Il gelsomino notturno di Pascoli
28 Dicembre 2019Dante Paradiso XXXIII vv. 67-145
28 Dicembre 2019Gli ultimi versi del Canto XXI del Purgatorio (vv. 130-136) segnano la conclusione dell’incontro tra Dante, Virgilio e l’anima del poeta Stazio.
In questi versi si riflette sull’illusorietà delle apparenze e sulla potenza dell’amore che trascende la condizione delle anime nel Purgatorio. L’episodio mostra la volontà di Stazio di esprimere il suo affetto per Virgilio, il suo maestro, e al contempo l’impossibilità fisica di farlo a causa della loro condizione di ombre.
Versi 130-132: Il tentativo di Stazio di abbracciare Virgilio
Stazio, travolto dall’amore e dalla gratitudine, tenta di abbracciare Virgilio per esprimere il suo affetto. Il gesto di inginocchiarsi ai suoi piedi è un simbolo di grande riverenza:
Già s’inchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: “Frate,
non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi”. (130-132)
Virgilio interviene subito, ricordando a Stazio la loro condizione comune di anime incorporee. Entrambi sono ombre e quindi incapaci di compiere gesti fisici come l’abbraccio. Il termine “ombra” sottolinea la condizione intermedia delle anime nel Purgatorio, che, pur essendo libere dalla dannazione, non hanno ancora raggiunto la piena redenzione e il corpo glorificato che riceveranno alla fine dei tempi.
Versi 133-136: L’amore che trascende la vanità umana
Stazio si rialza subito dopo e riflette su quanto il suo amore per Virgilio sia forte al punto da fargli dimenticare la loro vanità, cioè la natura immateriale delle loro anime:
Ed ei surgendo: “Or puoi la quantitate
comprender de l’amor ch’a te mi scalda,
quand’io dismento nostra vanitate, (133-135)
Stazio ammette che il suo gesto di voler abbracciare Virgilio è stato frutto di una dimenticanza dovuta all’intensità del suo affetto. Il termine “vanitate” si riferisce qui alla condizione transitoria e illusoria delle ombre, incapaci di interagire fisicamente. Questo gesto involontario è il segno dell’amore spirituale che supera le barriere della realtà corporea e riflette un affetto così intenso da far dimenticare i limiti della loro condizione.
Il verso finale, “trattando l’ombre come cosa salda”, enfatizza proprio questo contrasto tra l’intensità del sentimento e la natura immateriale delle anime. Stazio, dimenticando che sono solo ombre, si comporta come se lui e Virgilio fossero ancora fatti di carne e ossa, dimostrando così quanto profondo e vero sia il suo amore.
Temi principali
- L’illusorietà delle apparenze: L’episodio sottolinea l’inconsistenza delle ombre nel Purgatorio, che pur essendo prive di corporeità, possono provare emozioni intense e agire con gesti simbolici che trascendono la loro condizione immateriale.
- La potenza dell’amore: L’amore di Stazio per Virgilio è così forte da fargli dimenticare la realtà della loro condizione spirituale. Questo amore è presentato come una forza trascendente che si manifesta nonostante i limiti imposti dalla condizione di anime purganti.
- L’umiltà e la gratitudine: Il gesto di Stazio di voler abbracciare Virgilio è anche un segno di umiltà e gratitudine verso il poeta che lo ha ispirato e guidato spiritualmente attraverso la sua opera. Virgilio, con il suo esempio di saggezza e virtù, ha avuto un impatto decisivo sulla redenzione di Stazio.
I primi 51 versi del Canto XXIV del Purgatorio, invece, approfondiscono il tema della comunicazione tra Dante e le anime del Purgatorio, nonché il tema della letteratura e della sua funzione spirituale. In questo passaggio, Dante incontra Bonagiunta da Lucca, un poeta del “Dolce Stil Novo”, e riflette sulla poesia e sulla fama, confrontandosi con la sua stessa produzione letteraria.
