Umana Cosa Proemio Decameron Boccaccio
28 Dicembre 2019Odissea
28 Dicembre 2019Testo della novella Maestro Simone dal Decamerone di Boccaccio, nona novella dell’ottava giornata che vede ancora una volta protagonisti Bruno e Buffalmacco, che stavolta non beffano Calandrino, ma un altro sciocco credulone.
[IX] Maestro Simone medico da Bruno e da Buffalmacco, per esser fatto d’una brigata che va in corso, fatto andar di notte in alcun luogo, è da Buffalmacco gittato in una fossa di bruttura e lasciatovi.
Poi che le donne alquanto ebber cianciato dell’accomunar le mogli fatto da’ due sanesi, la reina, alla qual sola restava a dire, per non fare ingiuria a Dioneo, incominciò:
Assai bene, amorose donne, si guadagnò Spinelloccio la beffa che fatta gli fu dal Zeppa; per la qual cosa non mi pare che agramente sia da riprendere, come Pampinea volle poco innanzi mostrare, chi fa beffa alcuna a colui che la va cercando o che la si guadagna. Spinelloccio la si guadagnò: ed io intendo di dirvi d’uno che se l’andò cercando, estimando che quegli che gliele fecero non da biasimare ma da commendar sieno. E fu colui a cui fu fatta un medico che a Firenze da Bologna, essendo una pecora, tornò tutto coperto di pelli di vai.
Sí come noi veggiamo tutto il dí, i nostri cittadini da Bologna ci tornano qual giudice e qual medico e qual notaio, co’ panni lunghi e larghi e con gli scarlatti e co’ vai e con altre assai apparenze grandissime, alle quali come gli effetti succedano, anche veggiamo tuttogiorno. Tra’ quali un maestro Simone da Villa, piú ricco di ben paterni che di scienza, non ha gran tempo, vestito di scarlatto e con un gran batalo, dottor di medicine, secondo che egli medesimo diceva, ci ritornò, e prese casa nella via la quale noi oggi chiamiamo la Via del cocomero. Questo maestro Simone novellamente tornato, sí come è detto, tra gli altri suoi costumi notabili aveva in costume di domandare chi con lui era chi fosse qualunque uomo veduto avesse per via passare: e quasi degli atti degli uomini dovesse le medicine che dar doveva a’ suoi infermi comporre, a tutti poneva mente e raccoglievagli. Ed intra gli altri alli quali con piú efficacia gli vennero gli occhi addosso posti, furono due dipintori de’ quali s’è oggi qui due volte ragionato, Bruno e Buffalmacco, la compagnia de’ quali era continua, ed eran suoi vicini. E parendogli che costoro meno che alcuni altri del mondo curassero e piú lieti vivessono, sí come essi facevano, piú persone domandò di lor condizione: ed udendo da tutti, costoro essere poveri uomini e dipintori, gli entrò nel capo non dover potere essere che essi dovessero cosí lietamente vivere della lor povertá, ma s’avvisò, per ciò che udito aveva che astuti uomini erano, che d’alcuna altra parte non saputa dagli uomini dovesser trarre profitti grandissimi, e per ciò gli venne in disidèro di volersi, se esso potesse, con ammenduni o con l’uno almeno dimesticare: e vennegli fatto di prender dimestichezza con Bruno. E Bruno, conoscendo in poche di volte che con lui stato era, questo medico essere uno animale, cominciò di lui ad avere il piú bel tempo del mondo con sue nuove novelle: ed il medico similemente cominciò di lui a prendere maraviglioso piacere. Ed avendolo alcuna volta seco invitato a desinare e per questo credendosi dimesticamente con lui poter ragionare, gli disse la maraviglia che egli si faceva di lui e di Buffalmacco, che, essendo poveri uomini, cosí lietamente viveano, e pregollo che gl’insegnasse come faceano. Bruno, udendo il medico e parendogli la domanda dell’altre sue sciocche e dissipite, cominciò a ridere e pensò di rispondergli secondo che alla sua pecoraggine si convenia, e disse: — Maestro, io nol direi a molte persone come noi facciamo, ma di dirlo a voi, perché siete amico e so che ad altrui nol direte, non mi guarderò. Egli è vero che il mio compagno ed io viviamo cosí lietamente e cosí bene come vi pare, e piú: né di nostra arte né d’altro frutto che noi d’alcune possessioni traiamo, avremmo da poter pagar pur l’acqua che noi logoriamo; né voglio per ciò che voi crediate che noi andiamo ad