Canto notturno di un pastore errante vv. 1-60
28 Dicembre 2019I canti pisano-recanatesi
28 Dicembre 2019Le ottave 33-48 del Canto quarto dell’ Orlando Furioso di Ludovico Ariosto rappresentano un momento cruciale nella narrazione, dove si intrecciano temi di magia, liberazione e separazione, con la consueta abilità dell’autore nel mescolare elementi epici e cavallereschi.
In questo episodio, vediamo la liberazione di Ruggiero e altri cavalieri dal castello magico di Atlante, l’illusione svanire e l’eroe salire in volo sull’ippogrifo, sotto lo sguardo impotente di Bradamante.
Analisi dettagliata
Ottave 33-36
L’episodio inizia con un dialogo tra Atlante, il mago che ha imprigionato Ruggiero nel suo castello incantato, e Bradamante, la sua amata che cerca di liberarlo. Bradamante, con determinazione e una forza d’animo pari a quella di qualsiasi cavaliere, affronta Atlante, chiedendogli di liberare Ruggiero e facendo appello al suo amore per il cavaliere. Atlante, legato da una propria catena di illusioni e desideri, cerca di impedire la separazione, proponendo in dono lo scudo e l’ippogrifo, ma Bradamante rifiuta con decisione. Nelle ottave emerge chiaramente il contrasto tra l’amore possessivo e protettivo di Atlante, che cerca di tenere Ruggiero lontano dai pericoli (e quindi dal suo destino), e l’amore sincero di Bradamante, pronta a tutto pur di liberare il suo amato.
- Atlante cerca di trattenere Ruggiero per evitargli una sorte tragica, ma Bradamante sottolinea l’ironia di come il mago non riesca a vedere il proprio “male” imminente mentre tenta di prevenire il destino di altri:
“ma se ’l mal tuo, c’hai sì vicin, non vedi, / peggio l’altrui c’ha da venir prevedi” (35, 7-8).
Questo richiama la vanità delle previsioni e delle magie di Atlante: il destino non può essere evitato.
Ottave 37-39
Nel prosieguo dell’azione, vediamo la liberazione vera e propria. Bradamante conduce Atlante verso il castello, dove egli compie l’incantesimo che spezza l’illusione: il castello magico svanisce e tutti i cavalieri prigionieri, inclusi Ruggiero e altri famosi guerrieri come Gradasso e Sacripante, sono liberati. Ariosto usa immagini vivide per descrivere la scomparsa del castello, con Atlante che spezza le “olle” fumanti (vasi magici) e il colle che ritorna alla sua natura desolata e selvaggia:
“né muro appar né torre in alcun lato, / come se mai castel non vi sia stato” (38, 7-8).
Questa scena richiama il potere effimero della magia, incapace di sostenere la realtà davanti alla determinazione di Bradamante.
Ottave 40-42
Nel momento della liberazione, si realizza finalmente l’incontro tra Ruggiero e Bradamante, un momento di grande intensità emotiva. Ruggiero, riconoscente e felice di rivedere la donna che ama, la accoglie con gioia. La descrizione del loro amore mette in risalto la profondità dei sentimenti di Ruggiero per Bradamante, tanto che la paragona ai suoi stessi occhi e al suo cuore:
“più che gli occhi suoi, / più che ’l suo cor, più che la propria vita” (41, 3-4).
Questo momento di felicità però è breve, perché la separazione è imminente.
Ottave 43-47
Qui entra in scena l’ippogrifo, che diventa strumento dell’ennesima separazione tra i due amanti. Il cavallo alato, sotto l’influenza dell’incantesimo di Atlante, tenta più volte di sfuggire a Bradamante, conducendo Ruggiero sempre più in alto. Questo espediente narrativo, orchestrato da Atlante per allontanare Ruggiero dai pericoli imminenti, sottolinea l’impotenza dei personaggi di fronte al destino e alla magia.
Ruggiero, determinato a domare l’ippogrifo, riesce a montare sulla sua groppa e vola nel cielo:
“e sale inverso il ciel, via più leggiero / che ’l girifalco” (46, 7-8).
