Canto trentesimo del Purgatorio vv. 1-54
28 Dicembre 2019Il manifesto tecnico della letteratura futurista
28 Dicembre 2019Nel seguente brano del dramma Didone abbandonata di Pietro Metastasio, ritroviamo un tema classico: l’abbandono di Didone da parte di Enea.
Testo di Metastasio, con evidenti citazioni dal libro quarto dell’Eneide di Virgilio
E soffrirò che sia
sì barbara mercede
premio della tua fede, anima mia!
Tanto amor, tanti doni…
Ah! pria ch’io t’abbandoni,
pèra l’Italia, il mondo,
resti in oblio profondo
la mia fama sepolta,
vada in cenere Troia un’altra volta.
Ah! che dissi! alle mie
amorose follie,
gran genitor, perdona: io n’ho rossore.
Non fu Enea che parlò, lo disse Amore.
Si parta… E l’empio Moro
stringerà il mio tesoro?
No… Ma sarà frattanto
al proprio genitor spergiuro il figlio?
Padre, amor, gelosia, numi, consiglio!
Se resto sul lido,
se sciolgo le vele,
infido, crudele
mi sento chiamar.
E intanto, confuso
nel dubbio funesto,
non parto, non resto,
ma provo il martire
em>che avrei nel partire,
che avrei nel restar.
(Didone abbandonata, Atto I, sc. 18)
Il riferimento alla vicenda virgiliana dell’Eneide è evidente, poiché anche qui, come nel poema epico di Virgilio, Didone viene lasciata dal suo amante per il dovere più alto che Enea ha nei confronti del destino e della missione divina di fondare Roma.
Metastasio, tuttavia, lo rivisita in una forma lirica che pone l’accento non solo sul conflitto tra amore e dovere, ma anche sull’interiorità tormentata dell’eroe.
Analisi
Il passaggio inizia con una domanda retorica: “E soffrirò che sia / sì barbara mercede / premio della tua fede, anima mia!“. In queste parole emerge il dolore per l’idea di abbandonare Didone. Il verbo “soffrirò” evidenzia la resistenza emotiva di Enea al compito che deve compiere, ovvero partire. La scelta di mercede (compenso) pone l’abbandono come una ricompensa negativa per l’amore e la dedizione di Didone. Questo senso di ingiustizia è tipico del conflitto morale che caratterizza l’eroe metastasiano, diviso tra il dovere e il sentimento personale.
Il rimando diretto a Tanto amor, tanti doni ricorda i numerosi segni d’affetto e i benefici ricevuti da Didone, i quali rendono la decisione ancora più dolorosa. La dichiarazione “pria ch’io t’abbandoni, / pèra l’Italia, il mondo,” rappresenta un momento di ribellione alle forze del destino: Enea arriva a desiderare la distruzione del suo compito divino pur di non abbandonare la regina cartaginese. Il riferimento all’idea che “vada in cenere Troia un’altra volta” rinforza l’intensità della sofferenza del protagonista, ponendolo di fronte a un bivio che lo costringe a scegliere tra amore e missione storica.
Tuttavia, subito dopo, Enea si pente di queste parole, riconoscendole come amorose follie. La sua reazione è umana e profondamente morale: “gran genitor, perdona: io n’ho rossore“. Il gran genitor (Giove) è il simbolo dell’autorità e del destino, e questo pentimento esprime la consapevolezza che non può sfuggire al dovere divino che gli è imposto.
La frase “Non fu Enea che parlò, lo disse Amore” è cruciale: qui Enea distingue se stesso come uomo guidato dal destino da Enea come amante travolto dai sentimenti. Amore viene descritto come una forza che prende il controllo, separando il guerriero e il fondatore di una nuova stirpe dall’uomo vulnerabile e innamorato. Questo dualismo tra dovere e passione è uno dei punti focali del dramma.
Il conflitto culmina in una serie di domande drammatiche: “Se resto sul lido, / se sciolgo le vele,” esprime l’incertezza di Enea, intrappolato tra due scelte impossibili. Il verbo “infido, crudele” che sente di essere chiamato se partirà mostra come qualsiasi decisione lo faccia sentire in colpa e lo faccia apparire traditore agli occhi di Didone, ma anche di se stesso.
Commento
Metastasio, in Didone abbandonata, riprende fedelmente il modello dell’eroe classico del dovere, ma lo carica di un forte pathos emotivo. Enea non è solo un esecutore del fato, ma è anche un uomo travolto da sentimenti contrastanti, cosa che lo rende più umano rispetto alla figura epica virgiliana, tradizionalmente più focalizzata sull’obbedienza al destino. L’analisi interiore del protagonista lo rende tormentato e instabile, diviso tra amore (rappresentato da Didone) e dovere (l’obbligo di fondare Roma). Questo conflitto è risolto solo attraverso la consapevolezza che il dovere è ineludibile e che l’amore deve essere sacrificato.
