Masetto da Lamporecchio. Decameron, III, 1
28 Dicembre 2019I pastori di Gabriele D’Annunzio
28 Dicembre 2019L’Adone di Giovan Battista Marino è il poema epico più importante del Barocco italiano, opera maestosa, ricca di immagini e di ricercati virtuosismi stilistici.
Nel Canto VII, attraverso la gara tra il suonatore di liuto e l’usignolo, Marino ci offre una scena di sublime bellezza, che combina lirismo, tecnica e allegoria.
In queste ottave, si celebra la fusione tra natura e arte, il limite del talento umano e la sua sfida al mondo naturale, in un crescendo che culmina nella tragica morte dell’usignolo.
Sintesi e Introduzione al Passo
La storia, narrata da Mercurio ad Adone, inizia con un suonatore solitario che, nel bosco notturno, suona il liuto, esprimendo il suo dolore d’amore. Un usignolo, richiamato dalla melodia, si avvicina e comincia a gareggiare con lui, cercando di emulare e superare il suono dello strumento con il suo canto naturale. La competizione, all’inizio scherzosa, diventa sempre più seria, con il suonatore che impiega tutte le sue abilità tecniche, mentre l’usignolo tenta di resistere. Alla fine, sfinito dall’impresa, l’usignolo muore. Il suonatore, colpito da pietà e rispetto per il coraggio dell’uccello, lo seppellisce nel suo liuto, segnando il legame tra natura e arte.
Analisi del Testo
Ottave 38-39: La Meraviglia della Natura
Mercurio introduce la gara riflettendo sulla meraviglia della Natura, sottolineando come essa, nelle sue opere minori, dedichi maggiore cura e ingegno. Egli si meraviglia che un uccellino così piccolo possa produrre un canto tanto armonioso e potente, portando l’attenzione del lettore sul miracolo della vita naturale e sulla sua bellezza intrinseca. L’analogia con il pittore che dedica maggior attenzione a una piccola figura rafforza la delicatezza e la perfezione di tale creazione naturale.
Ottave 40-43: Il Suonatore e l’Usignolo si Incontrano
Il suonatore, un giovane innamorato che esprime il suo dolore suonando il liuto, viene sorpreso dalla risposta del rossignolo. Il canto dell’usignolo sembra voler competere con la sua musica. Marino descrive il primo incontro tra i due come se fosse il principio di una sfida: l’usignolo, invaghito dal suono del liuto, si avvicina dapprima lentamente, affascinato, fino a posarsi addirittura sulla testa del suonatore. Qui, la natura e l’arte si incontrano simbolicamente, con l’usignolo che vuole emulare l’armonia del suonatore, e quest’ultimo che non si lascia distrarre dal “lieve peso” del piccolo animale.
Ottave 44-45: La Gara Prende Forma
Nella quarantacinquesima ottava, la gara musicale si intensifica. Il suonatore e l’usignolo iniziano a rispondersi l’un l’altro, alternando suoni e canti in un’armoniosa competizione. Marino enfatizza l’abilità tecnica del suonatore, ma allo stesso tempo celebra l’instancabile resistenza dell’usignolo, che cerca di seguire i virtuosismi dello strumento musicale. Il contrasto tra l’arte meccanica del liuto e la naturale perfezione del canto dell’usignolo è uno dei temi centrali: l’uomo sfida la natura non solo imitandola, ma cercando di superarla con la sua arte.
Ottave 46-52: La Competizione Si Intensifica
Le ottave successive descrivono come il suonatore, dapprima divertito e poco serio nella sua competizione con l’usignolo, inizia a prendersi gioco di lui, tentando passaggi sempre più complessi sul liuto. Tuttavia, il piccolo uccello non demorde e cerca di seguire i cambiamenti del suonatore, con un canto che imita sempre più fedelmente le cadenze e i toni. Marino costruisce la scena con una crescente tensione, descrivendo il suonatore che esplora le note più alte e più basse del suo strumento, mentre l’usignolo, con la sua “linguetta garrula”, continua a resistere.
Il suonatore è descritto come un maestro, con dita agili e veloci, che balenano sulle corde del liuto in un’esibizione tecnica impeccabile. È qui che Marino mostra il suo gusto barocco per il virtuosismo e il dettaglio, dipingendo il conflitto tra arte e natura come un duello, ma anche come un momento di estasi estetica.
Ottave 53-54: La Morte dell’Usignolo
Alla fine, l’usignolo, dopo ore di competizione, cede, sfinito dalla gara. Marino paragona la sua morte a una fiamma che vacilla e poi si spegne, ma che nel suo ultimo momento raddoppia in intensità. La delicatezza dell’immagine è quasi struggente: l’usignolo muore con onore, senza aver mai voluto cedere. È qui che si manifesta l’inevitabile limite della natura di fronte all’arte umana, rappresentata dalla maestria del suonatore.
