Introduzione alle Odi, lettura e commento dell’ode La caduta di Giuseppe Par…
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28 Dicembre 2019Il precettore istruisce l’allievo aristocratico, non propenso agli studi e al servizio militare, su come riempire le sue vuote giornate. Parini mette a confronto la vita inutile della nobiltà con quella del contadino e del fabbro costretti a lavorare tutto il giorno per guadagnarsi da vivere.
Parini mette in risalto il valore del lavoro giudicato indispensabile per la vita dell’uomo. Il contadino non è solo un lavoratore di campi ma un personaggio fondamentale poiché portatore di valori positivi, quali la famiglia e il lavoro; egli utilizza aggettivi (“buon villan”, “caro letto”) per evocare l’intimità degli affetti e il calore familiare; così come il fabbro, lavoratore di città, con il termine “sonante” viene nobilitato attraverso l’evocazione dell’immagine mitologica del dio Vulcano.
Emerge la concezione illuministica egualitarista di Parini che intende esaltare la virtù del singolo individuo, conquistata con il lavoro, e condannare la figura del nobile che, a causa della sua vita oziosa, degrada il valore della famiglia.
Vi è il contrasto tra il lusso corrotto dei nobili e la semplicità dei lavoratori.
Emergono due concezioni antitetiche della figura del lavoratore: da una parte vi è la concezione del nobile che vede il contadino come un animale condannato a una vita misera; dall’altra vi è la concezione del poeta secondo cui il contadino è condannato a questa vita ingiustamente.
Parini utilizza un linguaggio ironico per mettere in luce la figura negativa del nobile. Egli finge di provare ammirazione nei confronti del giovin signore utilizzando immagini iperboliche che, risultando sproporzionate con la pochezza del nobile, ridicolizzano la figura di quest’ultimo.
LA COLAZIONE DEL GIOVIN SIGNORE
Ma il damigel ben pettinato i crini
Ecco s’innoltra; e con sommessi accenti
Chiede qual più de le bevande usate
Sorbir tu goda in preziosa tazza.
Indiche merci son tazza e bevande:
Scegli qual più desii. S’oggi a te giova
Porger dolci a lo stomaco fomenti
Onde con legge il natural calore
V’arda temprato, e al digerir ti vaglia,
Tu il cioccolatte eleggi, onde tributo
Ti diè il Guatimalese e il Caribeo
Che di barbare penne avvolto ha il crine:
Ma se noiosa ipocondria ti opprime,
O troppo intorno a le divine membra
Adipe cresce, de’ tuoi labbri onora
La nettarea bevanda ove abbronzato
Arde e fumica il grano a te d’Aleppo
Giunto e da Moca che di mille navi
Popolata mai sempre insuperbisce.
Certo fu d’uopo che da i prischi seggi
Uscisse un regno, e con audaci vele
Fra straniere procelle e novi mostri
E teme e rischi ed inumane fami
Superasse i confin per tanta etade
Inviolati ancora: e ben fu dritto
Se Pizzarro e Cortese umano sangue
Più non stimàr quel ch’oltre l’Oceàno
Scorrea le umane membra; e se tonando
E fulminando alfin spietatamente
Balzaron giù da i grandi aviti troni
Re Messicani e generosi Incassi,
Poi che nuove così venner delizie
O gemma de gli eroi al tuo palato.
Cessi ‘l cielo però che in quel momento
Che le scelte bevande a sorbir prendi,
Servo indiscreto a te improvviso annunci
O il villano sartor che non ben pago
D’aver teco diviso i ricchi drappi
Oso sia ancor con polizza infinita
Fastidirti la mente; o di lugùbri
Panni ravvolto il garrulo forense
Cui de’ paterni tuoi campi e tesori
Il periglio s’affida; o il tuo castaldo
Che già con l’alba a la città discese
Bianco di gelo mattutin la chioma.
Così zotica pompa i tuoi maggiori
Al dì nascente si vedean dintorno:
Ma tu gran prole in cui si fèo scendendo
E più mobile il senso e più gentile
Ah sul primo tornar de’ lievi spirti
All’uficio diurno ah non ferirli
D’imagini sì sconce. Or come i detti
Di costor soffrirai barbari e rudi;
Come il penoso articolar di voci
Smarrite titubanti al tuo cospetto;
E tra l’obliquo profondar d’inchini
Del calzar polveroso in su i tapeti
Le impresse orme indecenti? Ahimè che fatto
Il salutar licore agro e indigesto
Ne le viscere tue te allor faria
E in casa e fuori e nel teatro e al corso
Ruttar plebeiamente il giorno intero!