Tancredi e Ghismonda
28 Dicembre 2019Ma la poesia è una cosa diversa dalla canzone di Mario Luzi
28 Dicembre 2019Attraverso la similitudine del cane che insegue una lepre, Ovidio ci introduce nella fase più drammatica del mito nel seguente testo e traduzione
535 alter inhaesuro similis iam iamque tenere
536 sperat et extento stringit vestigia rostro,
537 alter in ambiguo est, an sit conprensus, et ipsis
538 morsibus eripitur tangentiaque ora relinquit:
539 sic deus et virgo est hic spe celer, illa timore.
540 qui tamen insequitur pennis adiutus Amoris,
541 ocior est requiemque negat tergoque fugacis
542 inminet et crinem sparsum cervicibus adflat.
543 viribus absumptis expalluit illa citaeque
544 victa labore fugae spectans Peneidas undas
545 ‘fer, pater,’ inquit ‘opem! si flumina numen habetis,
546 qua nimium placui, mutando perde figuram!’
547 [quae facit ut laedar mutando perde figuram.]
548 vix prece finita torpor gravis occupat artus,
549 mollia cinguntur tenui praecordia libro,
550 in frondem crines, in ramos bracchia crescunt,
551 pes modo tam velox pigris radicibus haeret,
552 ora cacumen habet: remanet nitor unus in illa.
553 Hanc quoque Phoebus amat positaque in stipite dextra
554 sentit adhuc trepidare novo sub cortice pectus
555 conplexusque suis ramos ut membra lacertis
556 oscula dat ligno; refugit tamen oscula lignum.
557 cui deus ‘at, quoniam coniunx mea non potes esse,
558 arbor eris certe’ dixit ‘mea! semper habebunt
559 te coma, te citharae, te nostrae, laure, pharetrae;
560 tu ducibus Latiis aderis, cum laeta Triumphum
561 vox canet et visent longas Capitolia pompas;
562 postibus Augustis eadem fidissima custos
563 ante fores stabis mediamque tuebere quercum,
564 utque meum intonsis caput est iuvenale capillis,
565 tu quoque perpetuos semper gere frondis honores!’
566 finierat Paean: factis modo laurea ramis
567 adnuit utque caput visa est agitasse cacumen.
Qui sotto traduzione italiana nella Ovid Collection http://etext.lib.virginia.edu/latin/ovid/italian.html:
535. questo, sul punto d’afferrarla e ormai convinto
536. d’averla presa, che la stringe col muso proteso,
537. quella che, nell’incertezza d’essere presa, sfugge ai morsi
538. evitando la bocca che la sfiora: così il dio e la fanciulla,
539. un fulmine lui per la voglia, lei per il timore.
540. Ma lui che l’insegue, con le ali d’amore in aiuto,
541. corre di più, non dà tregua e incombe alle spalle
542. della fuggitiva, ansimandole sul collo fra i capelli al vento.
543. Senza più forze, vinta dalla fatica di quella corsa
544. allo spasimo, si rivolge alle correnti del Peneo e:
545. «Aiutami, padre», dice. «Se voi fiumi avete qualche potere,
546. dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui».
547. Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra,
548. il petto morbido si fascia di fibre sottili,
549. i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami;
550. i piedi, così veloci un tempo, s’inchiodano in pigre radici,
551. il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva.
552. Anche così Febo l’ama e, poggiata la mano sul tronco,
553. sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia
554. e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo,
555. ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae.
556. E allora il dio: «Se non puoi essere la sposa mia,
557. sarai almeno la mia pianta. E di te sempre si orneranno,
558. o alloro, i miei capelli, la mia cetra, la faretra;
559. e il capo dei condottieri latini, quando una voce esultante
560. intonerà il trionfo e il Campidoglio vedrà fluire i cortei.
561. Fedelissimo custode della porta d’Augusto,
562. starai appeso ai suoi battenti per difendere la quercia in mezzo.
563. E come il mio capo si mantiene giovane con la chioma intonsa,
564. anche tu porterai il vanto perpetuo delle fronde!».
565. Qui Febo tacque; e l’alloro annuì con i suoi rami
566. appena spuntati e agitò la cima, quasi assentisse col capo.