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28 Dicembre 2019Introduzione alla Divina commedia
28 Dicembre 2019Questi versi sono tratti dalla poesia Ginestra o il fiore del deserto di Giacomo Leopardi, scritta nel 1836, e rappresentano un inno alla consapevolezza della condizione umana di fronte alla forza distruttiva della natura.
Leopardi usa la metafora della ginestra, un fiore umile che cresce sulle pendici del Vesuvio, per sviluppare una riflessione profonda sulla fragilità umana, l’illusione del progresso e l’indifferenza della natura verso le sorti dell’umanità.
Analisi
1. La Ginestra e la distruzione di Pompei (vv. 7-35)
Il componimento si apre con l’immagine della ginestra che adorna i “luoghi ermi”, cioè i luoghi deserti e disabitati, che un tempo circondavano una città che fu “donna de’ mortali”, un chiaro riferimento a Pompei, l’antica città distrutta dall’eruzione del Vesuvio. Leopardi utilizza l’immagine della città antica per ricordare l’inevitabile caducità della gloria umana. La ginestra, che fiorisce in quei luoghi devastati, è un simbolo di resistenza umile: anche se vive in un paesaggio desolato, continua a crescere, a fiorire, a mandare un dolce profumo, quasi a voler consolare quel deserto devastato.
Questi versi riflettono la visione leopardiana della natura come una forza cieca e indifferente: il Vesuvio, simbolo del potere distruttivo della natura, ha annientato le città e la vita che un tempo prosperavano ai suoi piedi. Leopardi mette in scena il contrasto tra la fragilità delle opere umane e la potenza implacabile della natura. La città, un tempo potente e fiorente, è ora ridotta a rovine sepolte dalla lava.
2. La critica all’antropocentrismo (vv. 36-60)
Dopo aver descritto il paesaggio devastato, Leopardi rivolge un duro attacco a chi esalta lo stato umano come centrale nell’universo. Egli invita queste persone a venire sui campi di lava del Vesuvio per osservare “quanto è il gener nostro in cura all’amante natura”, cioè quanto poco importi alla natura l’esistenza dell’uomo. Qui emerge il contrasto tra l’antropocentrismo e la realtà leopardiana: l’uomo, pur credendosi speciale, non ha alcuna rilevanza per la natura, che con un “lieve moto” può distruggere l’umanità senza alcuno sforzo.
Il poeta invita il lettore a riconoscere la propria fragilità di fronte alla natura, abbandonando ogni illusione di grandezza. Le “magnifiche sorti e progressive”, cioè l’idea di un progresso inarrestabile e positivo dell’umanità, sono dipinte come una chimera, una speranza vana che la storia e l’esperienza confutano con la forza devastante della natura.
3. Il rimprovero al “secol superbo e sciocco” (vv. 61-101)
Leopardi si rivolge al “secol superbo e sciocco”, ovvero alla sua epoca, accusandola di aver abbandonato il “risorto pensiero”, la coscienza lucida della condizione umana, per tornare indietro, illudendosi di avanzare. L’umanità si è allontanata dalla verità, rifiutando il “lume” della ragione e della consapevolezza. Questo “secolo” moderno, pieno di orgoglio e di vanità, crede di aver raggiunto il progresso, ma in realtà è retrocesso: “abbandonasti, e vòlti addietro i passi, del ritornar ti vanti”. Leopardi denuncia la superficialità e l’infantilismo di una società che si illude di aver raggiunto la libertà e il benessere, quando in realtà si trova in una condizione di servitù mentale e morale.
Il poeta si scaglia contro questa civiltà che rifiuta la verità e che disprezza chi, come lui, cerca di guardare in faccia la realtà. L’uomo moderno, che si crede libero e capace di dominare il mondo, è in realtà schiavo delle proprie illusioni e della sua presunzione. La critica è rivolta anche alla mancanza di consapevolezza del limite umano: Leopardi rimprovera la presunzione di chi, ignorando la propria mortalità e miseria, pretende di elevarsi fino agli “astri”, cioè fino a una condizione divina.
Testo e parafrasi dei versi 7-101 della poesia di Leopardi
Testo
Anco ti vidi Questi campi cosparsi Qui mira e qui ti specchia, Uom di povero stato e membra inferme |
Parafrasi:
7-14: Ti ho visto abbellire 15-25: Questi campi sono sparsi 26-35: Ora tutto intorno è una rovina, 36-45: Venga qui colui che è abituato 46-55: Su queste rive sono dipinte le 56-65: Osserva e rifletti qui, 66-75: Io, però, non scenderò nella tomba 76-85: Tu sogni la libertà, 86-101: Così ti è dispiaciuta la verità
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