Il pronome e le sue funzioni; i pronomi personali
28 Dicembre 2019Le origini della tragedia
28 Dicembre 2019Questo passo si trova nel Canto XIX dell’Inferno di Dante Alighieri, dove viene descritto l’incontro tra il poeta e il Papa Niccolò III, condannato nel terzo girone dell’ottavo cerchio tra i simonìaci, cioè coloro che nella vita terrena hanno commesso il peccato della simonia (vendita di cariche ecclesiastiche e beni spirituali).
Testo e Parafrasi del passo
Testo:
Per che lo spirto tutti storse i piedi; Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto, e veramente fui figliuol de l’orsa, Di sotto al capo mio son li altri tratti Là giù cascherò io altresì quando Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi ché dopo lui verrà di più laida opra, Nuovo Iasón sarà, di cui si legge Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle, Nostro Segnore in prima da san Pietro Né Pier né li altri tolsero a Matia Però ti sta, ché tu se’ ben punito; E se non fosse ch’ancor lo mi vieta io userei parole ancor più gravi; Di voi pastor s’accorse il Vangelista, quella che con le sette teste nacque, Fatto v’avete dio d’oro e d’argento; Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, E mentr’io li cantava cotai note, I’ credo ben ch’al mio duca piacesse, Però con ambo le braccia mi prese; Né si stancò d’avermi a sé distretto, Quivi soavemente spuose il carco, Indi un altro vallon mi fu scoperto. |
Parafrasi:
Il Papa Niccolò III, sospirando e con una voce piena di dolore, rivolge a Dante una domanda: “Che cosa vuoi sapere da me?” (v. 66). Subito dopo spiega chi è, affermando che fu un pontefice (vestito del gran manto), e che apparteneva alla potente famiglia romana degli Orsini, rappresentata dall’orsa (v. 69). Confessa di aver bramato ricchezze per favorire i suoi familiari, chiamati orsatti, al punto da accumulare denaro durante la vita e portarlo con sé anche nell’inferno, poiché questo lo ha condotto alla sua dannazione. Racconta, inoltre, che sotto di lui si trovano altri simoniaci, e che anche lui cadrà ancora più in basso quando sarà sostituito da un altro peccatore più grave, che lui inizialmente aveva confuso con Dante. Infine, predice che dopo di lui verrà un altro papa, peggiore di lui (di più laida opra), che proviene dall’Occidente e sarà destinato a essere ricordato per la sua mancanza di legge e giustizia (v. 84-87). Dante, forse un po’ audace (fui qui troppo folle), risponde con un discorso critico. Ricorda a Niccolò III che né San Pietro né gli altri apostoli chiesero oro o ricchezze quando ricevettero il compito di guidare la Chiesa. Ricorda che Gesù non cercò denaro, ma semplicemente chiese ai suoi seguaci di seguirlo (v. 93). Poi, Dante condanna l’avidità del papa e sottolinea come essa abbia causato danni alla Chiesa e al mondo, invertendo i valori morali, elevando i malvagi e calpestando i buoni (v. 105). Dante conclude facendo un riferimento all’Apocalisse di San Giovanni, paragonando la corruzione della Chiesa contemporanea alla Babilonia apocalittica (v. 108-111), la grande prostituta che siede sulle acque e pecca con i re della terra. Egli accusa i simoniaci di aver trasformato Dio in oro e argento, equiparandoli agli idolatri, che adorano falsi dèi (v. 114). Infine, Dante rivolge un’amara riflessione storica a Costantino, accusandolo non tanto per la sua conversione al cristianesimo, ma per la ricchezza e i privilegi concessi alla Chiesa, da cui è nata la corruzione ecclesiastica (v. 117). Mentre Dante pronuncia questo discorso, Niccolò si contorce con violenza, spinto forse dalla rabbia o dal rimorso. Virgilio, compiaciuto dalle parole di Dante, lo prende e lo riporta in alto sull’argine, attraverso il difficile percorso che li porta al quinto argine dell’ottavo cerchio (v. 126-129).
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Analisi del passo
Questo passo del Canto XIX dell’Inferno offre una dura critica alla corruzione della Chiesa e all’accumulo di ricchezze da parte del clero, con particolare riferimento ai papi simoniaci. Dante usa la figura di Papa Niccolò III per rappresentare l’avidità ecclesiastica, ma la sua accusa si estende a tutta la gerarchia corrotta della Chiesa del suo tempo.