imbolare, ma noi andiamo in corso, e di questo ogni cosa che a noi è di diletto o di bisogno, senza alcun danno d’altrui, tutto traiamo: e da questo viene il nostro viver lieto che voi vedete. — Il medico, udendo questo, e senza saper che si fosse, credendolo, si maravigliò molto, e subitamente entrò in disidèro caldissimo di sapere che cosa fosse l’andare in corso, e con grande istanza il pregò che gliel dicesse, affermandogli che per certo mai a niuna persona il direbbe. — Oimè! — disse Bruno — maestro, che mi domandate voi? Egli è troppo gran segreto quello che voi volete sapere, ed è cosa da disfarmi e da cacciarmi del mondo, anzi da farmi mettere in bocca del Lucifero da San Gallo, se altri il risapesse: ma sí è grande l’amor che io porto alla vostra qualitativa mellonaggine da Legnaia e la fidanza la quale ho in voi, che io non posso negarvi cosa che voi vogliate: e per ciò io il vi dirò, con questo patto, che voi per la croce a Montesone mi giurerete che mai, come promesso avete, a niuno il direte. — Il maestro affermò che non farebbe. — Dovete adunque, — disse Bruno — maestro mio dolciato, sapere che egli non è ancora guari che in questa cittá fu un gran maestro in nigromantia il quale ebbe nome Michele Scotto, per ciò che di Scozia era, e da molti gentili uomini, de’ quali pochi oggi son vivi, ricevette grandissimo onore; e volendosi di qui partire, ad istanza de’ prieghi loro ci lasciò due suoi sufficienti discepoli, a’ quali impose che ad ogni piacere di questi cotali gentili uomini che onorato l’aveano, fossero sempre presti. Costoro adunque servivano i predetti gentili uomini di certi loro innamoramenti e d’altre cosette liberamente; poi, piacendo loro la cittá ed i costumi degli uomini, ci si disposero a voler sempre stare e preserci di grandi e di strette amistá con alcuni, senza guardare che essi fossero piú gentili che non gentili o piú ricchi che poveri, solamente che uomini fossero conformi a’ lor costumi. E per compiacere a questi cosí fatti loro amici, ordinarono una brigata forse di venticinque uomini li quali due volte almeno il mese insieme si dovessero ritrovare in alcun luogo da loro ordinato: e quivi essendo, ciascuno a costoro il suo disidèro dice, ed essi prestamente per quella notte il forniscono; co’ quali due avendo Buffalmacco ed io singulare amistá e dimestichezza, da loro in cotal brigata fummo messi, e siamo. E dicovi cosí che, qualora egli avvien che noi insieme ci raccogliamo, è maravigliosa cosa a vedere i capoletti intorno alla sala dove mangiamo e le tavole messe alla reale e la quantitá de’ nobili e belli servidori, cosí femine come maschi, al piacer di ciascuno che è di tal compagnia, ed i bacini, gli orciuoli, i fiaschi e le coppe e l’altro vasellamento d’oro e d’ariento ne’ quali noi mangiamo e beiamo: ed oltre a questo, le molte e varie vivande, secondo che ciascun disidera, che recate ci sono davanti ciascuna a suo tempo. Io non vi potrei mai divisare chenti e quali sieno i dolci suoni d’infiniti strumenti ed i canti pieni di melodia che vi s’odono, né vi potrei dire quanta sia la cera che vi s’arde a queste cene né quanti sieno i confetti che vi si consumano e come sieno preziosi i vini che vi si beono. E non vorrei, zucca mia da sale, che voi credeste che noi stessimo lá in questo abito o con questi panni che ci vedete: egli non ve n’è niun sí cattivo, che non vi paresse uno imperadore, sí siamo di cari vestimenti e di belle cose ornati. Ma sopra tutti gli altri piaceri che vi sono si è quello delle belle donne, le quali subitamente, pur che l’uom voglia, di tutto il mondo vi son recate. Voi vedreste quivi la donna de’ barbanicchi, la reina de’ baschi, la moglie del soldano, la ’mperadrice d’Osbech, la ciancianfera di Norrueca, la semistante di Berlinzone e la scalpedra di Narsia. Che vi vo io annoverando? E’ vi sono tutte le reine del mondo, io dico infino alla schinchimurra del Presto Giovanni: or vedete oggimai voi! Dove, poi che hanno bevuto e confettato, fatta una danza o due, ciascuna con colui a cui istanza v’è fatta venire se ne va nella sua camera: e sappiate che