Ventesimo capitolo dei Promessi Sposi
28 Dicembre 2019Qualcuno con cui correre di David Grossman
28 Dicembre 2019Questo brano è tratto dal Canto XXVI dell’Inferno di Dante Alighieri, noto per essere il canto di Ulisse.
Nel contesto dell’ottavo cerchio dell’Inferno, tra i consiglieri fraudolenti, Dante offre un’intensa riflessione sulla grandezza e la caduta di Firenze, nonché un incontro memorabile con le anime di Ulisse e Diomede, che scontano le loro pene avvolti in fiamme singolari. Vediamo un’analisi più dettagliata del testo.
Testo:
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande Tra li ladron trovai cinque cotali Ma se presso al mattin del ver si sogna, E se già fosse, non saria per tempo. Noi ci partimmo, e su per le scalee e proseguendo la solinga via, Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio perché non corra che virtù nol guidi; Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, come la mosca cede a la zanzara, di tante fiamme tutta risplendea E qual colui che si vengiò con li orsi che nol potea sì con li occhi seguire, tal si move ciascuna per la gola Io stava sovra ’l ponte a veder surto, E ’l duca, che mi vide tanto atteso, “Maestro mio”, rispuos’io, “per udirti chi è ’n quel foco che vien sì diviso Rispuose a me: “Là dentro si martira e dentro da la lor fiamma si geme Piangevisi entro l’arte per che, morta, “S’ei posson dentro da quelle faville che non mi facci de l’attender niego Ed elli a me: “La tua preghiera è degna Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto Poi che la fiamma fu venuta quivi |
Parafrasi:
“Rallegrati, Firenze, visto che sei così potente da dominare i mari e le terre con le tue ali, e il tuo nome risuona persino negli inferi! Tra i ladri ho trovato cinque tuoi cittadini, per i quali provo vergogna, e tu, ahimè, non ne trai alcun onore. Ma se la mattina della verità si avvicina, sentirai presto ciò che Prato, e non solo lei, ti desidera. E se già fosse accaduto, non sarebbe ancora troppo presto. Così sia, dal momento che deve accadere! Perché mi peserà ancora di più, man mano che mi avvicinerò a quel momento. Noi ci allontanammo e, risalendo le scalinate che ci avevano servito per scendere, il mio maestro mi tirò su e proseguimmo il nostro cammino solitario. Tra le rocce e i massi della scogliera, il piede non si muoveva senza l’aiuto della mano. Allora mi dispiaceva, e ora mi rallegro, quando rivolgo il pensiero a ciò che vidi, e freno il mio ingegno più di quanto sia solito fare, per non correre più veloce di quanto la virtù mi guidi. Così, se una buona stella o una forza superiore mi ha dato il bene che possiedo, non me lo invidino. Come il contadino che si riposa su un colle, nel momento in cui colui che illumina il mondo mostra meno nascosta la sua faccia, vede le lucciole brillare giù in valle, forse proprio dove vendemmia e ara, così tutta l’ottava bolgia risplendeva di tante fiamme, come mi accorsi subito che fui là dove si vedeva il fondo. E come colui che si vendicò con gli orsi vide il carro di Elia allontanarsi, quando i cavalli si levarono in cielo, e non poté seguirlo con lo sguardo al punto da vedere altro che la fiamma sola, che saliva come una nuvoletta, così ciascuna fiamma si muove nella gola del fosso, perché nessuna nasconde il furto, e ogni fiamma avvolge un peccatore. Io stavo sul ponte a guardare in alto, tanto che se non mi fossi aggrappato a una sporgenza, sarei caduto giù senza essere spinto. E il maestro, vedendomi così attento, disse: “Dentro i fuochi ci sono gli spiriti; avvolgiti con quello che è infuocato”. “Maestro mio”, risposi io, “sono più sicuro per aver sentito te, ma già mi ero accorto che fosse così e stavo per dirtelo: chi è in quel fuoco che si divide così in alto, che sembra sorgere dalla pira dove Eteocle e suo fratello furono messi?”