La poesia nel quattrocento
28 Dicembre 2019Padre di Claudio Chieffo
28 Dicembre 2019“E lasciatemi divertire!” è una delle poesie più celebri di Aldo Palazzeschi, contenuta nella raccolta L’Incendiario del 1910.
La poesia incarna appieno lo spirito provocatorio e dissacrante del futurismo, movimento cui Palazzeschi aderì, anche se con un tono più giocoso e surreale rispetto a molti suoi contemporanei. Il testo è un esempio di poesia ludica, che rifiuta le convenzioni letterarie tradizionali e invita il lettore a una riflessione sull’arte poetica, mettendo in discussione le aspettative tradizionali sulla serietà della poesia.
Struttura e stile
La poesia è caratterizzata da un linguaggio frammentato e apparentemente privo di senso, con una successione di suoni onomatopeici, frasi brevi, e ripetizioni. Questa rottura con la struttura formale riflette uno dei principi chiave del futurismo: l’abbandono della metrica classica e del linguaggio tradizionale per esprimere la spontaneità e la giocosità del poeta.
Onomatopee
Tri tri tri,
fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu ihu.
L’uso di suoni privi di significato apre la poesia con una serie di versi che imitano rumori o suoni, riducendo la poesia a una pura espressione fonetica. Palazzeschi qui sperimenta con la musicalità delle parole, giocando con il loro aspetto acustico piuttosto che con il loro significato concettuale. Questo approccio rispecchia il desiderio del poeta di divertirsi e sperimentare con la libertà linguistica.
Tema principale: La libertà poetica
Il tema centrale della poesia è la libertà del poeta di esprimersi senza vincoli, rifiutando ogni imposizione stilistica o concettuale. Palazzeschi difende la sua “poetica del non-senso”, rivendicando il diritto del poeta di scrivere per il piacere stesso di farlo, senza preoccuparsi di creare significati profondi o di aderire alle aspettative del pubblico.
“Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente.
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire.”
Palazzeschi, con toni ironici e leggeri, afferma che il poeta ha diritto di divertirsi con la parola, proprio come un bambino gioca con i suoni senza preoccuparsi del significato. Il lettore è invitato a non prendere sul serio il poeta e ad accettare che la poesia possa essere una forma di gioco.
Critica alla poesia tradizionale
Un altro tema chiave è la critica alla poesia tradizionale, vista come un insieme di regole rigide e superate. Le “licenze poetiche”, che storicamente permettono piccole deviazioni dalle regole formali, sono qui esaltate come un mezzo per liberarsi del tutto dalle convenzioni. Palazzeschi sembra deridere chi prende troppo sul serio la poesia, sottolineando il carattere di libertà assoluta dell’arte:
“Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione.”
L’uso delle licenze poetiche non è più semplicemente una concessione, ma diventa il cuore stesso dell’attività creativa. Qui Palazzeschi afferma che la vera poesia sta nella trasgressione delle norme, nella possibilità di rompere i confini della comunicazione convenzionale.
Metapoesia e autocritica
In vari punti, Palazzeschi riflette ironicamente sul ruolo del poeta e sulla ricezione del pubblico. Si interroga su ciò che i suoi versi potrebbero significare, e si prende gioco di se stesso quando immagina che i suoi lettori potrebbero considerarlo un “fesso” per aver scritto versi senza nesso logico apparente:
“Se d’un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?”
Questa autocritica giocosa rende il poeta cosciente del proprio atteggiamento provocatorio, ma lo difende allo stesso tempo, rivendicando la validità della poesia come divertimento. La mancanza di nesso tra le parole è volutamente esasperata per mettere in discussione l’idea che una poesia debba necessariamente “dire qualcosa”.
Versi finali: Rifiuto delle aspettative sociali
Verso la fine del testo, Palazzeschi si scaglia contro l’eccessiva serietà della critica e della società che impone al poeta di giustificare il proprio ruolo:
“Certo è un azzardo un po’ forte,
scrivere delle cose così,
che ci son professori oggidì,
a tutte le porte.”
Qui emerge una critica sociale: Palazzeschi si schiera contro i critici e i “professori” che giudicano la poesia secondo parametri accademici, negando la possibilità del libero gioco creativo. Egli rivendica il diritto di fare poesia senza dover sottostare a questi canoni. La sua difesa finale è un’esclamazione che riassume l’intera visione della poesia:
“Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:
e lasciatemi divertire!”
Commento finale
Con il verso conclusivo “e lasciatemi divertire!”, Palazzeschi chiude il componimento con una chiara dichiarazione di indipendenza poetica. In un mondo dove i poeti non sono più richiesti per rispondere ai bisogni della società, Palazzeschi sceglie di divertirsi e di creare una poesia che esista per il piacere dell’atto creativo, libero da significati imposti o aspettative altrui. La sua poesia diventa, quindi, una celebrazione della leggerezza e della libertà espressiva in un contesto dominato dalla serietà accademica.
In conclusione, “E lasciatemi divertire!” di Aldo Palazzeschi è una poesia ironica e provocatoria che rompe con la tradizione per aprire la strada a una nuova concezione dell’arte, una concezione che privilegia la libertà creativa e la gioia del gioco rispetto alla profondità dei significati e alla formalità. La poesia futurista e crepuscolare di Palazzeschi è un invito a liberarsi dalle aspettative della società e a celebrare la spontaneità e la giocosità dell’atto poetico.
Ecco il testo della poesia di Palazzeschi:
Tri tri tri,
fru fru fru,
uhi uhi uhi,
ihu ihu ihu.
Il poeta si diverte, 5
pazzamente,
smisuratamente.
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto, 10
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù! 15
Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche.
Sono la mia passione. 20
Farafarafarafa,
tarataratarata,
paraparaparapa,
laralaralarala!
Sapete cosa sono? 25
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie.
Bubububu, 30
fufufufu,
Friù!
Friù!
Se d’un qualunque nesso
son prive, 35
perché le scrive
quel fesso?
Bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo 40
flum!
Bilolù. Filolù.
U.
Non è vero che non voglion dire,
vogliono dire qualcosa. 45
Voglion dire…
come quando uno si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare. 50
Aaaaa!
Eeeee!
Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu! 55
A! E! I! O! U!
Ma giovinotto,
ditemi un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco 60
tenere alimentato
un sì gran foco?
Huisc… Huiusc…
Huisciu… sciu sciu,
Sciukoku… Koku koku, 65
Sciu
ko
ku.
Come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese, 70
sembra ormai che scriviate in giapponese.
Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.
Lasciate pure che si sbizzarrisca, 75
anzi è bene che non la finisca,
il divertimento gli costerà caro:
gli daranno del somaro.
Labala
falala 80
falala
eppoi lala…
e lalala, lalalalala, lalala.
Certo è un azzardo un po’ forte,
scrivere delle cose così, 85
che ci son professori oggidì,
a tutte le porte.
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah! 90
Infine,
io ho pienamente ragione,
i tempi sono cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti: 90
e lasciatemi divertire!