quelle camere paiono un paradiso a vedere, tanto son belle! E sono non meno odorifere che sieno i bossoli delle spezie della bottega vostra, quando voi fate pestare il comino; ed havvi letti che vi parrebber piú belli che quel del doge di Vinegia, ed in quegli a riposar se ne vanno. Or che menar di calcole e di tirar le casse a sé, per fare il panno serrato, faccian le tessitrici, lascerò io pensar pure a voi! Ma tra gli altri che meglio stanno, secondo il parer mio, siam Buffalmacco ed io, per ciò che Buffalmacco le piú delle volte vi fa venir per sé la reina di Francia ed io per me quella d’Inghilterra, le quali son due pur le piú belle donne del mondo: e sí abbiamo saputo fare, che elle non hanno altro occhio in capo che noi; per che da voi medesimo pensar potete se noi possiamo e dobbiamo vivere ed andare piú che gli altri uomini lieti, pensando che noi abbiamo l’amore di due cosí fatte reine: senza che, quando noi vogliamo un mille o un dumilia fiorini da loro, noi non gli abbiamo. E questa cosa chiamiam noi volgarmente «l’andare in corso», per ciò che, sí come i corsari tolgono la roba d’ogni uomo, e cosí facciam noi: se non che di tanto siamo differenti da loro, che eglino mai non la rendono, e noi la rendiamo come adoperata l’abbiamo. Ora avete, maestro mio da bene, inteso ciò che noi diciamo «l’andare in corso»: ma quanto questo voglia esser segreto, voi il vi potete vedere, e per ciò piú nol vi dico né ve ne priego. — Il maestro, la cui scienza non si stendeva forse piú oltre che il medicare i fanciulli del lattime, diede tanta fede alle parole di Bruno quanta si saria convenuta a qualunque veritá: ed in tanto disidèro s’accese di volere essere in questa brigata ricevuto, quanto di qualunque altra cosa piú disiderabile si potesse essere acceso. Per la qual cosa a Bruno rispose che fermamente maraviglia non era se lieti andavano, ed a gran pena si temperò in riservarsi di richiederlo che essere il vi facesse, infino a tanto che, con piú onor fattogli, gli potesse con piú fidanza porgere i prieghi suoi. Avendolsi adunque riservato, cominciò piú a continuare con lui l’usanza e ad averlo da sera e da mattina a mangiar seco, ed a mostrargli smisurato amore: ed era sí grande e sí continua questa loro usanza, che non parea che senza Bruno il maestro potesse né sapesse vivere. Bruno, parendogli star bene, acciò che ingrato non paresse di questo onor fattogli dal medico, gli aveva dipinta nella sala sua la quaresima ed uno agnusdei all’entrar della camera e sopra l’uscio della via uno orinale, acciò che coloro che avessero del suo consiglio bisogno il sapessero riconoscer dagli altri: ed in una sua loggetta gli aveva dipinta la battaglia de’ topi e delle gatte, la quale troppo bella cosa pareva al medico; ed oltre a questo, diceva alcuna volta al maestro, quando con lui non aveva cenato: — Stanotte fui io alla brigata, ed essendomi un poco la reina d’Inghilterra rincresciuta, mi feci venir la gumedra del gran can d’Altarisi. — Diceva il maestro: — Che vuol dir «gumedra»? Io non gl’intendo questi nomi. — O maestro mio, — diceva Bruno — io non me ne maraviglio, ché io ho bene udito dire che Porcograsso e Vannaccena non ne dicon nulla. — Disse il maestro: — Tu vuoi dire Ipocrasso ed Avicena. — Disse Bruno: — Gnaffe, io non so: io m’intendo cosí male de’ vostri nomi come voi de’ miei; ma «la gumedra» in quella lingua del gran cane vuol tanto dire quanto «imperadrice» nella nostra. O ella vi parrebbe la bella feminaccia! Ben vi so dire che ella vi farebbe dimenticare le medicine e gli argomenti ed ogni impiastro. — E cosí dicendogli alcuna volta per piú accenderlo, avvenne che, parendo a messer lo maestro, una sera a vegghiare, parte che il lume teneva a Bruno che la battaglia de’ topi e delle gatte dipigneva, bene averlo co’ suoi onor preso, che egli si dispose d’aprirgli l’animo suo; e soli essendo, gli disse: — Bruno, come Iddio sa, egli non vive oggi alcuna persona per cui io facessi ogni cosa come io farei per te, e per poco, se tu mi dicessi che io andassi di qui a Peretola, io credo che io v’andrei; e per ciò non