L’immagine è quella di un volo leggero e rapido, come un falco che si libra nel cielo, allontanandosi inesorabilmente da Bradamante.
Ottave 47-48
Bradamante, testimone di questa ascesa, è impotente e colta da uno stato di sgomento. L’immagine di Ganimede che viene portato in cielo dagli dèi si sovrappone nella sua mente alla figura di Ruggiero:
“dubita assai che non accada a quello, / non men gentil di Ganimede e bello” (47, 7-8).
La comparazione tra Ruggiero e Ganimede, rapito per la sua bellezza divina, suggerisce non solo la preoccupazione di Bradamante per l’amato, ma anche la sua consapevolezza del valore eroico e ideale di Ruggiero.
Nonostante la distanza crescente, il suo amore per lui rimane forte:
“lascia che sempre l’animo lo segua” (48, 4),
anche se il corpo non può farlo. Bradamante rimane a terra, col cuore infranto, rivolgendosi a Frontino, il cavallo di Ruggiero, in cerca di conforto.
Temi principali
- Amore e separazione: Il tema dell’amore contrastato e della separazione forzata è centrale in queste ottave. Bradamante e Ruggiero sono innamorati, ma il loro destino è continuamente ostacolato, in questo caso da forze magiche che cercano di allontanarli. Ariosto mette in evidenza la vulnerabilità dei sentimenti umani di fronte a poteri esterni incontrollabili.
- Magia e destino: La magia, rappresentata da Atlante e dal suo castello incantato, è un elemento onnipresente, ma impotente contro il destino. Nonostante gli sforzi di Atlante di proteggere Ruggiero, il destino di quest’ultimo è inesorabile. Ariosto sottolinea l’inutilità delle illusioni magiche contro le forze superiori del fato.
- Il volo come simbolo: Il volo di Ruggiero sull’ippogrifo rappresenta la libertà, ma anche la separazione e il distacco dalla realtà. L’ascesa verso il cielo è un’immagine poetica che simboleggia il distacco dai legami terreni, lasciando Bradamante attonita e impotente.
Conclusione
Le ottave 33-48 del Canto quarto de L’Orlando Furioso mescolano tensione narrativa, magia e profondità emotiva. Ariosto riesce a mantenere un equilibrio perfetto tra il dramma del racconto e l’ironia del destino, che rende i personaggi — pur eroici e forti — vulnerabili e umani. La complessità dei sentimenti di Bradamante e Ruggiero emerge in un quadro di eventi epici e fantastici, dimostrando l’abilità di Ariosto nel coniugare poesia e avventura cavalleresca.
Testo delle ottave 33-48 del Canto quarto dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto
33
Deh, se non hai del viso il cor men bello,
non impedir il mio consiglio onesto!
Piglia lo scudo (ch’io tel dono) e quello
destrier che va per l’aria cosí presto;
e non t’impacciar oltra nel castello,
o tranne uno o duo amici, e lascia il resto;
o tranne tutti gli altri, e piú non chero,
se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.
34
E se disposto sei volermel tôrre,
deh, prima almen che tu’l rimeni in Francia,
piacciati questa afflitta anima sciorre
de la sua scorza, ormai putrida e rancia! —
Rispose la donzella: — Lui vo’ porre
in libertá: tu, se sai, gracchia e ciancia;
né mi offerir di dar lo scudo in dono,
o quel destrier, che miei, non piú tuoi sono:
35
né s’anco stesse a te di tòrre e darli,
mi parrebbe che ’l cambio convenisse.
Tu di’ che Ruggier tieni per vietarli
il male influsso di sue stelle fisse.
O che non puoi saperlo, o non schivarli,
sappiendol, ciò che ’l ciel di lui prescrisse:
ma se ’l mal tuo, c’hai sí vicin, non vedi,
peggio l’altrui c’ha da venir prevedi.
36
Non pregar ch’io t’uccida, ch’i tuoi preghi
sariano indarno; e se pur vuoi la morte,
ancor che tutto il mondo dar la nieghi,
da sé la può aver sempre animo forte.
Ma pria che l’alma da la carne sleghi,
a tutti i tuoi prigioni apri le porte. —
Cosí dice la donna, e tuttavia
il mago preso incontra al sasso invia.
