Analisi del testo
Fine del paragrafo 10
“Hic mihi (credo equidem ex hoc quod eramus locuti; fit enim fere ut cogitationes sermonesque nostri pariant aliquid in somno tale, quale de Homero scribit Ennius, de quo videlicet saepissime vigilans solebat cogitare et loqui) Africanus se ostendit ea forma quae mihi ex imagine eius quam ex ipso erat notior”
Questa è la seconda parte del paragrafo 10, in cui Cicerone ribadisce che i sogni sono spesso influenzati dalle conversazioni e dai pensieri diurni. Scipione Emiliano sogna suo nonno adottivo, Scipione Africano, in una forma che riconosce non per esperienza diretta (dato che non l’ha mai conosciuto di persona), ma grazie alle immagini e alle statue che lo raffigurano. Questo introduce l’apparizione mistica di Africano e stabilisce il contesto per la grande rivelazione che seguirà.
“Quem ubi agnovi, equidem cohorrui, sed ille: ‘Ades’, inquit, ‘animo et omitte timorem, Scipio, et quae dicam trade memoriae'”
Scipione Emiliano, alla vista del suo grande avo, si sente intimidito e avvolto dal timore reverenziale (cohorrui). Tuttavia, Africano lo tranquillizza immediatamente, invitandolo a concentrarsi e a ricordare attentamente le parole che sta per pronunciare. Questo passaggio stabilisce il tono solenne della visione e pone l’accento sull’importanza del messaggio, che non deve essere dimenticato.
Paragrafo 11: La predizione del futuro di Scipione Emiliano
“Videsne illam urbem, quae parere populo Romano coacta per me renovat pristina bella nec potest quiescere?”
Africano mostra a Emiliano una visione dall’alto della città di Carthago (Cartagine), che si ribella di nuovo al dominio romano nonostante sia stata sconfitta. Questo riferimento è cruciale, poiché Emiliano sarà il comandante che distruggerà definitivamente Cartagine nella Terza guerra punica (nel 146 a.C.).
“Ad quam tu oppugnandam nunc venis paene miles, hanc hoc biennio consul evertes eritque cognomen id tibi per te paratum quod habes adhuc a nobis hereditarium”
Scipione Emiliano è descritto come “quasi soldato” (paene miles) nella campagna contro Cartagine, ma Africano predice che entro due anni, come console, distruggerà la città, guadagnandosi il titolo di “Africano”, che fino ad allora era stato ereditato dal suo avo. Questa parte sottolinea come Emiliano non solo erediterà la gloria della famiglia, ma ne costruirà una propria.
“Cum autem Carthaginem deleveris, triumphum egeris censorque fueris et obieris legatus Aegyptum, Syriam, Asiam, Graeciam, deligēre iterum consul absens bellumque maximum conficies, Numantiam exscindes”
Africano prosegue predicendo altri eventi importanti nella carriera di Emiliano: il suo trionfo dopo la distruzione di Cartagine, la sua elezione a censore, e l’incarico come legato in Egitto, Siria, Asia e Grecia. Infine, prevede che Emiliano, assente da Roma, verrà eletto console per la seconda volta e porterà a termine un altro grande conflitto, distruggendo Numanzia (la città spagnola che oppose strenua resistenza a Roma).
“Sed cum eris curru in Capitolium invectus, offendes rem publicam consiliis perturbatam nepotis mei”
La profezia di Africano non si ferma alle glorie di Emiliano. Dopo i suoi trionfi, troverà la Repubblica in uno stato di crisi, a causa dei “consigli” del nipote di Africano, Tiberio Gracco, il tribuno che cercò di riformare la Repubblica e che, con i suoi tentativi di redistribuzione delle terre, provocò un grave conflitto politico. Cicerone, attraverso Africano, allude al declino della Repubblica a causa dei dissidi interni.
“Hic tu, Africane, ostendas oportebit patriae lumen animi, ingenii consiliique tui”
Africano richiama Emiliano a mostrarsi all’altezza delle circostanze. Sarà suo compito usare la sua virtù (lumen animi), il suo ingegno (ingenii), e il suo consiglio (consilii) per guidare la patria in un momento di crisi.
“Ne multa, dictator rem publicam constituas oportet, si impias propinquorum manus effugeris”
Africano suggerisce che Emiliano potrebbe addirittura diventare dittatore per ristabilire l’ordine nella Repubblica, ma aggiunge un avvertimento: dovrà evitare le mani empie dei suoi parenti, un riferimento al destino di Tiberio e Gaio Gracco, che furono assassinati a causa delle loro politiche riformiste. Questo preannuncia le lotte interne e la violenza che destabilizzeranno Roma.
Paragrafo 13: La vita dei beati
“Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habeto”
Africano cambia tono e offre a Emiliano una visione consolatoria dell’aldilà. Per motivarlo ulteriormente nel suo servizio alla patria, gli rivela che coloro che proteggono e accrescono la patria avranno una ricompensa eterna.
“Omnibus qui patriam conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur”
Cicerone espone un concetto di ricompensa celeste per i governanti virtuosi. Chi serve la patria con dedizione avrà un posto fisso in cielo, dove potrà godere di beatitudine eterna. Questo introduce un elemento religioso e cosmico, dove la vita dopo la morte è riservata ai giusti che hanno servito la comunità.
“Nihil est enim illi principi deo, qui omnem mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae ‘civitates’ appellantur”
Africano continua spiegando che nulla è più caro al dio che governa l’universo (principi deo) delle comunità umane giuste e ben organizzate, le civitates. Questa affermazione riflette la visione politica e morale di Cicerone: lo stato, basato su leggi giuste, è l’espressione più alta della convivenza umana ed è ciò che avvicina gli uomini agli dèi.
“Harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur”
I governanti e i protettori di queste città non fanno altro che tornare al cielo, da dove provengono. Questo suggerisce che il loro ruolo è divino e che il loro destino è di ritornare a quella dimensione eterna da cui sono stati inviati per servire l’umanità.
Commento
Cicerone, attraverso il discorso di Scipione Africano, lega la virtù politica con la cosmologia e la religione. Il servizio alla patria non è solo un dovere civico, ma un mezzo per ottenere l’immortalità. I personaggi storici che hanno reso grande Roma, come Scipione Africano, sono premiati con la vita eterna. Questo riflette la filosofia stoica e la concezione romana della virtus: la virtù si realizza nel servire lo stato e la comunità.
Il tono solenne e profetico di Africano serve a motivare Emiliano, ma anche i lettori di Cicerone, mostrando che la vera grandezza non risiede nel potere o nella ricchezza, ma nel dedicarsi al bene comune.