voglio che tu ti maravigli se io te dimesticamente ed a fidanza richiederò. Come tu sai, egli non è guari che tu mi ragionasti de’ modi della vostra lieta brigata, di che sí gran disidèro d’esserne m’è venuto, che mai niuna altra cosa si disiderò tanto. E questo non è senza cagione, come tu vedrai se mai avviene che io ne sia, ché infino da ora voglio io che tu ti faccia beffe di me se io non vi fo venire la piú bella fante che tu vedessi giá è buona pezza, che io vidi pur l’altranno a Cacavincigli, a cui io voglio tutto il mio bene: e per lo corpo di Cristo, che io le volli dare diece bolognin grossi ed ella mi s’acconsentisse, e non volle. E però quanto piú posso ti priego che m’insegni quello che io abbia a fare per dovervi potere essere, e che tu ancora facci ed adoperi che io vi sia: e nel vero voi avrete di me buono e fedel compagno ed orrevole. Tu vedi innanzi innanzi come io son bello uomo e come mi stanno bene le gambe in su la persona, ed ho un viso che pare una rosa; ed oltre a ciò, son dottore di medicine, che non credo che voi ve n’abbiate niuno, e so dimolte belle cose e di belle canzonette: e vo’tene dire una — e di botto incominciò a cantare. Bruno aveva sí gran voglia di ridere, che egli in se medesimo non capeva, ma pur si tenne. E finita la canzone, ed il maestro disse: — Che te ne pare? — Disse Bruno: — Per certo con voi perderieno le cetere de’ sagginali, sí artagoticamente stracantate. — Disse il maestro: — Io dico che tu non l’avresti mai creduto, se tu non m’avessi udito. — Per certo voi dite vero — disse Bruno. Disse il maestro: — Io so bene anche dell’altre: ma lasciamo ora star questo. Cosí fatto come tu mi vedi, mio padre fu gentile uomo, benché egli stesse in contado, ed io altressí son nato per madre di quegli da Vallecchio: e come tu hai potuto vedere, io ho pure i piú be’ libri e le piú belle robe che medico di Firenze. In fé di Dio, io ho roba che costò, contata ogni cosa, delle lire presso a cento di bagattini, giá è degli anni piú di diece! Per che quanto piú posso ti priego che facci che io ne sia: ed in fé di Dio, se tu il fai, sii pure infermo se tu sai, che mai di mio mestiere io non ti torrò un denaio. — Bruno, udendo costui e parendogli, sí come altre volte assai paruto gli era, un lavaceci, disse: — Maestro, fate un poco il lume piú qua, e non v’incresca infin tanto che io abbia fatte le code a questi topi, e poi vi risponderò. — Fornite le code, e Bruno, faccendo vista che forte la petizion gli gravasse, disse: — Maestro mio, gran cose son quelle che per me fareste, ed io il conosco: ma tuttavia quella che a me addomandate, quantunque alla grandezza del vostro cervello sia piccola, pure è a me grandissima, né so alcuna persona del mondo per cui io potendo la mi facessi, se io non la facessi per voi, sí perché v’amo quanto si conviene e sí per le parole vostre, le quali son condite di tanto senno, che trarrebbono le pinzochere degli usatti, non che me del mio proponimento; e quanto piú uso con voi, piú mi parete savio. E dicovi ancora cosí, che, se altro non mi vi facesse voler bene, sí vi vo’ bene perché veggio che innamorato siete di cosí bella cosa come diceste. Ma tanto vi vo’ dire: io non posso in queste cose quello che voi avvisate, e per questo non posso per voi quello che bisognerebbe, adoperare: ma ove voi mi promettiate sopra la vostra grande e calterita fede di tenerlomi credenza, io vi dirò il modo che a tenere avrete, e parmi esser certo, avendo voi cosí be’ libri e l’altre cose che di sopra dette m’avete, che egli vi verrá fatto. — A cui il maestro disse: — Sicuramente di’. Io veggio che tu non mi conosci bene e non sai ancora come io so tenere segreto. Egli erano poche cose che messer Guasparruolo da Saliceto facesse, quando egli era giudice della podestá di Forlimpopoli, che egli non le mi mandasse a dire, perché mi trovava cosí buon segretaro. E vuoi vedere se io dico vero? Io fui il primaio uomo a cui egli dicesse che egli era per isposare la Bergamina: vedi oggimai tu! — Or bene sta adunque, — disse Bruno — se cotestui se ne fidava, ben me ne posso fidare io. Il