Livio Andronico
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28 Dicembre 2019I versi 67-132 del Canto VIII del Paradiso di Dante si svolgono nel cielo di Venere, dove l’anima di Carlo Martello spiega a Dante concetti di governo e provvidenza divina, e in particolare il problema del rapporto tra virtù e nascita.
67-72: La Trinacria e i Re
Dante descrive la Sicilia, chiamata “Trinacria” per la sua forma triangolare, che si estende tra Capo Pachino e Peloro, e subisce la pesante influenza del vento di Scirocco (“Euro”). L’isola, secondo Dante, non è tormentata dal mitico gigante Tifeo, come narrato dalla mitologia, ma da problemi più reali come le eruzioni vulcaniche dovute alla presenza di zolfo.
Parafrasi: “La bella Sicilia, che si trova offuscata tra Capo Pachino e Peloro, sopra il golfo che riceve più tormenti dal vento di Scirocco, sarebbe ancora governata dai suoi re, discendenti di Carlo e di Rodolfo, se non fosse stata travolta da una cattiva gestione politica.”
73-81: La rivolta di Palermo
Carlo Martello lamenta che la cattiva amministrazione (“mala segnoria”) ha portato il popolo siciliano a ribellarsi violentemente, gridando “Mora, mora!” durante i Vespri siciliani del 1282. Il riferimento è agli eventi storici che portarono alla cacciata degli Angioini dalla Sicilia e l’inizio della dominazione aragonese. Carlo Martello sottolinea che se suo fratello avesse potuto prevedere queste conseguenze, avrebbe evitato l’ingordigia della Catalogna.
Parafrasi: “Se mio fratello avesse previsto questi eventi, avrebbe evitato la bramosia della Catalogna, che ora mette in pericolo la sua posizione.”
82-87: La necessità di un aiuto
Carlo Martello sottolinea la necessità di un governo saggio che non si lasci corrompere dall’avidità, soprattutto perché suo fratello, secondo la sua natura, avrebbe bisogno di consiglieri e soldati virtuosi, non interessati al guadagno personale.
Parafrasi: “Mio fratello, con la sua natura incline alla generosità, avrebbe bisogno di una tale schiera di uomini che non si curino di accumulare ricchezze.”
88-93: L’intervento di Dante
Dante, felice delle spiegazioni di Carlo Martello, si interroga su come possa nascere il male da una buona stirpe. La questione solleva il dubbio sul perché, da una stirpe virtuosa, possa nascere qualcuno malvagio.
Parafrasi: “La tua spiegazione mi ha reso felice, ma ora sono perplesso su come possa nascere del male da un seme buono.”
94-114: La provvidenza divina
Carlo risponde spiegando che ogni cosa nell’universo segue un disegno divino, e che la provvidenza ordina l’universo in modo tale che tutto avvenga secondo un fine prestabilito. Le stelle e i pianeti influenzano gli individui, ma è sempre la provvidenza a garantire che questi influssi non portino caos, ma ordine.
Parafrasi: “Il bene, che governa tutto il cielo, fa sì che la provvidenza sia la virtù che regola l’ordine del cosmo. Le nature individuali non solo sono previste da Dio, ma anche i loro destini, per cui tutto ciò che accade è diretto verso il suo scopo, come una freccia scoccata verso il bersaglio.”
115-126: Diversità e destini
Carlo poi approfondisce l’idea che le differenze tra gli uomini, tra cui la nascita di individui virtuosi o malvagi, dipendano dal fine per cui sono stati creati. Un individuo può essere un legislatore saggio come Solone, o un tiranno come Serse, e ciò dipende dalla diversità dei fini assegnati dalla provvidenza.
Parafrasi: “Le differenze tra le persone derivano dal fatto che la loro natura è orientata verso scopi diversi. Così nascono uomini come Solone, Serse o Melchisedec, ognuno con un destino diverso. La natura mortale fa bene il suo lavoro, ma non distingue le anime.”
127-132: Esempi biblici e mitologici
Carlo conclude con esempi di figure bibliche e mitologiche che mostrano come la stessa famiglia possa produrre individui molto diversi. Esaù e Giacobbe, fratelli ma di caratteri opposti, e Romolo, fondatore di Roma, nato da un padre umile, dimostrano che la provvidenza non segue le leggi dell’eredità.
Parafrasi: “Così accade che Esaù si separi da Giacobbe, nonostante siano fratelli, e Romolo nasca da un padre umile ma sia destinato a diventare un grande condottiero.”
Commento generale
In questo passo, Carlo Martello affronta una delle questioni centrali della filosofia medievale: il rapporto tra provvidenza divina e libertà umana. La varietà delle qualità umane e dei destini individuali non è frutto del caso, ma di un disegno divino che non si limita alla semplice eredità familiare. L’influenza astrale e la natura mortale sono strumenti di questa provvidenza, ma non ne sono la causa ultima. Il concetto dantesco di provvidenza è ottimista: tutto ciò che accade nell’universo, anche le apparenti disuguaglianze o ingiustizie, è orientato verso un fine superiore.
Testo dei versi 67-132 del Canto ottavo del Paradiso di Dante
E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo
che riceve da Euro maggior briga, 69
non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo, 72
se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. 75
E se mio frate questo antivedesse,
l’avara povertà di Catalogna
già fuggeria, perché non li offendesse; 78
ché veramente proveder bisogna
per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca
carcata più d’incarco non si pogna. 81
La sua natura, che di larga parca
discese, avria mestier di tal milizia
che non curasse di mettere in arca». 84
«Però ch’i’ credo che l’alta letizia
che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
là ’ve ogne ben si termina e s’inizia, 87
per te si veggia come la vegg’ io,
grata m’è più; e anco quest’ ho caro
perché ’l discerni rimirando in Dio. 90
Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,
poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
com’ esser può, di dolce seme, amaro». 93
Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
terrai lo viso come tien lo dosso. 96
Lo ben che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi. 99
E non pur le nature provedute
sono in la mente ch’è da sé perfetta,
ma esse insieme con la lor salute: 102
per che quantunque quest’ arco saetta
disposto cade a proveduto fine,
sì come cosa in suo segno diretta. 105
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
producerebbe sì li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine; 108
e ciò esser non può, se li ’ntelletti
che muovon queste stelle non son manchi,
e manco il primo, che non li ha perfetti. 111
Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».
E io: «Non già; ché impossibil veggio
che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi». 114
Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
per l’omo in terra, se non fosse cive?».
«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio». 117
«E puot’ elli esser, se giù non si vive
diversamente per diversi offici?
Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive». 120
Sì venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici: 123
per ch’un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per l’aere, il figlio perse. 126
La circular natura, ch’è suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l’un da l’altro ostello. 129
Quinci addivien ch’Esaù si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sì vil padre, che si rende a Marte. 132