Livio Andronico
28 Dicembre 2019Omaggio a Dario Fo in classe quinta liceo
28 Dicembre 2019
“Ma che aspettate a batterci le mani” è un brillante pezzo di Dario Fo, ricco di satira politica e di critica sociale.
Si tratta di una canzone che risale agli anni ’70, scritta insieme alla sua compagna di vita e scena, Franca Rame, in un periodo di forti tensioni sociali e politiche in Italia. Il titolo stesso è un invito provocatorio al pubblico, quasi una sfida: “Ma che aspettate a batterci le mani?” – come a dire: siete complici passivi o applaudite realmente chi cerca di fare qualcosa per cambiare la società?
Contesto storico e politico
Questa canzone fu scritta in un’epoca di grande fermento politico, nel pieno degli “anni di piombo”, un periodo in cui l’Italia era attraversata da conflitti sociali, scioperi, manifestazioni e violenza politica. Dario Fo e Franca Rame erano attivamente impegnati nel teatro politico e di protesta, e la loro arte rappresentava una voce di opposizione al sistema dominante, in particolare contro le diseguaglianze economiche e sociali, la corruzione e l’oppressione del potere.
Tematiche principali
- Satira contro il conformismo: Il tono della canzone è chiaramente provocatorio. Fo si rivolge direttamente al pubblico, chiedendogli di svegliarsi e di prendere posizione. Il battere le mani può essere inteso come un simbolo di approvazione superficiale, una sorta di consenso passivo, che è esattamente quello che Fo contesta. Sta criticando il pubblico che applaude ma non agisce, invitandolo invece a una presa di coscienza e a un’azione concreta.
- Critica al sistema e ai potenti: La canzone attacca in modo diretto i potenti, sia economici che politici, mettendo in ridicolo la loro arroganza e la loro ipocrisia. Fo denuncia la disuguaglianza e l’oppressione che colpiscono le classi popolari. L’elemento ironico e grottesco è uno dei mezzi preferiti da Fo per smascherare le contraddizioni del potere: ridicolizzando i potenti, egli ne svela la vera natura.
- L’importanza dell’azione collettiva: C’è una chiara chiamata all’azione collettiva. Non è sufficiente applaudire; bisogna agire. Fo era un convinto sostenitore dell’importanza della partecipazione attiva nella lotta contro le ingiustizie. La canzone si fa portavoce di questo spirito rivoluzionario, chiedendo al popolo di non restare spettatore, ma di diventare protagonista del cambiamento sociale.
- Teatro come strumento di cambiamento: Per Fo, il teatro non era solo intrattenimento; era uno strumento di denuncia sociale, un’arma contro l’ignoranza e la passività. “Ma che aspettate a batterci le mani” incarna questo approccio. La canzone, come gran parte del suo repertorio, rompe la quarta parete e coinvolge il pubblico, non come semplice spettatore, ma come attore nella vita reale.
Analisi del testo
Il testo è diretto e ironico, con un ritmo incalzante che incita a una reazione. Ecco alcuni versi chiave:
“Ma che aspettate a batterci le mani,
a mettervi seduti sui divani,
non vi sentite già tutti più buoni,
più buoni e con le mani altrui!”
Fo critica la passività del pubblico, suggerendo che applaudire e godersi lo spettacolo dal divano non cambia nulla. C’è un richiamo all’autoassoluzione: basta un applauso per sentirsi “più buoni”, senza fare nulla di concreto per migliorare la società. La frase “più buoni e con le mani altrui” è particolarmente sarcastica, un modo per dire che la gente si sente giustificata perché qualcun altro sta facendo qualcosa, mentre loro si limitano a guardare.
Il ruolo della provocazione
Il titolo stesso è provocatorio: “Ma che aspettate a batterci le mani”? Fo sapeva bene come usare la provocazione per far riflettere il suo pubblico. Non è una semplice richiesta di applauso, ma una sfida. È come se chiedesse: Siete pronti a riconoscere la verità? O continuerete a far finta di non vedere, applaudendo per sentirvi a posto con la coscienza?
La provocazione non era mai fine a sé stessa: aveva sempre l’obiettivo di spingere il pubblico a riflettere, a prendere una posizione critica verso il potere, verso le istituzioni e verso la propria condizione.
La dimensione collettiva del teatro di Fo
Un aspetto fondamentale del teatro di Dario Fo è il suo rifiuto dell’élite culturale e del distacco tra attore e pubblico. Questa canzone, come molte delle sue opere, abbatte quella barriera. Non esiste un confine netto tra chi recita e chi ascolta. Il pubblico viene direttamente coinvolto, provocato e invitato a riflettere sulla propria responsabilità sociale.
Conclusione
“Ma che aspettate a batterci le mani” è molto più di una semplice canzone di protesta; è una critica feroce al conformismo e all’apatia sociale. Dario Fo, con la sua consueta ironia e il suo linguaggio teatrale unico, ci ricorda che applaudire non basta: è necessario impegnarsi attivamente per cambiare le cose. In un’epoca come quella attuale, in cui spesso si preferisce il conforto dell’indifferenza, il messaggio di Fo rimane sorprendentemente attuale. Non basta essere spettatori; bisogna diventare attori del cambiamento.
Una lezione di vita, insomma, mascherata da un’esibizione teatrale.
Testo della canzone
A metter le bandiere sul balcone?
Sono arrivati i re dei ciarlatani
I veri guitti sopra il carrozzone
Vi riempirete gli occhi di parole
La gola di sospiri per amore
E il cuor farà tremila capriole
E ogni sera con la sua mamma
Ci veniva ad ascoltar
Da quel dì che verso sera
Ce ne andammo senza recitar
Se il dramma non vedrete fino in fine
Dove se state attente imparerete
A far l’amore come le regine
Abbiamo trenta lune di cartone
Con dentro le lanterne col carburo
Da far sembrar la luna un solleone
Venne apposta sul Ticino
Contro i crucchi a guerreggiar
Vi scappò un mattino all’alba
Per venirci a battere le man
A metter le bandiere sul balcone
Sono arrivati i re dei ciarlatani
I veri guitti sopra il carrozzone
Innamorata cotta del figlioccio
Far fuori tre mariti e una cognata
E dar la colpa al fato del fattaccio
A metter le bandiere sul balcone?
Sono arrivati i re dei ciarlatani
I veri guitti sopra il carrozzone
Vi riempirete gli occhi di parole
La gola di sospiri per amore
E il cuor farà tremila capriole