modo che voi avrete a tener fia questo. Noi sí abbiamo a questa nostra brigata sempre un capitano con due consiglieri, li quali di sei in sei mesi si mutano, e senza fallo a calendi sará capitano Buffalmacco ed io consigliere, e cosí è fermato: e chi è capitano può molto in mettervi e far che messo vi sia chi egli vuole; e per ciò a me parrebbe che voi, in quanto voi poteste, prendeste la dimestichezza di Buffalmacco e facestegli onore. Egli è uomo che, veggendovi cosí savio, s’innamorerá di voi incontanente; e quando voi l’avrete, col senno vostro e con queste buone cose che avete, un poco dimesticato, voi il potrete richiedere: egli non vi saprá dir di no. Io gli ho giá ragionato di voi, e vuolvi il meglio del mondo; e quando voi avrete fatto cosí, lasciate far me con lui. — Allora disse il maestro: — Troppo mi piace ciò che tu ragioni; e se egli è uomo che si diletti de’ savi uomini, e favellami pure un poco, io farò bene che egli m’andrá sempre cercando, per ciò che io n’ho tanto del senno, che io ne potrei fornire una cittá e rimarrei savissimo. — Ordinato questo, Brun disse ogni cosa a Buffalmacco per ordine; di che a Buffalmacco parea mille anni di dovere essere a far quello che questo maestro sapa andava cercando. Il medico, che oltre modo disiderava d’andare in corso, non mollò mai che egli divenne amico di Buffalmacco, il che agevolmente gli venne fatto, e cominciògli a dare le piú belle cene ed i piú be’ desinari del mondo, ed a Bruno con lui altressí, ed essi si carmignavano come que’ signori; li quali, sentendogli bonissimi vini e di grossi capponi e d’altre buone cose assai, gli si tenevano assai di presso: e senza troppi inviti, dicendo sempre che con uno altro ciò non farebbono, si rimanevan con lui. Ma pure, quando tempo parve al maestro, sí come Bruno aveva fatto, cosí Buffalmacco richiese; di che Buffalmacco si mostrò molto turbato e fece a Bruno un gran romore in testa, dicendo: — Io fo boto all’alto Dio da Passignano che io mi tengo a poco che io non ti do tale in su la testa, che il naso ti caschi nelle calcagna, traditor che tu se’, che altri che tu non ha queste cose manifestate al maestro. — Ma il maestro lo scusava forte, dicendo e giurando se averlo d’altra parte saputo; e dopo molte delle sue savie parole pure il paceficò. Buffalmacco, rivolto al maestro, disse: — Maestro mio, egli si par bene che voi siete stato a Bologna e che voi infino in questa terra abbiate recata la bocca chiusa; ed ancora vi dico piú, che voi non apparaste miga l’abicí in su la mela, come molti sciocconi voglion fare, anzi l’apparaste bene in sul mellone, che è cosí lungo: e se io non m’inganno, voi foste battezzato in domenica. E come che Bruno m’abbia detto che voi studiaste lá in medicine, a me pare che voi studiaste in apparare a pigliare uomini, il che voi meglio che altro uomo che io vidi mai, sapete fare con vostro senno e con vostre novelle. — Il medico, rompendogli la parola in bocca, verso Brun disse: — Che cosa è a favellare e ad usare co’ savi! Chi avrebbe cosí tosto ogni particularitá compresa del mio sentimento, come ha questo valente uomo? Tu non te n’avvedesti miga cosí tosto tu di quello che io valeva, come ha fatto egli: ma di’ almeno quello che io ti dissi quando tu mi dicesti che Buffalmacco si dilettava de’ savi uomini; parti che io l’abbia fatto? — Disse Bruno: — Meglio! — Allora il maestro disse a Buffalmacco: — Altro avresti detto se tu m’avessi veduto a Bologna, dove non era niun grande né piccolo, né dottore né scolare, che non mi volesse il meglio del mondo, sí tutti gli sapeva appagare col mio ragionare e col senno mio. E dirótti piú, che io non vi dissi mai parola, che io non facessi ridere ogni uomo, sí forte piaceva loro; e quando io me ne partii, fecero tutti il maggior pianto del mondo, e volevano tutti che io vi pur rimanessi, e fu a tanto la cosa perché io vi stessi, che vollono lasciare a me solo che io leggessi a quanti scolari v’avea le medicine: ma io non volli, ché io era pur disposto a venir qua a grandissime ereditá che io ci ho, state sempre di quei di casa mia; e cosí feci. — Disse