Il ruolo dell’Amore in Metastasio è centrale: mentre per Virgilio esso è un ostacolo da superare per adempiere al destino, qui diventa una forza destabilizzante che getta Enea in una crisi profonda. Tuttavia, il destino prevale, e l’eroe si arrende, accettando l’inevitabilità della sua partenza.
L’ultimo passaggio del testo rappresenta in modo poetico la condizione universale dell’uomo, sempre in bilico tra desideri personali e responsabilità più grandi di lui.
Accademia dell’Arcadia
L’Accademia dell’Arcadia, fondata a Roma nel 1690, è uno dei più importanti movimenti letterari italiani del tardo Seicento e primo Settecento. Il suo scopo principale era quello di promuovere una riforma della poesia e delle arti, opponendosi agli eccessi del barocco e recuperando la semplicità e la purezza dell’espressione letteraria, ispirata agli ideali dell’antichità classica. Il nome “Arcadia” richiama una regione idealizzata della Grecia antica, abitata da pastori che vivevano in armonia con la natura, simbolo di un mondo perfetto, sereno e semplice.
Contesto storico e culturale
Nel Seicento, la cultura letteraria italiana era dominata dal barocco, uno stile caratterizzato da un’estrema elaborazione formale, dall’uso di metafore complesse, giochi di parole, e da un gusto per l’eccesso. Molti intellettuali, verso la fine del secolo, sentivano il bisogno di una reazione contro questi eccessi, cercando di riportare la poesia e l’arte in generale a una forma più sobria e comprensibile.
L’Arcadia nacque da questo clima di insoddisfazione e rifiuto del barocco. Il movimento fu fondato da Giovanni Mario Crescimbeni e altri intellettuali, tra cui il celebre poeta Vincenzo Gravina, allo scopo di recuperare un ideale classico di bellezza e armonia, prendendo come modelli i poeti greci e latini, oltre ai grandi del Rinascimento italiano, come Petrarca.
Ideali e programma
Gli arcadi si ispiravano a un’idea di poesia pastorale e idilliaca, che esaltava la semplicità della vita rurale, la purezza dei sentimenti e il rapporto diretto con la natura. L’ideale era quello di una poesia limpida, elegante e decorosa, priva di artifici complicati e priva di ornamenti retorici barocchi.
Questi ideali si traducevano in una pratica letteraria caratterizzata da:
- Chiarezza espressiva: gli arcadi rifiutavano i linguaggi oscuri e gli intrecci tortuosi del barocco, preferendo una lingua lineare e facilmente comprensibile.
- Armonia e misura: seguendo i modelli classici, cercavano di bilanciare emozioni e ragione, senza mai eccedere nei sentimenti o nelle descrizioni.
- Imitazione della natura: il ritorno alla natura e alla semplicità era un punto centrale. La natura veniva idealizzata e rappresentata come fonte di ispirazione e di serenità.
- Poesia pastorale: un genere che divenne centrale nell’Arcadia, poiché ben rappresentava il desiderio di un ritorno all’innocenza e alla pace, lontano dalle complicazioni della vita cittadina e della corte.
Struttura e funzionamento
L’Accademia aveva una struttura molto ben definita e organizzata. I membri dell’Arcadia erano chiamati “pastori” e assumevano un nome pastorale, come avveniva nell’immaginario bucolico. Si riunivano in un ambiente rurale simbolico, spesso associato a luoghi idilliaci della natura.
Le riunioni dell’Arcadia erano chiamate “adunanze” e avevano uno scopo prevalentemente letterario: durante queste riunioni, i poeti leggevano le loro opere, discutevano di letteratura e filosofia, e cercavano di promuovere uno stile letterario più semplice e armonioso. Tra gli arcadi più celebri si ricordano Metastasio, Parini, Monti, Alfieri e Goldoni.
Influenza
L’Accademia dell’Arcadia ebbe un enorme impatto sulla letteratura italiana e su quella europea. I suoi membri, spesso esponenti di grande rilievo del mondo intellettuale dell’epoca, diffusero un gusto neoclassico che influenzò in modo significativo la poesia, la tragedia e l’opera lirica.
Tra le sue influenze più importanti ci fu Pietro Metastasio, poeta e librettista, che incarnò perfettamente gli ideali arcadici nella sua produzione di melodrammi e opere per il teatro musicale, rendendoli un modello europeo.
Tuttavia, a partire dalla fine del Settecento e con l’avvento del Romanticismo, l’Arcadia venne progressivamente criticata per la sua eccessiva formalità e distacco dai problemi della realtà, e cadde lentamente in disuso.
Conclusione
L’Accademia dell’Arcadia rappresentò un movimento di grande rilevanza nella cultura letteraria europea, soprattutto per la sua funzione di argine contro gli eccessi stilistici del barocco e per il recupero degli ideali classici di semplicità, eleganza e armonia. Anche se successivamente criticata per la sua freddezza e formalismo, essa rimase un punto di riferimento fondamentale per la cultura del Settecento.