Nel bosco di Ryunosuke Akutagawa
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28 Dicembre 2019Introduzione e testo del brano Il professore legge in classe, da Come un romanzo, di DANIEL PENNAC
Autore
Daniel Pennac (1944) è nato a Casablanca, in Marocco. Dopo la laurea in Lettere, ha insegnato a lungo in un liceo parigino. Autore di libri per bambini, romanzi e saggi, si è segnalato soprattutto per il ciclo narrativo che si impernia sul personaggio di Benjamin Malaussène, un uomo che funge sempre da capro espiatorio, assumendo su di sé la colpa di tutto quello che non funziona nel grande magazzino in cui lavora. I romanzi di questo ciclo – II paradiso degli orchi (1991); La prosivendola (1991); La fata carabina (1992); Signor Malaussène ( 1995) — rimangono i migliori nella produzione di Pennac. Molto apprezzato è stato anche il saggio sulla lettura, intitolato Come un romanzo (1993).
Come un romanzo
Nel suo libro Come un romanzo, Pennac ha proposto una riflessione sulla lettura. Partendo dalla constatazione che i giovani d’oggi non sono interessati a leggere e che le esortazioni dei genitori e degli insegnanti risultano per lo più inefficaci, ha cercato di individuare i motivi di questo rifiuto e ha proposto alcune soluzioni. Tutto ciò in maniera tutt’altro che pedante, anzi intelligente e ironica, come si può osservare nelle pagine che riportiamo, dedicate alla lettura a scuola. Sotto accusa, infatti, è anche l’istituzione scolastica, da molti ritenuta responsabile della disaffezione verso la lettura, perché la presenterebbe ai ragazzi non come un piacere ma come un obbligo, reso più gravoso dalla consuetudine di far eseguire una serie di esercizi sul testo. Vediamo che cosa propone Pennac per far riscoprire il piacere della lettura agli studenti di una scuola superiore.
Testo del brano “Il professore legge in classe” con note
– Bene – , dice il prof, – visto che non vi piace leggere… sarò io a leggervi dei libri.
Senza transizione, apre la cartella e tira fuori un librone grossissimo, un
affare cubico, veramente enorme, dalla copertina patinata. Quanto di più
impressionante si possa immaginare in fatto di libri.
– Ci siete?
Non credono né ai loro occhi né alle loro orecchie. Quel tizio ha intenzione di leggere tutto quell’affare?. Ma ci vorrà l’intero anno scolastico! Perplessità… Anche una certa tensione… Non esiste! Un prof che si propone di passare tutto l’anno a leggere. O è proprio uno che non ha voglia di far niente, oppure… gatta ci cova. C’è sotto qualche fregatura. Ci toccherà farci la quotidiana lista di vocaboli, il resoconto di lettura…
Si guardano. Alcuni, non si sa mai, si piazzano davanti un foglio e mettono le bic in posizione di attacco.
– No, no, è inutile prendere appunti. Cercate solo di ascoltare.
Si pone allora il problema dell’atteggiamento. Che cosa ne è di un corpo in un’aula scolastica, se non ha più l’alibi della penna a sfera e del foglio bianco? Che cosa si può mai fare di sé in una simile circostanza?
– Mettetevi comodi, rilassatevi…
(Sì, figurati.. rilassatevi)
Ma siccome la curiosità finisce per avere la meglio, Banana-e-stivaletti[1] domanda:
– Ci leggerà tutto quel libro… a voce alta?
– Non vedo come potresti sentirmi se leggessi a voce bassa. . .
Discreta ridacchiata. Ma la giovane Vedova siciliana non ci sta. In un mormorio abbastanza forte per essere sentito da tutti, dice:
– Abbiamo passato l’età.
Pregiudizio comunemente diffuso. . . soprattutto fra coloro che non hanno mai ricevuto il vero dono di una lettura. Gli altri sanno che non c’è età per questo genere di regali.
– Se fra dieci minuti sarai ancora dell’idea di aver passato l’età, alzi la mano e facciamo qualcos’altro. D’accordo?
— Che libro è? — domanda Calze inglesi, con un tono che ha detto cose peggiori.
– Un romanzo.
– E di cosa parla?
– Difficile dirlo prima di averlo letto. Bene, ci siamo? Fine delle trattative. Si parte.
Ci sono… Scettici, ma ci sono.
– Capitolo primo:
«Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scellerate figure[2]».
[…]
«al tempo di cui parliamo, nelle città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame, i cortili interni di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone; le stanze non aerate puzzavano di polvere stantia, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell’umido dei piumini e dell’odore pungente e dolciastro di vasi da notte. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie veniva il puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti, dagli stornaci un puzzo di cipolle, dai corpi, quando non erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali. Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese, c’era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadino puzzava come il prete, l’apprendista come la moglie del maestro, puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un animale feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d’estate sia d’inverno…».
Caro signor Sùskind, grazie! Le sue pagine esaltano un odore di selvatico che dilata le narici e torce le budella dal ridere. Mai il suo Profumo ebbe lettori più entusiasti di quei trentacinque, così poco disposti a leggerlo. Trascorsi i primi dieci minuti la prego di credere che la Vedova siciliana la trovava assolutamente adatto alla sua età. Era quasi commovente, con tutte le smorfie che faceva per impedire alla sua risata di soffocarle la prosa; Calze inglesi spalancava occhi grandi come orecchie, e — sst! porca miseria, vuoi star zitto! – , appena uno dei compagni si lasciava andare all’ilarità.