allora Bruno a Buffalmacco: — Che ti pare? Tu nol mi credevi quando io il ti diceva. Alle guagnele! egli non ha in questa terra medico che s’intenda d’orina d’asino a petto a costui, e fermamente tu non ne troveresti uno altro di qui alle porti di Parigi de’ cosí fatti. Va’ tienti oggimai tu di non far ciò che vuole! — Disse il medico: — Brun dice il vero, ma io non ci son conosciuto. Voi siete anzi gente grossa che no, ma io vorrei che voi mi vedeste tra’ dottori, come io soglio stare. — Allora disse Buffalmacco: — Veramente, maestro, voi le sapete troppo piú che io non avrei mai creduto; di che io, parlandovi come si vuole parlare a’ savi come voi siete, frastagliatamente vi dico che io procaccerò senza fallo che voi di nostra brigata sarete. — Gli onori dal medico fatti a costoro appresso questa promessa multiplicarono; laonde essi, godendo, gli facean cavalcar la capra delle maggiori sciocchezze del mondo, ed impromisongli di dargli per donna la contessa di Civillari, la quale era la piú bella cosa che si trovasse in tutto il culattario dell’umana generazione. Domandò il medico chi fosse questa contessa; al quale Buffalmacco disse: — Pinca mia da seme, ella è una troppo gran donna, e poche case ha per lo mondo nelle quali ella non abbia alcuna giurisdizione: e non che altri, ma i frati minori a suon di nacchere le rendon tributo. E sovvi dire che, quando ella va da torno, ella si fa ben sentire, benché ella stea il piú richiusa: ma non ha per ciò molto che ella vi passò innanzi all’uscio una notte che andava ad Arno a lavarsi i piedi e per pigliare un poco d’aria: ma la sua piú continua dimora è in Laterina. Ben vanno per ciò de’ suoi sergenti spesso da torno, e tutti a dimostrazion della maggioranza di lei portano la verga ed il piombino. De’ suoi baroni si veggon per tutto assai, sí come è il Tamagnin dalla porta, don Meta, Manico di scopa, lo Squacchera ed altri, li quali vostri dimestichi credo che sieno, ma ora non ve ne ricordate. A cosí gran donna adunque, lasciata star quella da Cacavincigli, se il pensier non c’inganna, vi metterem nelle dolci braccia. — Il medico, che a Bologna nato e cresciuto era, non intendeva i vocaboli di costoro; per che egli della donna si chiamò per contento: né guari dopo queste novelle gli recarono i dipintori che egli era per ricevuto. E venuto il dí che la notte seguente si dovean ragunare, il maestro gli ebbe ammenduni a desinare: e desinato che egli ebbero, gli domandò che modo gli conveniva tenere a venire a questa brigata. Al quale Buffalmacco disse: — Vedete, maestro, a voi conviene esser molto sicuro, per ciò che, se voi non foste molto sicuro, voi potreste ricevere impedimento e fare a noi grandissimo danno; e quello a che egli vi conviene esser molto sicuro, voi l’udirete. A voi si convien trovar modo che voi siate stasera in sul primo sonno in su uno di quegli avelli rilevati che poco tempo ha si fecero di fuori a Santa Maria Novella, con una delle vostre piú belle robe indosso, acciò che voi per la prima volta compariate orrevole dinanzi alla brigata, e sí ancora per ciò che; per quello che detto ne fosse, ché non vi fummo noi poi; per ciò che voi siete gentile uomo, la contessa intende di farvi cavalier bagnato alle sue spese: e quivi v’aspettate tanto, che per voi venga colui che noi manderemo. Ed acciò che voi siate d’ogni cosa informato, egli verrá per voi una bestia nera e cornuta non molto grande, ed andrá faccendo per la piazza dinanzi da voi un gran sufolare ed un gran saltare per ispaventarvi: ma poi, quando vedrá che voi non vi spaventiate, ella vi s’accosterá pianamente; e quando accostata vi si sará, e voi allora senza alcuna paura scendete giú dell’avello, e senza ricordare o Iddio o’ santi, vi salite suso, e come suso vi siete acconcio, cosí, a modo che se steste cortese, vi recate le mani al petto senza piú toccar la bestia. Ella allora soavemente si moverá e recheravvene a noi: ma infino da ora, se voi ricordaste Iddio o’ santi, o aveste paura, vi dico io che ella vi potrebbe gittare o percuotere in parte che vi putirebbe; e per ciò, se non vi dá