Versi 1-12: La conversazione e l’interesse delle anime
Dante e Virgilio continuano il loro cammino senza che il dialogo rallenti il passo. Anzi, il loro ragionare è reso più forte, simile a una nave spinta da un buon vento:
Né ’l dir l’andar, né l’andar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento; (1-3)
Dante paragona la conversazione al movimento di una nave che, grazie al vento, procede velocemente. Le anime presenti nel Purgatorio, che sembrano morte ma che in realtà sono consapevoli della vita di Dante, lo osservano con ammirazione, consapevoli del fatto che è un vivo tra loro:
e l’ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte. (4-6)
La metafora delle ombre che guardano Dante attraverso le “fosse de li occhi” (gli occhi vuoti delle anime) esprime la curiosità e la sorpresa delle anime che riconoscono in lui un vivo. Dante continua a parlare e chiede di alcune anime specifiche, tra cui la sua parente Piccarda:
Ma dimmi, se tu sai, dov’è Piccarda;
dimmi s’io veggio da notar persona
tra questa gente che sì mi riguarda”. (9-12)
Versi 13-24: La risposta e l’identificazione delle anime
L’anima a cui Dante si rivolge risponde prima parlando di sua sorella, Piccarda, che trionfa nella gloria celeste:
“La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse più, trïunfa lieta
ne l’alto Olimpo già di sua corona”. (13-15)
Questo riferimento a Piccarda conferma che ella ha raggiunto la beatitudine in Paradiso. Poi l’anima identifica Bonagiunta da Lucca, un altro poeta, che si trova tra i penitenti per espiare i suoi peccati legati al piacere del cibo e del vino:
Questi”, e mostrò col dito, “è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che l’altre trapunta
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: (19-22)
Versi 25-36: La fama e il riconoscimento delle anime
L’anima continua a nominare altre persone, come Ubaldino da la Pila e Bonifazio, entrambe anime che soffrono la fame nel Purgatorio per espiare i peccati di gola. C’è una descrizione dettagliata di anime conosciute per la loro passata ingordigia:
Vidi per fame a vòto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturò col rocco molte genti. (28-30)
Dante riconosce in particolare Bonagiunta, che sembra essere il più interessato a lui, e cerca di capire il suo mormorio, in cui sente menzionare il nome Gentucca, una giovane donna che, secondo la profezia di Bonagiunta, avrebbe reso Lucca gradita a Dante:
El mormorava; e non so che “Gentucca”
sentiv’io là, ov’el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca. (39-41)
Versi 37-51: Il dialogo con Bonagiunta e la profezia
Dante si rivolge direttamente a Bonagiunta, chiedendo di parlare più chiaramente, e l’anima risponde spiegando che una giovane donna, non ancora sposata, lo renderà felice durante il suo soggiorno a Lucca:
“Femmina è nata, e non porta ancor benda”,
cominciò el, “che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda.” (45-47)
Infine, Bonagiunta fa riferimento a Dante come autore delle “nove rime”, menzionando la sua celebre poesia “Donne ch’avete intelletto d’amore”:
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
’Donne ch’avete intelletto d’amore’”. (49-51)
Questo riconoscimento evidenzia il ruolo di Dante come innovatore poetico e la sua adesione alla poetica dello stilnovismo, che Bonagiunta riconosce come una nuova forma di espressione letteraria.
Temi principali
- La fame come espiazione: Il tema della gola viene affrontato attraverso la descrizione delle anime che soffrono la fame nel Purgatorio. Questo è un esempio della legge del contrappasso, dove i peccati di un tempo sono puniti in modo appropriato.
- La fama poetica: L’incontro con Bonagiunta offre l’opportunità di riflettere sulla fama e sul valore della poesia. Bonagiunta riconosce Dante come il poeta delle “nove rime”, evidenziando il passaggio dal vecchio stile poetico al nuovo “Dolce Stil Novo”.
- La profezia: La menzione di Gentucca introduce un elemento profetico, che si intreccia con il destino futuro di Dante.
Solo testo degli ultimi versi 130-136 del ventunesimo canto del Purgatorio di Dante
Già s’inchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: “Frate,
non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi”. 132
Ed ei surgendo: “Or puoi la quantitate
comprender de l’amor ch’a te mi scalda,
quand’io dismento nostra vanitate,135
trattando l’ombre come cosa salda”.
Testo dei primi versi 1-51 del ventiquattresimo canto del Purgatorio di Dante
Né ’l dir l’andar, né l’andar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento;3
e l’ombre, che parean cose rimorte,
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte. 6
E io, continüando al mio sermone,
dissi: “Ella sen va sù forse più tarda
che non farebbe, per altrui cagione. 9
Ma dimmi, se tu sai, dov’è Piccarda;
dimmi s’io veggio da notar persona
tra questa gente che sì mi riguarda”. 12
“La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse più, trïunfa lieta
ne l’alto Olimpo già di sua corona”. 15
Sì disse prima; e poi: “Qui non si vieta
di nominar ciascun, da ch’è sì munta
nostra sembianza via per la dïeta. 18
Questi”, e mostrò col dito, “è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che l’altre trapunta21
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
l’anguille di Bolsena e la vernaccia”. 24
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
sì ch’io però non vidi un atto bruno. 27
Vidi per fame a vòto usar li denti
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
che pasturò col rocco molte genti. 30
Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio
già di bere a Forlì con men secchezza,
e sì fu tal, che non si sentì sazio. 33
Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
che più parea di me aver contezza. 36
El mormorava; e non so che “Gentucca”
sentiv’io là, ov’el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca. 39
“O anima”, diss’io, “che par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
e te e me col tuo parlare appaga”. 42
“Femmina è nata, e non porta ancor benda”,
cominciò el, “che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda. 45
Tu te n’andrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere. 48
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
’Donne ch’avete intelletto d’amore’ “. 51