[…]
Eppure, non è successo niente di straordinario. Il merito del professore è quasi nullo in tutta la vicenda. Il fatto è che il piacere di leggere era vicinissimo, imprigionato in quelle soffitte adolescenti da una paura segreta: la paura (molto molto antica) di non capire.
Avevano semplicemente dimenticato che cos’era un libro, cos’aveva da offrire. Avevano dimenticato, per esempio, che un romanzo racconta prima di tutto una storia. Non sapevano che un romanzo doveva essere letto come un romanzo: placare prima di tutto la nostra sete di racconto.
Per soddisfare questa voglia si erano affidati da tempo al piccolo schermo, che sbrigava il suo lavoro a catena, infilando cartoni animati, telefilm, telenovele e film gialli in una collana senza fine di stereotipi intercambiabili: la nostra dose quotidiana di finzione. La testa si riempie come si riempie la pancia, ci si sente sazi, ma il corpo non assimila niente. Digestione immediata. Dopo, ci si sente soli come prima.
Con la paura pubblica del Profumo si sono trovati di fronte a Sùskind: una storia, certo, un bel racconto, strano e barocco, ma anche una voce, quella di Sùskind (più avanti, in un tema, lo chiameranno «stile»). Una storia, sì, ma raccontata da qualcuno.
– Incredibile l’inizio, eh prof: «le camere da letto puzzavano… la gente puzzava… puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese… il re puzzava» e a noi che ci proibiscono le ripetizioni! Però è bello, eh? E forte, ma è anche bello, no?
Sì, il fascino dello stile accresce il piacere dato dal racconto. Girata l’ultima pagina, l’eco di quella voce ci tiene compagnia. E poi, la voce di Sùskind, anche attraverso il duplice filtro della traduzione e della voce del prof, non è quella di Màrquez [3], — questo si nota subito! — , o di Calvino[4]. Da ciò la strana impressione che, mentre lo stereotipo parla a tutti la stessa lingua, Sùskind, Màrquez e Calvino, parlano il loro proprio linguaggio, si rivolgono solo a me, raccontano la loro storia solo per me, giovane Vedova siciliana, Chiodo senza moto, Banana-e-stivaletti, per me, Calze inglesi, che già non confondo più le loro voci e mi concedo delle preferenze.
[…]
Certo, la voce del professore ha contribuito alla riconciliazione[5]. Risparmiando lo sforzo della decodificazione[6], delineando chiaramente le situazioni, dipingendo le scene, incarnando i personaggi, sottolineando i temi, accentuando le sfumature, facendo nel modo più chiaro possibile il suo lavoro di rivelatore fotografico.
Ma ben presto la voce del professore diventa un’interferenza: piacere parassita di una gioia più sottile[7].
– Il fatto che lei legga, ci aiuta prof, ma poi sono contento di ritrovarmi solo con il libro.
[-.]
Il vero piacere del romanzo è tutto nella scoperta di questa intimità paradossale: l’autore e io… La solitudine della scrittura che invoca la resurrezione del testo attraverso la mia voce muta e solitaria.
In tutto questo il professore è soltanto una mezzana ed è giunto il momento che se ne vada in punta di piedi.
Pennac, Come un romanzo, trad. di Y. Melaouah, Feltrinelli, Milano.
NOTE:
[1] Banana-e-stivaletti: il professore ha attribuito, dentro di sé, dei soprannomi agli allievi in rapporto al loro aspetto e abbigliamento. Ne troverai altri nel seguito del testo.
[2] Nel diciottesimo secolo … scellerate figure: sono le prime righe del romanzo “Il profumo (Longanesi, Milano) di Patrick Sùskind, scrittore tedesco vivente, in cui si narra la storia di un
individuo che, dotato di uno straordinario senso dell’olfatto, decide di sfruttare questa dote diventando un profumiere, con l’obiettivo di fabbricare un profumo in grado di soggiogare i sensi altrui.
[3] Màrquez: Cabriel Garcia Màrquez (nato nel 1928), lo scrittore colombiano ben noto in Europa per i suoi numerosi romanzi, a partire da Cent’anni di solitudine, forse il suo capolavoro.
[4] Calvino: Italo Calvino (1923-1985), autore di racconti e romanzi caratterizzati da una prosa agile e accattivante; dalla trilogia I nostri antenati a Marcovaldo, Le cosmicomiche, Ti con zero, Le città invisibili, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Palomar (per citare solo alcuni titoli).
[5] alla riconciliazione: alla riconciliazione con la lettura, cioè a ritrovare il gusto di leggere.
[6] decodificazione: analisi e comprensione dei contenuti del testo.
[7] piacere parassita di una gioia più sottile: una volta riscoperto il piacere di leggere, la lettura a voce alta del professore viene percepita quasi come un’intrusione; i ragazzi desiderano provare la gioia più sottile del contatto diretto, individuale, con il testo.
[8] Isak Dinesen: pseudonimo della scrittrice danese Karen Blixen (1885-1962), vissuta a lungo in Kenya; La mia Africa ricorda appunto quell’esperienza.
[9] Il ritorno dell’indigeno: romanzo dello scrittore inglese Thomas Hardy (1840-1928), ambientato nel mondo dei contadini.