È successo un 1848
26 Ottobre 2022Il libro delle immagini di Rilke
27 Ottobre 2022Le Elegie Duinesi rappresentano il vertice della riflessione poetica ed esistenziale di Rilke, alternando la rappresentazione di momenti felici, come quella degli amanti, e la denuncia di problemi generali della coscienza umana.
Rilke concepisce il progetto delle Elegie
Nel 1910, Rilke fece visita alla sua amica, la principessa Marie von Thurn und Taxis (Hohenlohe) a Duino, nel suo castello al largo della costa adriatica. Vi tornò l’anno successivo…
Prima elegia
Chi se io gridassi mi udirebbe mai
dalle schiere degli angeli ed anche
se uno di loro al cuore
mi prendesse, io verrei meno per la sua più forte
presenza. […]
Ogni angelo è tremendo.
Nel secondo decennio del secolo
Prima di tornare al castello dove i suoi pensieri volavano liberamente, partecipò a un congresso psicologico a Monaco, con la sua carissima Lou Salomé.
È qui che Rilke conobbe Sigmund Freud.
A Duino le idee di Rilke scorrevano e il suo capolavoro stava nascendo. Il suo secondo viaggio a Duino, però, fu interrotto bruscamente. Soffiavano venti di guerra e, nel 1913, Rilke fu costretto a tornare in Germania per prestare servizio militare.
Al suo ritorno in Germania, molti dei suoi beni e averi a Parigi furono sequestrati.
“Chi non acconsente in qualche tempo, con determinazione determinata, alla terribilità della vita, e neppure in essa si esalta, non si impossessa mai della pienezza inesprimibile della potenza della nostra esistenza.”
Gli ultimi anni
Dopo aver lasciato l’esercito, Rilke decise di stabilirsi a Muzot, in Svizzera.
Qui finì le sue Duineser Elegien, Elegie duinesi, su cui aveva lavorato per dieci anni, sin dalle sue visite al castello.
Dal punto di vista formale, Rilke alterna quindi poesie che assomigliano più ad inni, alle vere e proprie elegie, dal tono più lamentoso, e in distici. Le immagini si susseguono con molta ricchezza e complessità.
Rilke scrisse la prima parte di queste dieci elegie nel 1912 durante il suo soggiorno a Duino, il castello della sua amica di lunga data, la principessa Maria von Thurn und Taxis, dodici chilometri a est di Trento. Sebbene abbia continuato a lavorare su questo ciclo nel 1913 e nel 1915, fu solo dieci anni dopo, nel 1922, che le canzoni furono completate durante il suo soggiorno artisticamente fecondo a Muzot, piccolo villaggio svizzero.
Un esempio: l’ottava elegia
L’ottava elegia, scritta anch’essa a Muzot nel febbraio 1922, è dedicata all’amico di Rilke, lo scrittore e filosofo austriaco Rudolf Kassner, con il quale aveva stretto una profonda amicizia dal 1907. IN questa elegia Rilke riprende il dibattito sulla coscienza umana iniziato nella quarta elegia e anche qui contrappone l’uomo agli animali. Per la prima volta viene utilizzato il termine “aperto” tipico degli ultimi giorni di Rilke, che significa un cambiamento di prospettiva sulla vita, caratterizzato dal soffermarsi sul momento, indugiare sull’adesso.
La differenza tra uomo e animale è in relazione al “grembo”, cioè all’origine dell’essere vivente; l’uomo è finalmente, e non per la prima volta, definito “la sfortunata creatura”.
