“Canzone delle Osterie di Fuori Porta” è una canzone scritta e interpretata da Francesco Guccini, incluso nel suo album “Radici” pubblicato nel 1972. È una delle canzoni più celebri e amate di Guccini, nota per il suo ritmo coinvolgente e le sue atmosfere evocative.
La canzone racconta la storia di un uomo che frequenta le osterie di fuori porta, luoghi di ritrovo popolari e informali, dove si possono trovare persone di diverse estrazioni sociali e trascorrere del tempo insieme. Queste osterie diventano il centro della vita sociale del narratore, un luogo dove si incontrano amici, si raccontano storie e si canta insieme.
Attraverso le parole e la melodia, Guccini cattura l’atmosfera vivace e autentica delle osterie, evocando un senso di calore e appartenenza. La canzone riflette anche sul tema della solitudine e della ricerca di conforto e compagnia in luoghi familiari e accoglienti.
“Canzone delle Osterie di Fuori Porta” è diventata un classico della musica italiana e una delle canzoni più rappresentative del repertorio di Guccini, apprezzata per la sua poesia e la sua capacità di trasportare l’ascoltatore in un mondo di emozioni e ricordi.
Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta
Ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta
Qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore
E insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po’ peggiore
Cadon come foglie o gli ubriachi sulle strade che hanno scelto
Delle rabbie antiche non rimane che una frase o qualche gesto
Non so se scusano il passato per giovinezza o per errore
Non so se ancora desto in loro, se m’incontrano per forza, la curiosità o il timore
Io ora mi alzo tardi tutti i giorni, tiro sempre a far mattino
Le carte, poi il caffè della stazione per neutralizzare il vino
Ma non ho scuse da portare, non dico più d’esser poeta
Non ho utopie da realizzare: stare a letto il giorno dopo è forse l’unica mia meta
Si alza sempre lenta come un tempo l’alba magica in collina
Ma non provo più quando la guardo quello che provavo prima
Ladri e profeti di futuro mi hanno portato via parecchio
Il giorno è sempre un po’ più oscuro, sarà forse perché è storia, sarà forse perché invecchio
Ma le strade sono piene di una rabbia che ogni giorno urla più forte
Son caduti i fiori e hanno lasciato solo simboli di morte
Dimmi se son da lapidare se mi nascondo sempre più
Ma ognuno ha la sua pietra pronta e la prima, non negare, me la tireresti tu
Sono più famoso che in quel tempo quando tu mi conoscevi
Non più amici, ho un pubblico che ascolta le canzoni in cui credevi
E forse ridono di me, ma in fondo ho la coscienza pura
Non rider tu se dico questo, ride chi ha nel cuore l’odio e nella mente la paura
Ma non devi credere che questo abbia cambiato la mia vita
È una cosa piccola di ieri che domani è già finita
Son sempre qui a vivermi addosso, ho dai miei giorni quanto basta
Ho dalla gloria quel che posso, cioè qualcosa che andrà presto, quasi come i soldi in tasca
Non lo crederesti, ho quasi chiuso tutti gli usci all’avventura
Non perché metterò la testa a posto, ma per noia o per paura
Non passo notti disperate su quel che ho fatto o quel che ho avuto
Le cose andate sono andate ed ho per unico rimorso le occasioni che ho perduto
Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta
Ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta
Qualcuno è andato per formarsi, chi per seguire la ragione
Chi perché stanco di giocare, bere il vino, sputtanarsi ed è una morte un po’ peggiore