. Rispose a me: “Là dentro si tortura Ulisse e Diomede, e così insieme vanno alla vendetta come all’ira, e dentro la loro fiamma si lamenta l’agguato del cavallo che fece la porta da cui uscì il nobile seme dei Romani. Là dentro si piange l’arte per cui, morta, Deidamia ancora piange Achille, e si soffre per il Palladio”. “Se possono parlare dentro quelle faville”, dissi io, “maestro, ti prego molto e ti riprego, e che la mia preghiera valga mille, che non mi neghi di aspettare finché la fiamma cornuta non arrivi qui; vedi come il mio desiderio mi inclina verso di lei!”. Ed egli a me: “La tua preghiera è degna di molta lode, e io perciò l’accetto, ma fa che la tua lingua si taccia. Lascia parlare a me, che ho pensato a ciò che tu vuoi; perché essi, essendo greci, forse schiverebbero le tue parole”. Poi che la fiamma fu venuta lì dove parve al mio duca tempo e luogo, in questa forma lui cominciò a parlare:” |
1. L’invettiva contro Firenze (vv. 1-12)testo e parafrasi
Il canto si apre con una dura invettiva di Dante contro la sua città natale, Firenze:
- “Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande / che per mare e per terra batti l’ali, / e per lo ‘nferno tuo nome si spande!” (vv. 1-3): Con tono sarcastico, Dante ammonisce Firenze, che si vanta della sua potenza e influenza, ma la cui fama si diffonde persino nell’Inferno a causa dei molti peccatori cittadini presenti tra i dannati.
- “Tra li ladron trovai cinque cotali / tuoi cittadini onde mi ven vergogna” (vv. 4-5): Dante si riferisce ai cinque ladroni fiorentini che ha incontrato nel Canto precedente (Canto XXV), esprimendo vergogna per il comportamento della sua città.
- Profezia di sventura: Dante profetizza una futura punizione per Firenze, citando Prato come strumento di tale sventura (vv. 7-9). Questa è una profezia velata che fa riferimento a future guerre o tumulti civili.
2. Il ritorno alle bolge (vv. 13-42)
Dante e Virgilio proseguono il loro viaggio, salendo le scale che li riportano nella settima bolgia per poi raggiungere l’ottava bolgia, dove vengono puniti i consiglieri fraudolenti. Dante descrive le difficoltà del percorso, che diventa sempre più arduo e richiede un uso costante delle mani per spostarsi tra rocce e schegge (vv. 16-21).
La descrizione della ottava bolgia è particolarmente suggestiva: Dante paragona le anime dannate, avvolte dalle fiamme, alle lucciole viste da un contadino in una valle di notte (vv. 25-30). Ogni fiamma nasconde un peccatore, come se le anime fossero “rubate” dal fuoco, invisibili se non per la fiamma stessa.
3. L’incontro con Ulisse e Diomede (vv. 43-90)
Dante e Virgilio si fermano a osservare una fiamma biforcuta che si distingue dalle altre. Dante chiede a Virgilio chi sia all’interno di quella fiamma così particolare:
- Virgilio spiega che Ulisse e Diomede sono entrambi puniti in quella fiamma per aver commesso grandi inganni, tra cui:
- L’inganno del cavallo di Troia (vv. 58-60), che portò alla caduta di Troia.
- La morte di Deidamia, l’amata di Achille, ingannata affinché il suo amante andasse a combattere.
- Il furto del Palladio, la statua sacra che garantiva la protezione di Troia, che contribuì alla rovina della città.
Dante, affascinato dalla presenza di queste grandi figure della storia antica, esprime il desiderio di parlare con loro e chiede a Virgilio di farlo da intermediario. Virgilio, sapendo che Ulisse e Diomede potrebbero non comprendere il linguaggio di Dante perché sono greci, si offre di parlare lui stesso con loro (vv. 79-90).
Temi e significato del brano
- Il fallimento di Firenze: La critica a Firenze all’inizio del canto evidenzia il profondo disappunto di Dante verso la sua città. L’invettiva rappresenta il degrado morale che Dante vede nella sua città, dominata dall’avidità e dalla corruzione. Questa riflessione è una chiara manifestazione del suo esilio e della sua frustrazione politica.
