Osip Mandelstam e la resurrezione del larice
22 Febbraio 2021La Libia
27 Febbraio 2021Il narratore non è altro che l’autore stesso. Il filo conduttore è la vita nel gulag della Kolima, dove l’autore fu rinchiuso dal 1943 AL 1953, ma le vicende sono varie e non sempre legate l’una all’altra.
Biografia dell’autore
Varlam Tichonovic Salamov nasce a Vologda (Russia) nel 1907. Nel 1924, conclusi gli studi secondari, si trasferisce vicino a Mosca, dove lavora come operaio in una conceria.
Nel 1929 viene arrestato per la diffusione del “Testamento di Lenin” in chiave antistaliniana e condannato a tre anni di lager, che sconterà a Visera, negli Urali settentrionali. Liberato alla fine del 1931, Salamov torna a Mosca poco dopo e lavora in vari periodici. Nel 1936 pubblica il primo racconto su una rivista, ma il 12 gennaio 1937 viene arrestato con l’imputazione più grave, il famoso “articolo 58” che riguarda l’attività controrivoluzionaria, in particolare “trotskista” , per la quale viene condannato a cinque anni di reclusione in un lager “per lavori pesanti” . Trasferito in Siberia, nella regione della Kolyma vi rimarrà fino al 1953, subendo ulteriori condanne basate sul metodo della dell’azione. Ormai ridotto allo stremo delle forze, nel 1945 riesce a farsi ricoverare in ospedale, dove conosce il dr. Panguchov, che cerca di trattenerlo in reparto il più a lungo possibile.
Destinato ai “lavori generali” dopo le dimissioni, senza più scampo, incontra nel 1946 lo stesso medico, che riesce a introdurlo come infermiere all’Ospedale centrale per detenuti, dove rimane fino alla liberazione, il 13 ottobre 1951. Solo nel 1953 riesce a tornare a Mosca, dove inizia a scrivere, con grande sofferenza e tormento interiore i “Racconti di Kolyma” . Lavora in varie case editrici e collabora a diverse riviste, su cui pubblica le proprie poesie. Nel 1956 viene riabilitato “per non aver commesso il fatto” . L’anno successivo si ammala gravemente e riesce a ottenere una misera pensione di invalidità. Continua per più di un decennio a scrivere i racconti, ossessionato dall’imperativo morale di ricordare i milioni di morti innocenti nel Lager e si dedica anche alla stesura delle poesie e di altre opere. Nel 1978 a Londra esce la prima edizione dei “Racconti di Kolima” in russo e nel 1980 a Parigi l’edizione in francese. Nel frattempo le condizioni dì salute di Salamov peggiorano ulteriormente e nel 1979 viene ricoverato in un pensionato per anziani e invalidi, dove muore solo e disperato il 17 gennaio 1982.
I racconti della Kolyma
Il narratore non è altro che l’autore stesso. Il filo conduttore è la vita nel gulag della Kolima, dove l’autore fu rinchiuso dal 1943 AL 1953, ma le vicende sono varie e non sempre legate l’una all’altra. Spesso questi racconti iperrealisti, documentari, sono incentrati sulle condizioni di lavoro e di alimentazione dei lavoratori, con frequenti cenni alle ingiustizie da essi subite da parte del personale militare. Si possono facilmente riconoscere le accuse rivolte contro il regime sovietico, che organizzava questi campi di lavoro forzato per rinchiudervi gli oppositori del sistema.
“Il fortunato che acchiappava il pane lo divideva tra tutti coloro che ne volevano: generosità che tre settimane dopo avremmo disimparato per sempre.”
“Così si fece presto a chiudere con la prima illusione: quella del lavoro, quello stesso lavoro cui è dedicata la nota iscrizione che si trova, a norma di regolamento, all’ingresso di tutti il campo: il lavoro è motivo d’onore, gloria, coraggio ed eroismo. Il campo non poteva ispirare amore al lavoro, ispirava solo odio e ripugnanza verso di esso.”
“Perché l’amicizia sia amicizia occorre che siano già state gettate salde fondamenta quando le condizioni non sono ancora arrivate al limite estremo al di là del quale nell’uomo non c’è più nulla di umano, ma c’è solo diffidenza, rabbia e menzogna.”
“La capacità di rubare: ecco la più importante virtù del Nord, in tutte le sue forme, a cominciare dal pane del compagno”
“Sono passati trent’anni e ricordo con precisione la baracca semioscura, i visi soddisfatti e maligni dei miei compagni, il tronco umido sul pavimento, le guance pallide di Sejnin.”