Ottave 55-56: L’Omaggio del Suonatore
Il suonatore, colpito dalla morte del suo avversario, lo piange e lo seppellisce nel suo stesso liuto, un gesto che simboleggia la fusione tra natura e arte. Il suonatore riconosce la nobiltà dell’usignolo e la sua invincibile volontà di resistere. L’atto di seppellirlo nel liuto è una sorta di consacrazione: l’usignolo, rappresentante della natura, trova il suo riposo finale all’interno dello strumento umano, riconoscendo che natura e arte, in fondo, sono intrinsecamente legate.
Temi Principali
- Natura vs. Arte: Il conflitto tra l’usignolo e il suonatore di liuto è una rappresentazione allegorica della sfida tra natura e arte. L’usignolo, creatura della natura, canta con spontaneità e grazia innata, mentre il suonatore utilizza il suo ingegno tecnico e la sua arte per superarlo. Tuttavia, la gara finisce in tragedia, indicando che la sfida tra natura e arte non ha un vincitore chiaro; piuttosto, la loro unione diventa il tema centrale.
- Il Virtuosismo Barocco: Marino esprime in modo esemplare la sensibilità barocca per il virtuosismo, sia musicale che poetico. L’attenzione ai dettagli tecnici del suonatore di liuto e la descrizione delle sue mani agili che balzano tra le corde è un esempio del gusto barocco per l’eccesso e la complessità, ma sempre mantenendo una straordinaria raffinatezza.
- Il Dolore e la Bellezza: Il canto dell’usignolo e la musica del suonatore sono legati al dolore d’amore, al tema centrale dell’Adone. Il loro duello è, in fondo, un’espressione di tristezza e desiderio, ma anche di bellezza. La morte dell’usignolo, per quanto tragica, è vista come un sacrificio sublime, degno di essere ricordato.
Conclusione
Questo passo dell’Adone è uno dei migliori esempi del barocco marinese, dove l’arte umana cerca di superare la perfezione della natura. La gara tra l’usignolo e il suonatore di liuto non è solo una celebrazione della musica e della poesia, ma anche una riflessione sulla fragilità della vita e sulla tensione costante tra bellezza naturale e artificiale. La morte dell’usignolo simboleggia i limiti della natura, ma anche il rispetto e la pietà che l’artista deve avere nei confronti del mondo naturale, riconoscendone la sua grandezza e la sua fragilità.
Testo originale dall’Adone
La gara tra il suonatore di liuto e l’usignolo
Adone di Marino Canto VII, ottave 38-56
38.
Mercurio allor, che con orecchie fisse
vide Adone ascoltar canto si bello:
— Deh che ti pare — a lui rivolto disse —
de la divinitá di quell’augello?
Diresti mai, che tanta lena unisse
in sí poca sostanza un spiritello?
un spiritei, che d’armonia composto
vive in sí anguste viscere nascosto?
39.
Mirabil arte in ogni sua bell’opra
(ciò negar non si può) mostra Natura;
ma qual Pittor che ’ngegno e studio scopra
vie piú che ’il grande, in picciola figura,
ne le cose talor minime adopra
diligenza maggiore, e maggior cura.
Quest’eccesso però sovra l’usanza
d’ogni altro suo miracolo s’avanza.
40.
Di quel canto nel ver miracoloso
una istoria narrar bella ti voglio,
caso in un memorando, e lagrimoso,
da far languir di tenerezza un scoglio.
Sfogava con le corde in suon pietoso
un solitario amante il suo cordoglio.
Tacean le selve, e dal notturno velo
era occupato in ogni parte il cielo.
41.
Mentr’addolcia d’Amor l’amaro tosco
col suon, che ’l Sonno istesso intento tenne,
l’innamorato giovane ch’ai bosco,
per involarsi a la cittá, sen venne,
sentí dal nido suo frondoso e fosco
questo querulo augel batter le penne,
e gemendo accostarsi, ed invaghito
mormorar tra se stesso il suono udito.
42.
L’infelice augellin, che sovra un faggio
crasi desto a richiamare il giorno,
e dolcissimamente in suo linguaggio
supplicava l’Aurora a far ritorno,
interromper del bosco ermo e selvaggio
1 secreti silenzii udí dintorno,
e ferir l’aure d’angosciosi accenti
del trafitto d’Amor gli alti lamenti.
43.
Rapito allora, e provocato insieme
dal suon, che par ch’a sé l’inviti e chiami,
da le cime de l’arbore supreme
scende pian piano in su i piú bassi rami;
e ripigliando le cadenze estreme,
quasi ascoltarlo ed emularlo brami,
tanto s’appressa, e vola, e non s’arresta,
ch’alfin viene a posargli in su la testa.