- Il concetto di frode: Il Canto XXVI è dedicato ai consiglieri fraudolenti, coloro che con la parola o l’inganno hanno causato la rovina altrui. La punizione inflitta a Ulisse e Diomede è emblematica di questo, poiché entrambi sono stati protagonisti di inganni leggendari che hanno portato alla distruzione di Troia e alla sofferenza di altri. La fiamma in cui sono avvolti simboleggia la loro colpa e la loro punizione.
- Il desiderio di conoscenza: L’incontro con Ulisse mette in luce uno dei temi centrali del canto: il desiderio di conoscenza che porta alla rovina. Ulisse, nel prosieguo del canto, racconterà come il suo desiderio di sapere e di esplorare oltre i limiti umani lo abbia portato a una fine tragica. Questo tema del “limite” è centrale nell’opera di Dante: l’uomo, che cerca di superare i confini imposti dalla condizione umana, sfida la legge divina e cade inevitabilmente.
- Il contrasto tra grandezza e colpa: Ulisse e Diomede sono figure storiche di grandezza e ingegno, ma sono anche dannati per i loro peccati di frode. Dante riflette su come anche i grandi eroi del passato siano soggetti alla giustizia divina e come la loro intelligenza e astuzia possano condurli alla rovina.
Conclusione
Il Canto XXVI dell’Inferno è uno dei più celebri e intensi dell’intera “Divina Commedia”. L’invettiva contro Firenze, l’incontro con Ulisse e Diomede e la riflessione sul desiderio di conoscenza rendono questo canto un momento di grande profondità filosofica e morale. Dante, attraverso Ulisse, esprime l’ambivalenza del sapere e dell’ambizione umana, evidenziando come la ricerca incontrollata della conoscenza possa condurre alla dannazione.
Solo Testo di Dante, Canto 26, vv. 1-78
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ‘nferno tuo nome si spande! 3Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali. 6
Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. 9
E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss’ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com’ più m’attempo. 12
Noi ci partimmo, e su per le scalee
che n’avea fatto iborni a scender pria,
rimontò ’l duca mio e trasse mee; 15
e proseguendo la solinga via,
tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio
lo piè sanza la man non si spedia. 18
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, 21
perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. 24
Quante ’l villan ch’al poggio si riposa,
nel tempo che colui che ’l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa, 27
come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dov’e’ vendemmia e ara: 30
di tante fiamme tutta risplendea
l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi
tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. 33
E qual colui che si vengiò con li orsi
vide ’l carro d’Elia al dipartire,
quando i cavalli al cielo erti levorsi, 36
che nol potea sì con li occhi seguire,
ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
sì come nuvoletta, in sù salire: 39
tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra ’l furto,
e ogne fiamma un peccatore invola. 42
Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
sì che s’io non avessi un ronchion preso,
caduto sarei giù sanz’esser urto. 45
E ’l duca, che mi vide tanto atteso,
disse: “Dentro dai fuochi son li spirti;
catun si fascia di quel ch’elli è inceso”. 48
“Maestro mio”, rispuos’io, “per udirti
son io più certo; ma già m’era avviso
che così fosse, e già voleva dirti: 51
chi è ’n quel foco che vien sì diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov’Eteòcle col fratel fu miso?”. 54
Rispuose a me: “Là dentro si martira
Ulisse e Dïomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l’ira; 57
e dentro da la lor fiamma si geme
l’agguato del caval che fé la porta
onde uscì de’ Romani il gentil seme. 60
Piangevisi entro l’arte per che, morta,
Deïdamìa ancor si duol d’Achille,
e del Palladio pena vi si porta”. 63
“S’ei posson dentro da quelle faville
parlar”, diss’io, “maestro, assai ten priego
e ripriego, che ’l priego vaglia mille, 66
che non mi facci de l’attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna;
vedi che del disio ver’ lei mi piego!”. 69
Ed elli a me: “La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l’accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna. 72
Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto
ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
perch’e’ fuor greci, forse del tuo detto”. 75
Poi che la fiamma fu venuta quivi
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi: 78