Gabriele D’Annunzio. Vita e opere
28 Dicembre 2019X Agosto di Giovanni Pascoli
28 Dicembre 2019L’introduzione alla prima giornata del Decameron, conosciuta anche come Orrido cominciamento, è un passaggio potentemente evocativo in cui Giovanni Boccaccio descrive gli effetti devastanti della peste che colpì Firenze nel 1348.
Questo episodio funge da cornice per l’intera raccolta di novelle e ha lo scopo di giustificare il contesto in cui i protagonisti decidono di ritirarsi dalla città per rifugiarsi in campagna, dove racconteranno le storie.
La descrizione di Boccaccio della peste è cupa, spietata e colpisce per la sua crudezza. L’autore non si limita a una narrazione distaccata dei fatti, ma offre un quadro estremamente vivido del disfacimento sociale e morale provocato dall’epidemia.
Descrizione della peste
Il Decameron si apre con una descrizione dettagliata della peste e dei suoi terribili effetti. La malattia si manifesta con gonfiori e macchie, come racconta Boccaccio:
«E cominciando essa in maschi e in femine indifferente insieme apparire, in principio si generavano in essi o nella anguinaia o sotto le ditelle certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comun grandezza di una mela, altre come un uovo.»
Questo dettaglio iniziale mostra l’imparzialità della morte, che colpisce senza distinzione di sesso o età. Boccaccio descrive il dilagare del contagio attraverso i corpi dei malati, sottolineando il terrore che questa manifestazione visibile della malattia suscitava nei cittadini.
Crollo delle relazioni sociali e morali
Uno degli aspetti più angoscianti della descrizione di Boccaccio è il collasso dei legami sociali. La peste non distrugge solo i corpi, ma anche le norme sociali e le relazioni umane fondamentali, con persone che abbandonano i propri cari nel momento del bisogno:
«Era forza che non solamente i parenti abbandonassero i parenti, i fratelli i fratelli e talora le mogli i mariti, anzi (ciò che maggior cosa è e quasi non fu mai udito) i padri e le madri i loro figliuoli…»
Questa frase è particolarmente significativa, poiché illustra l’estremo grado di disumanizzazione che la peste infligge alla società. I vincoli familiari, che sono normalmente sacri, si dissolvono, e persino genitori e figli si abbandonano l’un l’altro per paura del contagio.
Il caos cittadino e la morte onnipresente
Boccaccio continua a dipingere un quadro terrificante della città. Firenze, una volta centro di cultura e prosperità, si trasforma in un luogo di desolazione e caos. La città diventa un cimitero a cielo aperto, dove la morte è presente ovunque:
«La santissima città di Firenze, oltre a ogni altra italica bellissima, in ciò misera tutta divenne; da ogni parte era piena di morienti e di morti.»
Le parole “da ogni parte” e “piena di morienti e di morti” creano un’immagine di una città completamente invasa dalla morte. Boccaccio rende evidente l’incapacità delle strutture sociali ed ecclesiastiche di far fronte a una calamità di tali proporzioni. I funerali, di solito rituali carichi di significato, diventano frettolosi o addirittura inesistenti, con i cadaveri ammassati senza rispetto:
«Né solamente vi morivan senza avere molte donne intorno, anzi molti in sul suolo de’ loro giacigli senza persona, chi con gli occhi aperti e chi con la bocca spalancata…»
Questa descrizione sottolinea l’orrore del morire in solitudine, privati di ogni dignità. Anche i rituali della morte vengono meno, con cadaveri abbandonati in condizioni disumane.
Fughe dalla città e ricerca di salvezza
In questo contesto di totale disfacimento, il gruppo di dieci giovani protagonisti del Decameron decide di fuggire dalla città per rifugiarsi in campagna. Questo gesto rappresenta una sorta di rifiuto della disperazione e della morte onnipresente nella società fiorentina, e si propone come un tentativo di ricostruire una piccola comunità basata su valori più elevati e una qualità di vita che sembra impossibile in città:
«E stimandosi onesto consiglio, come a me pare che fosse, di fuggir la cagione di tanti mali, con una loro famiglia passarsene fuor di quella trista città e più tosto in lor ville, nelle lor castella e alle lor possessioni stare quanto potessero…»
Qui, Boccaccio introduce il tema della fuga dalla realtà devastata, non tanto come semplice atto di sopravvivenza fisica, ma anche come un tentativo di salvaguardare una vita degna, lontana dalla corruzione morale e fisica che imperversa in città.
Conclusione: il senso dell’orrore e della rinascita
L’orrido cominciamento del Decameron non è solo una descrizione della morte e del caos, ma anche una riflessione sulla fragilità della condizione umana e sulla capacità dell’individuo di cercare una via di scampo e di rinascita. Il rifugio in campagna dei giovani rappresenta un atto di resistenza, un’aspirazione a ritrovare una vita di normalità e di piacere nonostante l’orrore circostante.
La peste, nella cornice boccacciana, assume un valore simbolico, come metafora della dissoluzione della civiltà, ma il gesto del gruppo di amici dimostra la possibilità di una rinascita, attraverso la parola, la compagnia e la narrazione. Questa scelta introduce così il tono di leggerezza che caratterizzerà le novelle del Decameron, ma solo dopo aver affrontato il lato più oscuro dell’esistenza umana.