il cuore d’esser ben sicuro, non vi venite, ché voi fareste danno a voi senza fare a noi prò niuno. — Allora il medico disse: — Voi non mi conoscete ancora: voi guardate forse perché io porto i guanti in mano ed i panni lunghi. Se voi sapeste quello che io ho giá fatto di notte a Bologna, quando io andava talvolta co’ miei compagni alle femine, voi vi maravigliereste. In fé di Dio, egli fu tal notte, che, non volendone una venir con noi; ed era una tristanzuola, che è peggio, che non era alta un sommesso; io le die’ prima dimolte pugna, poscia, presala di peso, credo che io la portassi presso ad una balestrata: e pur convenne, sí feci, che ella ne venisse con noi. Ed un’altra volta mi ricorda che io, senza esser meco altri che un mio fante, colá, un poco dopo l’avemaria, passai allato al cimitero de’ frati minori: ed eravi il dí stesso stata sotterrata una femina, e non ebbi paura niuna; e per ciò di questo non v’isfidate, ché sicuro e gagliardo sono io troppo. E dicovi che io, per venirvi bene orrevole, mi metterò la roba mia dello scarlatto con la quale io fui conventato, e vedrete se la brigata si rallegrerá quando mi vedrá e se io sarò fatto a mano a man capitano. Vedrete pure come l’opera andrá quando io vi sarò stato, da che, non avendomi ancora quella contessa veduto, ella s’è sí innamorata di me, che ella mi vuol fare cavalier bagnato: e forse che la cavalleria mi stará cosí male? e saprolla cosí mal mantenere, o pur bene? Lascerete pur far me. — Buffalmacco disse: — Troppo dite bene; ma guardate che voi non ci faceste la beffa e non vi veniste, o non vi foste trovato quando per voi manderemo: e questo dico, per ciò che egli fa freddo e voi signor medici ve ne guardate molto. — Non piaccia a Dio! — disse il medico — Io non sono di questi assiderati: io non curo freddo; poche volte è mai che io mi lievi la notte cosí per bisogno del corpo, come l’uom fa talvolta, che io mi metta altro che il pilliccion mio sopra il farsetto; e per ciò io vi sarò fermamente. — Partitisi adunque costoro, come notte si venne faccendo, il maestro trovò sue scuse in casa con la moglie: e trattane celatamente la sua bella roba, come tempo gli parve, messalasi indosso, se n’andò sopra uno de’ detti avelli; e sopra quegli marmi ristrettosi, essendo il freddo grande, cominciò ad aspettar la bestia. Buffalmacco, il quale era grande ed atante della persona, ordinò d’avere una di queste maschere che usare si soleano a certi giuochi li quali oggi non si fanno, e messosi indosso un pilliccion nero a rivescio, in quello s’acconciò in guisa che pareva pure uno orso, se non che la maschera aveva viso di diavolo ed era cornuta. E cosí acconcio, venendogli Bruno appresso per vedere come l’opera andasse, se n’andò nella piazza nuova di Santa Maria Novella: e come egli si fu accorto che messer lo maestro v’era, cosí cominciò a saltabellare ed a fare un nabissar grandissimo su per la piazza ed a sufolare e ad urlare ed a stridire in guisa che se imperversato fosse. Il quale come il maestro sentí e vide, cosí tutti i peli gli s’arricciarono addosso, e tutto cominciò a tremare, come colui che era piú che una femina pauroso, e fu ora che egli vorrebbe essere stato innanzi a casa sua che quivi: ma nonpertanto pur, poi che andato v’era, si sforzò d’assicurarsi, tanto il vinceva il disidèro di giugnere a vedere le maraviglie dettegli da costoro. Ma poi che Buffalmacco ebbe alquanto imperversato, come è detto, faccendo sembianti di rappacefícarsi, s’accostò all’avello sopra il quale era il maestro, e stette fermo. Il maestro, sí come quegli che tutto tremava di paura, non sapeva che farsi, se su vi salisse o se si stesse. Ultimamente, temendo non gli facesse male se su non vi salisse, con la seconda paura cacciò la prima, e sceso dell’avello, pianamente dicendo: — Iddio m’aiuti! — sú vi salí, ed acconciossi molto bene: e sempre tremando tutto, si recò con le mani a star cortese, come detto gli era stato. Allora Buffalmacco pianamente s’incominciò a dirizzare verso Santa Maria della Scala, ed andando carpone infino presso le donne di Ripole il condusse. Erano