“Uno dei sentimenti dominanti nel campo è quello di un’umiliazione illimitata; ma c’è anche un sentimento che consola: sempre, in qualsiasi circostanza, c’è chi sta peggio di te. E’ una gerarchia multiforme. La consolazione salva come una bandiera bianca e al tempo stesso concilia con l’inconciliabile.”
“La cosa essenziale è sopravvivere a Stalin. Tutti coloro che sopravvivranno a Stalin vivranno.”
Ricordo alcuni dei racconti, ad esempio quello in cui Varlam è orgoglioso di aver custodito un pezzo di 30 grammi di pane di un amico, superando la tentazione di mangiarglielo, tentazione fortissima per chi mangia meno del necessario e rischia di morire di una fame da un giorno all’altro.
Altri due racconti:
“Sulla Parola” e “Nella neve”
Nella neve è il primo racconto dei 145 della raccolta
Il brano “Sulla parola” racconta di una partita di carte tra Sevocka e Naumov , entrambi ex detenuti, malavitosi (delinquenti comuni, rilasciati o resi liberi ben prima dei detenuti politici). Il brano inizia con una descrizione dell’ambiente di gioco e delle carte. Infatti le carte utilizzate dai due erano frutto del lavoro dei carcerati, realizzate incollando insieme delle pagine dei libri che venivano trovati con dell’amido ricavato masticando dei tozzi di pane; non potevano (i carcerati) utilizzare matite perché avrebbe potuto farsi dei documenti o bolli falsi quindi per fare ì diversi semi si facevano un determinato numero di fori sulla carta con un coltello dato in dotazione. Durante la partita i due giocatori puntavano oggetti che possono sembrare di scarso (addirittura nullo) valore , come ad esempio un maglione , una coperta o addirittura un cuscino; tutti oggetti che in quelle condizioni disumane sembravano essere dei veri e propri tesori. La partita inizia nettamente a favore di Sevocka che riesce a vincere le puntate di Naumov, il quale , una volta finiti gli oggetti da puntare, punta la propria parola, una specie di “pagherò” . Questa mano però si rivela essere molto fortunata, e Naumov riesce a riprendere i suoi oggetti, che perderà nelle mani successive. Verso la fine, Naumov arriva a puntare anche gli indumenti di Varlam e del suo compagno taglialegna Garkunov. Quest’ultimo però si rifiuta di consegnare il suo maglione, a cui era molto affezionato e dal quale non voleva separarsene. Per la sua opposizione, Garkunov viene ucciso e Naumov ottiene quello che voleva.
“L’apostolo Paolo”
Per via di una slogatura al piede, Varlam Salamov è costretto ad interrompere il suo lavoro in miniera; per questo gli viene affidato il compito di fare da assistente al falegname Adam Frisorger. Quest’ultimo è un uomo molto riservato e religioso, tanto che il protagonista lo osserva in varie parti della giornata mentre prega. Un giorno, però, nel sentigli pronunciare il nome di Paolo fra i dodici apostoli, lo corregge, menzionandogli tutte le informazioni che possedeva sull’argomento. Dopo qualche tempo, Frisorger ammise di essersi sempre dimenticato Bartolomeo, e da allora i due diventarono grandi amici, tanto che Salamov riuscì a convincerlo a scrivere alla sua giovane figlia che non vedeva da anni. Purtroppo la lettera di risposta conteneva una brutale richiesta di considerare nulla la parentela fra lei e suo padre, poiché quest’ultimo, secondo lei, era un nemico del popolo. Il protagonista, venuto a conoscenza di questa lettera, si incaricò di non farla mai pervenire al destinatario, bruciandola: in questo modo non permise che il cuore del povero Frisorger, che già tanto soffriva, dovesse ricevere un colpo così forte.
Conclusione:
in un racconto Salamov spiega che le guardie avevano chiesto di consegnare le protesi per punire la squadra di lavoro della baracca per produzione insufficiente. Siccome Salamov non era in possesso di una protesi era stato condannato a stare in una pozzo con un solo pezzo di pane al giorno se non avesse dato l’anima. E scrive Salamov: Stavo per morire per qualcosa che non credevo neanche di avere, ma che nel momento in cui mi hanno chiesto ho capito essere la cosa più preziosa che avessi.