44.
Quei che le fila armoniche percote
sente (né lascia l’opra) il lieve peso,
anzi il tenor de le dolenti note
piú forte intanto ad iterare ha preso.
E ’l miser Rossignuol quanto piú potè
segue suo stile, ad imitarlo inteso.
Quei canta, e nel cantar geme e si lagna,
e questo il canto e ’l gemito accompagna.
45.
E quivi l’un su ’l flebile stromento
a raddoppiare i dolorosi versi,
e l’altro a replicar tutto il lamento
come pur del suo duol voglia dolersi,
tenean con l’alternar del bel concento
tutti i lumi celesti a sé conversi,
ed allettavan pigre e taciturne
vie piú dolce a dormir l’Ore notturne.
46.
Da principio colui sprezzò la pugna,
e volse de l’augel prendersi gioco.
Lievemente a grattar prese con l’ugna
le dolci linee, e poi fermossi un poco.
Aspetta che ’l passaggio al punto giugna
l’altro, e rinforza poi lo spirto fioco,
e di Natura infaticabil mostro
ciò ch’ei fa con la man, rifá col rostro.
47.
Quasi sdegnando il Sonatore arguto
de l’emulazion gli alti contrasti,
e che seco animai tanto minuto
non che concorra, al paragon sovrasti,
comincia a ricercar sovra il liuto
del piú diffidi tuon gli ultimi tasti;
e la linguetta garrula e faconda,
ostinata a cantar, sempre il seconda.
48.
Arrossisce il maestro, e scorno prende,
che vinto abbia a restar da sí vii cosa.
Volge le chiavi, i nervi tira, e scende
con passata maggior fino a la rosa.
Lo Sfidator non cessa, anzi gli rende
ogni replica sua piú vigorosa;
e secondo che l’altro o cala, o cresce,
labirinti di voce implica e mesce.
49.
Quei di stupore allor divenne un ghiaccio,
e disse irato: — Io t’ho sofferto un pezzo!
O che tu non farai questa ch’io faccio
o ch’io vinto ti cedo, e ’l legno spezzo.
Recossi poscia il cavo arnese in braccio,
e come in esso a far gran prove avezzo,
con crome in fuga e sincope a traverso
pose ogni studio a variare il verso.
50.
Senz’alcuno intervallo e piglia e lassa
la radice del manico e la cima,
e come il trae la fantasia, s’abbassa,
poi risorge in un punto, e si sublima.
Talor trillando al canto acuto passa,
e col dito maggior tocca la prima.
Talora ancor con gravitá profonda
fin de l’ottava in su ’l bordon s’affonda.
51.
Vola su per le corde or basso, or alto,
piú che l’istesso augel, la man spedita.
Di sú di giú con repentino salto
van balenando le leggiere dita.
D’un fier conflitto e d’un confuso assalto
inimitabilmente i moti imita,
ed agguaglia col suon de’ dolci carmi
i bellicosí strepiti de Tarmi.
52.
Timpani e trombe, e tutto ciò che quando
serra in campo le schiere osserva Marte,
i suoi turbini spessi accelerando,
ne la dotta sonata esprime l’arte,
e tuttavia moltiplica sonando
le tempeste de’ groppi in ogni parte;
e mentr’ei l’armonia cosí confonde,
il suo competitor nulla risponde.
53.
Poi tace, e vuol veder se l’augelletto
col canto il suon per pareggiarlo adegua.
Raccoglie quello ogni sua forza al petto,
né vuole in guerra tal pace né tregua.
Ma come un debil corpo e pargoletto
esser può mai, ch’un sí gran corso segua?
Maestria tale, ed artificio tanto
semplice e naturai non cape un canto.
54.
Poi che molte e molt’ore ardita e franca
pugnò del pari la canora coppia,
ecco il povero augel, ch’alfin si stanca,
e langue, e sviene, e ’nfievolisce, e scoppia.
Cosí qual face, che vacilla e manca,
e maggior nel mancar luce raddoppia,
da la lingua, che mai ceder non volse,
il dilicato spirito si sciolse.
55.
Le stelle poco dianzi innamorate
di quel soave e dilettevol canto,
fuggir piangendo, e da le logge aurate
s’affacciò l’Alba, e venne il Sole intanto.
Il Musico gentil per gran piotate
l’estinto corpicei lavò col pianto,
ed accusò con lagrime e querele
non men se stesso, che ’l destin crudele.
56.
Ed ammirando il generoso ingegno,
Un negli aliti estremi invitto e forte,
nel cavo ventre del sonoro legno
il volse sepelir dopo la morte.
Né dar potea sepolcro unqua piú degno
a sí nobil cadavere la Sorte.
Poi con le penne de l’augello istesso
vi scrisse di sua man tutto il successo.