allora per quella contrada fosse, nelle quali i lavoratori di que’ campi facevan votare la contessa di Civillari per ingrassare i campi loro; alle quali come Buffalmacco fu vicino, accostatosi alla proda d’una e preso tempo, messa la mano sotto all’un de’ piedi del medico e con essa sospintolsi da dosso, di netto col capo innanzi il gittò in essa e cominciò a ringhiar forte ed a saltare e ad imperversare e ad andarsene lungo Santa Maria della Scala verso il prato d’Ognissanti, dove ritrovò Bruno che, per non poter tener le risa, fuggito s’era: ed ammenduni festa faccendosi, di lontan si misero a veder quello che il medico impastato facesse. Messer lo medico, sentendosi in questo luogo cosí abominevole, si sforzò di rilevare e di volersi aiutar per uscirne, ed ora in qua ed ora in lá ricadendo, tutto dal capo al piè impastato, dolente e cattivo, avendone alquante dramme ingozzate, pur n’uscí fuori, e lasciovvi il cappuccio: e spastandosi con le mani come poteva il meglio, non sappiendo che altro consiglio pigliarsi, se ne tornò a casa sua, e picchiò tanto che aperto gli fu. Né prima, essendo egli entrato dentro cosí putente, fu l’uscio riserrato, che Bruno e Buffalmacco furono ivi, per udire come il maestro fosse dalla sua donna raccolto; li quali stando ad udir, sentirono alla donna dirgli la maggior villania che mai si dicesse a niun tristo, dicendo: — Deh! come ben ti sta! Tu eri ito a qualche altra femina e volevi comparire molto orrevole con la roba dello scarlatto. Or non ti bastava io? Frate, io sarei sufficiente ad un popolo, non che a te. Deh! or t’avessono essi affogato, cosí come essi ti gittarono lá dove tu eri degno d’esser gittato! Ecco medico onorato, aver moglie ed andar la notte alle femine altrui! — E con queste e con altre assai parole, faccendosi il medico tutto lavare, infino alla mezzanotte non rifinò la donna di tormentarlo. Poi, la mattina vegnente, Bruno e Buffalmacco, avendosi tutte le carni dipinte soppanno di lividori a guisa che far soglion le battiture, se ne vennero a casa del medico e trovaron lui giá levato; ed entrati dentro a lui, sentirono ogni cosa putirvi, ché ancora non s’era sí ogni cosa potuta nettare, che non vi putisse. E sentendo il medico costor venire a lui, si fece loro incontro, dicendo che Iddio desse loro il buon dí; al quale Bruno e Buffalmacco, sí come proposto aveano, risposero con turbato viso: — Questo non diciam noi a voi, anzi preghiamo Iddio che vi déa tanti malanni, che voi siate morto a ghiado, sí come il piú disleale ed il maggior traditor che viva, per ciò che egli non è rimaso per voi, ingegnandoci noi di farvi onore e piacere, che noi non siamo stati morti come cani. E per la vostra dislealtá abbiamo stanotte avute tante busse, che di meno andrebbe uno asino a Roma: senza che, noi siamo stati a pericolo d’essere stati cacciati della compagnia nella quale noi avevamo ordinato di farvi ricevere. E se voi non ci credete, ponete mente le carni nostre come elle stanno. — E ad un cotal barlume apertisi i panni dinanzi, gli mostrarono i petti loro tutti dipinti, e richiusongli senza indugio. Il medico si volea scusare e dir delle sue sciagure, e come e dove egli era stato gittato; al quale Buffalmacco disse: — Io vorrei che egli v’avesse gittato dal ponte in Arno; perché ricordavate voi o Dio o’ santi? Non vi fu egli detto dinanzi? — Disse il medico che in fé di Dio non ricordava. — Come — disse Buffalmacco — non ricordate? Voi ve ne ricordate molto, ché ne disse il messo nostro che voi tremavate come verga e non sapevate dove voi vi foste. Or voi ce l’avete ben fatta, ma mai piú persona non la ci fará: ed a voi ne faremo ancora quello onore che vi se ne conviene.— Il medico cominciò a chieder perdono ed a pregargli per Dio che nol dovesser vituperare, e con le migliori parole che egli poté s’ingegnò di paceficargli: e per paura che essi questo suo vitupèro non palesassero, se da indi addietro onorati gli avea, molto piú gli onorò e careggiò con conviti ed altre cose da indi innanzi. Cosí adunque, come udito avete, senno s’insegna a chi tanto non n’apparò a Bologna.