Ottava Elegia, in Elegie Duinesi, 1912 | ||
Testo originale | Traduzione | Analisi |
Mit allen Augen sieht die Kreatur das Offene. Nur unsre Augen sind wie umgekehrt und ganz um sie gestellt als Fallen, rings um ihren freien Ausgang. Was draußen ist, wir wissens aus des Tiers Antlitz allein; denn schon das frühe Kind wenden wir um und zwingens, daß es rückwärts Gestaltung sehe, nicht das Offne, das im Tiergesicht so tief ist. Frei von Tod. Ihn sehen wir allein; das freie Tier hat seinen Untergang stets hinter sich und vor sich Gott, und wenn es geht, so gehts in Ewigkeit, so wie die Brunnen gehen.Wir haben nie, nicht einen einzigen Tag, den reinen Raum vor uns, in den die Blumen unendlich aufgehn. Immer ist es Welt und niemals Nirgends ohne Nicht: das Reine, Unüberwachte, das man atmet und unendlich weiß und nicht begehrt. Als Kind verliert sich eins im Stilln an dies und wird gerüttelt. Oder jener stirbt und ists. Denn nah am Tod sieht man den Tod nicht mehr und starrt hinaus, vielleicht mit großem Tierblick. Liebende, wäre nicht der andre, der die Sicht verstellt, sind nah daran und staunen … Wie aus Versehn ist ihnen aufgetan hinter dem andern … Aber über ihn kommt keiner fort, und wieder wird ihm Welt. Der Schöpfung immer zugewendet, sehn wir nur auf ihr die Spiegelung des Frein, von uns verdunkelt. Oder daß ein Tier, ein stummes, aufschaut, ruhig durch uns durch. Dieses heißt Schicksal: gegenüber sein und nichts als das und immer gegenüber.Wäre Bewußtheit unsrer Art in dem sicheren Tier, das uns entgegenzieht in anderer Richtung , riß es uns herum mit seinem Wandel. Doch sein Sein ist ihm unendlich, ungefaßt und ohne Blick auf seinen Zustand, rein, so wie sein Ausblick. Und wo wir Zukunft sehn, dort sieht es Alles und sich in Allem und geheilt für immer. Und doch ist in dem wachsam warmen Tier O Seligkeit der kleinen Kreatur,
Und wir: Zuschauer, immer, überall, Wer hat uns also umgedreht, daß wir, |
Con tutti gli occhi la creatura vede l’aperto. Gli occhi nostri soltanto son come rivoltati e tesi a lei intorno: trappole al suo libero cammino. Ciò che è fuori, puro, solo dal volto animale lo sappiamo; perché già tenero il bimbo lo volgiamo indietro, che veda ciò che ha forma, e non l’aperto che nel volto animale è sì profondo. Libero da morte. Questa solo noi la vediamo; il libero animale ha sempre dietro di sé il suo tramonto e a sé dinanzi Dio, e quando va, va nell’eterno; come vanno le fonti.Noi non abbiamo mai, neppure un giorno lo spazio puro innanzi, nel quale all’infinito si schiudono i fiori. È sempre mondo e mai non-luogo senza non: il puro, incustodito, che si respira, si sa infinitamente e non si brama. Da bimbo in questo si perde uno in segreto e viene scosso. O un altro lo è morendo. Poiché vicino a morte più non si vede morte, si guarda fisso fuori, forse con sguardo grande d’animale. Gli amanti, se non ci fosse l’altro che la vista preclude, sono prossimi a questo e hanno stupore … quasi per una svista, per loro dietro l’altro si schiude l’aperto … di là da lui però nessuno libero avanza ed è di nuovo mondo. Alla creazione sempre rivolti, solo specchiato vediamo in esso l’aperto, oscurato da noi. O che un animale, muto, alza lo sguardo, che quieto ci traversa. Questo è destino: esser di fronte e poi null’altro e di fronte sempre.Se consapevolezza al modo nostro fosse nel sicuro animale che ci viene incontro in altra direzione – via ci trarrebbe, avvinti dal suo andare. Ma infinito gli è l’essere suo, incolto e privo della vista sul suo stato, puro, come il suo guardar fuori. E dove noi vediamo l’avvenire, là vede il tutto e sß nel tutto, risanato per sempre.
Pure nell’animale caldo e vigile
O beatitudine della minuscola creatura E noi: sempre, ovunque spettatori, Chi ci ha dunque voltati che, (Rilke, Elegie Duinesi) |
Ci si sofferma qui sulla differenza tra l’uomo e le altre creature: il timore della morte è tipico dell’uomo e non degli altri animali, e questo timore non ci consente di godere pienamente della vita.
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