37
Legato de la sua propria catena
andava Atlante, e la donzella appresso,
che cosí ancor se ne fidava a pena,
ben che in vista parea tutto rimesso.
Non molti passi dietro se lo mena,
ch’a piè del monte han ritrovato il fesso,
e li scaglioni onde si monta in giro,
fin ch’alla porta del castel saliro.
38
Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni insculto.
Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L’incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite et inculto;
né muro appar né torre in alcun lato,
come se mai castel non vi sia stato.
39
Sbrigossi dalla donna il mago alora,
come fa spesso il tordo da la ragna;
e con lui sparve il suo castello a un’ora,
e lasciò in libertá quella compagna.
Le donne e i cavallier si trovâr fuora
de le superbe stanze alla campagna:
e furon di lor molte a chi ne dolse;
che tal franchezza un gran piacer lor tolse.
40
Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante,
quivi è Prasildo, il nobil cavalliero
che con Rinaldo venne di Levante,
e seco Iroldo, il par d’amici vero.
Al fin trovò la bella Bradamante
quivi il desiderato suo Ruggiero,
che, poi che n’ebbe certa conoscenza,
le fe’ buona e gratissima accoglienza;
41
come a colei che piú che gli occhi sui,
piú che ’l suo cor, piú che la propria vita
Ruggiero amò dal dí ch’essa per lui
si trasse l’elmo, onde ne fu ferita.
Lungo sarebbe a dir come, e da cui,
e quanto ne la selva aspra e romita
si cercâr poi la notte e il giorno chiaro;
né, se non qui, mai piú si ritrovaro.
42
Or che quivi la vede, e sa ben ch’ella
è stata sola la sua redentrice,
di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella
sé fortunato et unico felice.
Scesero il monte, e dismontaro in quella
valle, ove fu la donna vincitrice,
e dove l’ippogrifo trovaro anco,
ch’avea lo scudo, ma coperto, al fianco.
43
La donna va per prenderlo nel freno:
e quel l’aspetta fin che se gli accosta;
poi spiega l’ale per l’aer sereno,
e si ripon non lungi a mezza costa.
Ella lo segue: e quel né piú né meno
si leva in aria, e non troppo si scosta;
come fa la cornacchia in secca arena,
che dietro il cane or qua or lá si mena.
44
Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti
quei cavallier che scesi erano insieme,
chi di su, chi di giú, si son ridutti
dove che torni il volatore han speme.
Quel, poi che gli altri invano ebbe condutti
piú volte e sopra le cime supreme
e negli umidi fondi tra quei sassi,
presso a Ruggiero al fin ritenne i passi.
45
E questa opera fu del vecchio Atlante,
di cui non cessa la pietosa voglia
di trar Ruggier del gran periglio instante:
di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.
Però gli manda or l’ippogrifo avante,
perché d’Europa con questa arte il toglia.
Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo;
ma quel s’arretra, e non vuol seguitarlo.
46
Or di Frontin quel animoso smonta
(Frontino era nomato il suo destriero),
e sopra quel che va per l’aria monta,
e con li spron gli adizza il core altiero.
Quel corre alquanto, et indi i piedi ponta,
e sale inverso il ciel, via piú leggiero
che ’l girifalco, a cui lieva il capello
il mastro a tempo, e fa veder l’augello.
47
La bella donna, che sí in alto vede
e con tanto periglio il suo Ruggiero,
resta attonita in modo, che non riede
per lungo spazio al sentimento vero.
Ciò che giá inteso avea di Ganimede
ch’al ciel fu assunto dal paterno impero,
dubita assai che non accada a quello,
non men gentil di Ganimede e bello.
48
Con gli occhi fissi al ciel lo segue quanto
basta il veder; ma poi che si dilegua
sí, che la vista non può correr tanto,
lascia che sempre l’animo lo segua.
Tuttavia con sospir, gemito e pianto
non ha, né vuol aver pace né triegua.
Poi che Ruggier di vista se le tolse,
al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:
Audio Lezioni su Ludovico Ariosto del prof. Gaudio