Movesi il vecchierel canuto et biancho di Francesco Petrarca
28 Dicembre 2019Andreuccio da Perugia, quinta novella della seconda giornata del Decameron
28 Dicembre 2019Questi versi appartengono al Canto XV del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri, in cui Dante incontra il suo trisavolo Cacciaguida, che lo riconosce e gli parla delle virtù della Firenze antica e del suo passato.
Cacciaguida elogia una Firenze più sobria e virtuosa rispetto a quella corrotta e decadente dei tempi di Dante.
Introduzione
I versi in questione descrivono un dialogo tra Dante e Cacciaguida, che rappresenta il legame tra il poeta e le radici familiari, ma anche la memoria di una Firenze antica, pura e giusta. Dante riflette sulla differenza tra i mortali e i beati, spiegando la sua gratitudine per il dono della conoscenza, anche se limitata dalla sua condizione di uomo terreno. Cacciaguida poi narra con nostalgia di un passato fiorentino virtuoso, contrapponendolo alla corruzione del presente.
Analisi
Nei primi versi, Dante si rivolge ai beati, sottolineando come i loro pensieri siano rivelati nello “specchio” della mente divina, tanto che conoscono i desideri degli altri prima ancora che vengano espressi. Questo richiama l’idea della perfetta comunione con Dio e della totale trasparenza tra le anime purificate del Paradiso.
Dante spiega a Cacciaguida la sua disuguaglianza rispetto ai beati: essendo mortale, non può pienamente comprendere né esprimere la gratitudine per la rivelazione divina. Tuttavia, cerca di esprimere comunque la sua gratitudine, con il cuore e con l’intelletto.
Cacciaguida poi prende la parola, rivolgendosi a Dante come a una “fronda” del suo stesso albero genealogico. Inizia a raccontare la storia della sua vita e la sua partecipazione alla storia di Firenze e del Sacro Romano Impero. È significativo il modo in cui Cacciaguida ricorda con nostalgia una Firenze semplice, sobria e virtuosa, in contrasto con la Firenze decadente dei tempi di Dante, caratterizzata da corruzione morale e materiali.
Cacciaguida descrive i cittadini di Firenze come modesti e felici, senza i lussi e le ambizioni sfrenate che avrebbero successivamente corrotto la città. Gli uomini indossavano cinture di cuoio e le donne non si truccavano, mostrando una sobrietà lontana dall’ostentazione e dalla vanità del presente. La loro vita era regolata da un senso di misura, e le donne erano dedite alla cura della famiglia, usando un linguaggio semplice e tramandando storie di eroi classici.
Commento
In questi versi, Dante esprime un sentimento di profonda nostalgia per un passato ideale, rappresentato da Cacciaguida. La descrizione di Firenze come città semplice e virtuosa è una critica alla degenerazione morale e sociale che Dante osservava nel suo tempo. Il contrasto tra il passato e il presente è evidente: mentre Firenze era un tempo un luogo di ordine e modestia, ora è un luogo di eccessi e decadenza.
Il rapporto tra Dante e Cacciaguida non è solo familiare, ma simbolico. Cacciaguida rappresenta un legame con un passato glorioso che Dante cerca di recuperare, non solo per se stesso, ma per tutta la comunità fiorentina. Inoltre, attraverso Cacciaguida, Dante riceve una legittimazione per il suo viaggio e per la sua opera, come se il suo trisavolo gli conferisse il compito di riportare Firenze alla virtù attraverso il suo poema.
Parafrasi
Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;
Tu credi la verità, perché i beati, grandi e piccoli, vedono nello specchio divino, e lì conoscono i pensieri ancor prima che vengano formulati.
ma perché ’l sacro amore in che io veglio
con perpetüa vista e che m’asseta
di dolce disïar, s’adempia meglio,
Ma affinché il sacro amore in cui mi trovo, con uno sguardo eterno e che mi riempie di dolce desiderio, possa essere soddisfatto più pienamente,
la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontà, suoni ’l disio,
a che la mia risposta è già decreta!».
la tua voce, sicura, forte e felice, esprima chiaramente il tuo desiderio, a cui la mia risposta è già pronta.
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
che fece crescer l’ali al voler mio.
Mi rivolsi a Beatrice, e lei capì il mio desiderio prima ancora che io parlassi, e con un cenno mi diede maggiore coraggio.
Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
come la prima equalità v’apparse,
d’un peso per ciascun di voi si fenno,
Poi iniziai a parlare: «L’amore e l’intelletto, quando la prima uguaglianza (cioè Dio) si manifestò, si equilibrarono in ciascuno di voi (beati),
però che ’l sol che v’allumò e arse,
col caldo e con la luce è sì iguali,
che tutte simiglianze sono scarse.
perché il sole (Dio) che vi ha illuminato e infiammato, con il suo calore e la sua luce è così perfetto che qualsiasi somiglianza è inadeguata.
Ma voglia e argomento ne’ mortali,
per la cagion ch’a voi è manifesta,
diversamente son pennuti in ali;
Ma tra i mortali, la volontà e l’intelletto sono sostenuti in modo diverso, per motivi che voi ben conoscete,
ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e però non ringrazio
se non col core a la paterna festa.
e per questo io, che sono mortale, sento questa disuguaglianza e posso ringraziare Dio solo con il cuore per questa festa paterna.
Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia prezïosa ingemmi,
perché mi facci del tuo nome sazio».
Tuttavia, ti supplico, o splendente gemma vivente che abbellisci questa preziosa gioia, affinché mi renda soddisfatto del tuo nome (cioè mi riveli chi sei).
Testo dei versi 61-148 del quindicesimo canto del Paradiso di Dante
Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi;63
ma perché ’l sacro amore in che io veglio
con perpetüa vista e che m’asseta
di dolce disïar, s’adempia meglio,66
la voce tua sicura, balda e lieta
suoni la volontà, suoni ’l disio,
a che la mia risposta è già decreta!».69
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
che fece crescer l’ali al voler mio.72
Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
come la prima equalità v’apparse,
d’un peso per ciascun di voi si fenno,75
però che ’l sol che v’allumò e arse,
col caldo e con la luce è sì iguali,
che tutte simiglianze sono scarse.78
Ma voglia e argomento ne’ mortali,
per la cagion ch’a voi è manifesta,
diversamente son pennuti in ali;81
ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
disagguaglianza, e però non ringrazio
se non col core a la paterna festa.84
Ben supplico io a te, vivo topazio
che questa gioia prezïosa ingemmi,
perché mi facci del tuo nome sazio».87
«O fronda mia in che io compiacemmi
pur aspettando, io fui la tua radice»:
cotal principio, rispondendo, femmi.90
Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
tua cognazione e che cent’ anni e piùe
girato ha ’l monte in la prima cornice,93
mio figlio fu e tuo bisavol fue:
ben si convien che la lunga fatica
tu li raccorci con l’opere tue.96
Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.99
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder più che la persona.102
Non faceva, nascendo, ancor paura
la figlia al padre, ché ’l tempo e la dote
non fuggien quinci e quindi la misura.105
Non avea case di famiglia vòte;
non v’era giunto ancor Sardanapalo
a mostrar ciò che ’n camera si puote.108
Non era vinto ancora Montemalo
dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
nel montar sù, così sarà nel calo.111
Bellincion Berti vid’ io andar cinto
di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
la donna sua sanza ’l viso dipinto;114
e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
esser contenti a la pelle scoperta,
e le sue donne al fuso e al pennecchio.117
Oh fortunate! ciascuna era certa
de la sua sepultura, e ancor nulla
era per Francia nel letto diserta.120
L’una vegghiava a studio de la culla,
e, consolando, usava l’idïoma
che prima i padri e le madri trastulla;123
l’altra, traendo a la rocca la chioma,
favoleggiava con la sua famiglia
d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.126
Saria tenuta allor tal maraviglia
una Cianghella, un Lapo Salterello,
qual or saria Cincinnato e Corniglia.129
A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello,132
Maria mi diè, chiamata in alte grida;
e ne l’antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.135
Moronto fu mio frate ed Eliseo;
mia donna venne a me di val di Pado,
e quindi il sopranome tuo si feo.138
Poi seguitai lo ’mperador Currado;
ed el mi cinse de la sua milizia,
tanto per bene ovrar li venni in grado.141
Dietro li andai incontro a la nequizia
di quella legge il cui popolo usurpa,
per colpa d’i pastor, vostra giustizia.144
Quivi fu’ io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt’ anime deturpa;147
e venni dal martiro a questa pace».