Capitolo ventitreesimo dei Promessi Sposi e breve accenno al capitolo ventiquattre…
28 Dicembre 2019Testo della novella Maestro Simone dal Decamerone di Boccaccio
28 Dicembre 2019Critognato cerca di convincere i suoi a resistere ai Romani, come riportato nel capitolo 77 del settimo libro del De Bello Gallico di Cesare
Questi sono i punti chiave del suo famoso discorso antiromano:
1. “Disprezzo per la resa:” Critognato respinge con disprezzo l’idea della resa, sostenendo che chi la propone non merita di essere considerato un cittadino e non dovrebbe essere ammesso al consiglio. Considera la resa come una turpissima servitù.
2. “Esaltazione della virtù militare:” Critognato esalta la virtù militare e sostiene che coloro che approvano l’uscita dimostrano di possedere la vera virtù, poiché sono pronti a rischiare la vita per la libertà anziché piegarsi alla schiavitù.
3. “Richiamo all’onore e alla dignità:” Critognato sottolinea l’importanza dell’onore e della dignità personale, affermando che sarebbe disposto ad accettare l’uscita solo se fosse l’unica via per salvare la vita senza compromettere l’onore.
4. “Preoccupazione per il destino della Gallia:” Critognato invita i suoi a considerare le conseguenze per l’intera Gallia se si arrendessero ai Romani, mettendo in discussione la sicurezza, la libertà e l’autonomia del loro popolo e degli altri Galli.
In sintesi, Critognato cerca di mobilitare l’orgoglio, l’onore e il senso di dovere dei suoi compagni per resistere all’invasione romana e difendere la libertà e l’indipendenza della Gallia.
Testo Originale in latino
At ei, qui Alesiae obsidebantur praeterita die, qua auxilia suorum exspectaverant, consumpto omni frumento, inscii quid in Aeduis gereretur, concilio coacto de exitu suarum fortunarum consultabant. Ac variis dictis sententiis, quarum pars deditionem, pars, dum vires suppeterent, eruptionem censebat, non praetereunda oratio Critognati videtur propter eius singularem et nefariam crudelitatem. Hic summo in Arvernis ortus loco et magnae habitus auctoritatis, “Nihil,” inquit, “de eorum sententia dicturus sum, qui turpissimam servitutem deditionis nomine appellant, neque hos habendos civium loco neque ad concilium adhibendos censeo. Cum his mihi res sit, qui eruptionem probant; quorum in consilio omnium vestrum consensu pristinae residere virtutis memoria videtur. Animi est ista mollitia, non virtus, paulisper inopiam ferre non posse. Qui se ultro morti offerant facilius reperiuntur quam qui dolorem patienter ferant. Atque ego hanc sententiam probarem (tantum apud me dignitas potest), si nullam praeterquam vitae nostrae iacturam fieri viderem: sed in consilio capiendo omnem Galliam respiciamus, quam ad nostrum auxilium concitavimus. Quid hominum milibus LXXX uno loco interfectis propinquis consanguineisque nostris animi fore existimatis, si paene in ipsis cadaveribus proelio decertare cogentur? Nolite hos vestro auxilio exspoliare, qui vestrae salutis causa suum periculum neglexerunt, nec stultitia ac temeritate vestra aut animi imbecillitate omnem Galliam prosternere et perpetuae servituti subicere. An, quod ad diem non venerunt, de eorum fide constantiaque dubitatis? Quid ergo? Romanos in illis ulterioribus munitionibus animine causa cotidie exerceri putatis? Si illorum nuntiis confirmari non potestis omni aditu praesaepto, his utimini testibus appropinquare eorum adventum; cuius rei timore exterriti diem noctemque in opere versantur. Quid ergo mei consili est? Facere, quod nostri maiores nequaquam pari bello Cimbrorum Teutonumque fecerunt; qui in oppida compulsi ac simili inopia subacti eorum corporibus qui aetate ad bellum inutiles videbantur vitam toleraverunt neque se hostibus tradiderunt. Cuius rei si exemplum non haberemus, tamen libertatis causa institui et posteris prodi pulcherrimum iudicarem. Nam quid illi simile bello fuit? Depopulata Gallia Cimbri magnaque illata calamitate finibus quidem nostris aliquando excesserunt atque alias terras petierunt; iura, leges, agros, libertatem nobis reliquerunt. Romani vero quid petunt aliud aut quid volunt, nisi invidia adducti, quos fama nobiles potentesque bello cognoverunt, horum in agris civitatibusque considere atque his aeternam iniungere servitutem? Neque enim ulla alia condicione bella gesserunt. Quod si ea quae in longinquis nationibus geruntur ignoratis, respicite finitimam Galliam, quae in provinciam redacta iure et legibus commutatis securibus subiecta perpetua premitur servitute.”