Temi principali:
- Simonia: Il peccato di vendere cariche ecclesiastiche e beni spirituali. I simonìaci sono puniti nell’Inferno con un’inversione simbolica: sono infissi a testa in giù nelle fosse con i piedi che bruciano, simboleggiando la loro vita “rovesciata” da un desiderio di ricchezze e potere.
- Condanna della Chiesa corrotta: Dante condanna la corruzione papale, accusando esplicitamente Niccolò III e preannunciando l’arrivo di un papa peggiore (probabilmente Bonifacio VIII). La critica si basa sull’idea che la Chiesa dovrebbe essere spirituale, non materialista.
- Apocalisse e simbolismo biblico: Dante fa riferimento all’Apocalisse di San Giovanni, citando la figura della prostituta Babilonia, simbolo della corruzione della Chiesa che tradisce i suoi principi per arricchirsi (v. 108-111).
- Riflessione storica: L’invettiva contro Costantino riguarda la presunta Donazione di Costantino, un falso documento medievale che si diceva avesse trasferito al papa il controllo temporale di vasti territori. Dante critica il danno causato alla spiritualità della Chiesa da questa “dote” materiale (v. 117).
Conclusione
In questo passaggio, Dante usa il personaggio di Niccolò III per denunciare la corruzione morale che affligge la Chiesa, in particolare l’avidità e la simonia. La sua critica non è solo verso il singolo individuo, ma si estende a tutto il sistema ecclesiastico, che ha tradito il proprio scopo spirituale a causa del desiderio di potere e ricchezze materiali. Il tono del poeta è severo e giustiziere, mentre Virgilio, la sua guida, approva silenziosamente le sue parole.
Testo originale dei versi 63-133 del diciannovesimo canto dell’Inferno:
Per che lo spirto tutti storse i piedi;
poi, sospirando e con voce di pianto,
mi disse: “Dunque che a me richiedi? 66
Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,
che tu abbi però la ripa corsa,
sappi ch’i’ fui vestito del gran manto; 69
e veramente fui figliuol de l’orsa,
cupido sì per avanzar li orsatti,
che sù l’avere e qui me misi in borsa. 72
Di sotto al capo mio son li altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
per le fessure de la pietra piatti. 75
Là giù cascherò io altresì quando
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,
allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando. 78
Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
e ch’i’ son stato così sottosopra,
ch’el non starà piantato coi piè rossi: 81
ché dopo lui verrà di più laida opra,
di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra. 84
Nuovo Iasón sarà, di cui si legge
ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
suo re, così fia lui chi Francia regge”. 87
Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,
ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:
“Deh, or mi dì: quanto tesoro volle 90
Nostro Segnore in prima da san Pietro
ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?
Certo non chiese se non “Viemmi retro”. 93
Né Pier né li altri tolsero a Matia
oro od argento, quando fu sortito
al loco che perdé l’anima ria. 96
Però ti sta, ché tu se’ ben punito;
e guarda ben la mal tolta moneta
ch’esser ti fece contra Carlo ardito. 99
E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
la reverenza de le somme chiavi
che tu tenesti ne la vita lieta, 102
io userei parole ancor più gravi;
ché la vostra avarizia il mondo attrista,
calcando i buoni e sollevando i pravi. 105
Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista; 108
quella che con le sette teste nacque,
e da le diece corna ebbe argomento,
fin che virtute al suo marito piacque. 111
Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
e che altro è da voi a l’idolatre,
se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? 114
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!”. 117
E mentr’io li cantava cotai note,
o ira o coscïenza che ’l mordesse,
forte spingava con ambo le piote. 120
I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,
con sì contenta labbia sempre attese
lo suon de le parole vere espresse. 123
Però con ambo le braccia mi prese;
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
rimontò per la via onde discese. 126
Né si stancò d’avermi a sé distretto,
sì men portò sovra ’l colmo de l’arco
che dal quarto al quinto argine è tragetto. 129
Quivi soavemente spuose il carco,
soave per lo scoglio sconcio ed erto
che sarebbe a le capre duro varco. 132
Indi un altro vallon mi fu scoperto.