Miser catulle desinas ineptire vv.3-19
28 Dicembre 2019La tregua di Primo Levi – Luigi Gaudio
28 Dicembre 2019
«Hesterno, Licini, die otiosi
multum lusimus in meis tabellis,
ut convenerat esse delicatos:scribens versiculos uterque nostrum
ludebat numero modo hoc modo illoc,
reddens mutua per iocum atque vinum.
Atque illinc abii tuo lepore
incensus, Licini, facetiisque,
ut nec – me miserum- cibus iuvaret
nec somnus tegeret quiete ocellos,
sed toto indomitus furore lecto
versarer cupiens videre lucem,
ut tecum loquerer, simulque ut essem.
At defessa labore membra postquam
semimortua lectulo iacebant,
hoc, iucunde, tibi poema feci,
ex quo perspiceres meum dolorem.
Nunc audax cave sis, precesque nostras,
oramus, cave despuas, ocelle,ne poenas Nemesis reposcat a te.
Est vemens dea: laedere hanc caveto.»
«Ieri, o Licinio, liberi da ogni impegno
ci siamo dilettati molto sui miei quaderni
per trattare argomenti d’amore come ci eravamo accordati:
ciascuno di noi, scrivendo versi,
si divertiva ora in un metro ora in un altro
rispondendoci a vicenda tra battute e coppe di vino.
Da lì me ne andai, o Licinio,
entusiasmato dalla tua giovialità e dalle tue battute,
tanto che – povero me! – né il cibo mi appagava
né il sonno induceva i miei occhi al riposo,
ma mi rigiravo nel letto, dominato da tutto quel furore,
desiderando di vedere l’alba,
per parlare con te e per stare insieme.
Ma dopo che le membra distrutte dalla fatica
giacevano sfinite sul letto,
ho scritto, o caro, questo poema per te,
cosicché comprendessi il mio dolore.
Ora bada di non essere superbo e diciamo le nostre preghiere senza vergogna,
bada di non disdegnarlo, o mia perla,
affinché Nemesi non riscuota le pene presso di te.
È una dea forte: bada a non farti colpire.»