che si intravede tra la nebbia, rendendo la sua vista surreale e opprimente.
Lucifero appare con tre facce su una sola testa, ciascuna di diverso colore: la rossa al centro, la giallastra a destra, e la nera a sinistra. Questo mostruoso aspetto richiama un’oscura parodia della Trinità divina e simboleggia il male assoluto. Dalle sue bocche, Lucifero maciulla incessantemente tre peccatori: al centro, con la punizione più terribile, Giuda Iscariota, traditore di Cristo; ai lati, Bruto e Cassio, traditori di Cesare e dell’Impero.
Figure Retoriche
- Similitudini: L’immagine del “mulino che gira” è una similitudine che trasmette il movimento infernale e la mole gigantesca di Lucifero.
- Allitterazioni e assonanze: con suoni cupi e aspiri, come in “fior d’ingegno” e “doloroso regno”, rendono il tono greve e solenne.
- Metafora del ghiaccio: il Cocito ghiacciato rappresenta il gelo del peccato e del tradimento.
- Anastrofi e inversioni sintattiche: conferiscono enfasi e drammaticità alla narrazione.
Analisi Tematica e Simbolica
- Il tradimento: Nella visione di Dante, il tradimento è il peccato più grave e Lucifero stesso ne è il simbolo, essendo il primo e più famoso traditore, ribellatosi a Dio.
- La Trinità demoniaca: Le tre facce di Lucifero richiamano in modo blasfemo la Santissima Trinità, ribaltata nel simbolo infernale del male.
- Il tempo e l’urgenza della redenzione: Virgilio ricorda che è giunto il momento di andare poiché “la notte risorge”, indicando che devono lasciare l’Inferno per proseguire il viaggio verso la luce.
Suddivisione in Sequenze
- Introduzione al regno di Lucifero (vv. 1-12): Virgilio avverte Dante dell’arrivo del “re” dell’Inferno.
- Apparizione di Lucifero (vv. 13-42): Dante e Virgilio vedono per la prima volta Lucifero, raffigurato con tre teste.
- Punizione dei traditori (vv. 43-63): descrizione dei tre traditori eternamente maciullati nelle bocche di Lucifero.
- Esortazione alla partenza (ultimi versi): Virgilio sollecita Dante a lasciare l’Inferno, ponendo termine al loro viaggio nell’abisso.
Il canto finale dell’Inferno è tra i più suggestivi e conclusivi di tutta la cantica, chiudendo il viaggio tra gli orrori dei dannati e lasciando un’immagine indelebile della giustizia divina che condanna il peccato al di là di ogni redenzione.
Solo testo dei versi 1-69 del trentatreesimo canto dell’Inferno di Dante
Canto XXXIV e ultimo de la prima cantica di Dante Alleghieri di Fiorenza, nel qual canto tratta di Belzebù principe de’ dimoni e de’ traditori di loro signori, e narra come uscie de l’inferno.
“Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira”,
disse ’l maestro mio, “se tu ’l discerni”. 3
Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l’emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che ’l vento gira, 6
veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio, ché non lì era altra grotta. 9
Già era, e con paura il metto in metro,
là dove l’ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro. 12
Altre sono a giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte. 15
Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch’ebbe il bel sembiante, 18
d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
“Ecco Dite”, dicendo, “ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t’armi”. 21
Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco. 24
Io non mori’ e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s’ hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo. 27
Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno, 30
che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’esser dee quel tutto
ch’a così fatta parte si confaccia. 33
S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto. 36
Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’io vidi tre facce a la sua testa!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia; 39
l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta: 42
e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. 45
Sotto ciascuna uscivan due grand’ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid’io mai cotali. 48
Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello: 51
quindi Cocito tutto s’aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. 54
Da ogne bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti. 57
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla. 60
“Quell’anima là sù c’ ha maggior pena”,
disse ’l maestro, “è Giuda Scarïotto,
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena. 63
De li altri due c’ hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!; 66
e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
è da partir, ché tutto avem veduto”. 69