Traduzione in italiano
E quelli che erano assediati ad Alesia il giorno precedente, quando avevano atteso il soccorso dei loro, avendo esaurito tutto il grano e ignari di ciò che stava accadendo agli Edui, radunatisi in consiglio, consultavano sul destino delle loro sorti. E tra le varie opinioni espresse, delle quali alcune proponevano la resa e altre, fintanto che le forze fossero sufficienti, proponevano la sortita, non è da trascurare il discorso di Critognato a causa della sua particolare e nefasta crudeltà. Nato in una posizione di grande autorità tra gli Arverni, dice: “Non dirò nulla riguardo alla loro opinione, coloro che chiamano turpissima servitù il nome di resa, né ritengo che debbano essere considerati come cittadini né che debbano essere ammessi al consiglio. Con costoro sono io, che approvano l’uscita; la memoria della precedente virtù sembra risiedere nel consiglio di tutti voi con il vostro consenso. Questa è mollezza d’animo, non virtù, non poter sopportare momentaneamente la mancanza. Coloro che si offrono volontariamente alla morte sono trovati più facilmente di coloro che sopportano il dolore pazientemente. E io approverei questa opinione (la dignità può tanto presso di me), se vedessi che avverrebbe solo la perdita della nostra vita: ma nel prendere una decisione consideriamo tutta la Gallia, che abbiamo mobilitato per il nostro aiuto. Cosa pensate che sarà lo stato d’animo dei nostri parenti e consanguinei se quasi saranno costretti a combattere sulla scia della battaglia con quasi ottantamila uomini uccisi in un solo luogo? Non privare il loro aiuto a coloro che hanno trascurato il loro pericolo per la vostra salvezza, né con la vostra stupidità e temerarietà né con la debolezza d’animo soggiogare tutta la Gallia e sottometterla alla schiavitù perpetua. O perché, non essendo giunti in quel giorno, dubitate della loro fedeltà e costanza? Che cosa allora? Pensate che i Romani siano allenati ogni giorno per spirito nelle fortificazioni più esterne? Se non potete essere confermati dalle loro notizie con ogni accesso presidiato, utilizzate questi testimoni per avvicinarvi alla loro arrivo; spaventati da questa cosa, essi lavorano giorno e notte nel lavoro. Cosa dunque è il mio consiglio? Fare ciò che i nostri antenati non hanno mai fatto in una guerra simile contro i Cimbri e i Teutoni; che, costretti nelle città e oppressi dalla stessa carestia, tollerarono la vita di coloro che sembravano inutili per la guerra a causa dell’età e non si consegnarono agli nemici. Anche se non avessimo un esempio di ciò, giudicherei comunque il più bello per la causa della libertà e per i posteri. Infatti, quale altra guerra è stata simile alla loro? Dopo aver devastato la Gallia, i Cimbri, infliggendo una grande calamità, in un certo momento si allontanarono dai nostri confini e cercarono altre terre; ci lasciarono leggi, diritti, campi, libertà. Ma cosa cercano i Romani se non, spinti dall’invidia, sedersi in questi campi e città di coloro che conoscono per fama nobili e potenti in guerra e imporre loro un’eterna schiavitù? Infatti non hanno combattuto con nessun’altra condizione. Ma se ignorate ciò che sta accadendo nelle lontane nazioni, guardate alla Gallia confinante, ridotta a provincia, con leggi e diritti cambiati, oppresse dalle scuri, soggette a una schiavitù perpetua.”