Seconda guerra d’indipendenza
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10 Gennaio 2023Simone Martini fu allievo di Duccio, ma realizzò capolavori che rappresentarono un passo ulteriore rispetto a Duccio, come la Maestà, questa volta però nella Sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena, dipinta tra il 1315 e il 1321
Breve biografia
Simone Martini, indicato talvolta anche come Simone Senese, è l’interprete più sensibile e raffinato della pittura senese del XIV secolo. Pittore e miniatore, è considerato indiscutibilmente uno dei maestri della scuola senese, l’unico in grado di contendere lo scettro di miglior artista del Trecento a Giotto. La sua formazione avvenne, forse, nella bottega di Duccio di Buoninsegna. Nacque probabilmente a Siena intorno al 1284. Egli è molto attivo oltre che a Siena anche ad Assisi (1312-1317) , dove partecipa alla decorazione della Chiesa Inferiore della Basilica di San Francesco. Nel 1317 si trova a Napoli, in seguito a Pisa (1319), e a Orvieto (1320). Nel 1336 papa Benedetto XII lo invita ad Avignone, in Francia, città importante per l’influsso che ebbe sul suo stile.
La cittadina provenzale era, a quel tempo, la sede del papato e, di conseguenza, un centro artistico e culturale di assoluta rilevanza europea. Egli ha modo, quindi, di frequentare molti dei pittori e degli artisti italiani e francesi che gravitavano intorno alla corte pontificia ed è in questo modo che conosce Francesco Petrarca. Con questo aveva in comune il sentire stilistico, le affinità elettive e la sensibilità artistica. Simone Martini, pittore estremamente raffinato, fu molto ammirato da Petrarca, come si apprende dal Vasari nelle “Vite”.
Maestà della Sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena, dipinta tra il 1315 e il 1321
Maestà eseguita ad affresco, con interventi successivi a tempera, mostra tutta la devozione mariana della città, che va addirittura a intrecciarsi con l’altro grande sentimento senese: l’orgoglio per i propri valori civili e l’indipendenza comunale.
Ne risulta un’opera religiosa dai contenuti anche fortemente civili, lo testimoniano due scritte inserite nel dipinto, uno è il cartiglio in vera pergamena tra le mani del Bambino che riporta questo versetto biblico: abbiate a cuore la giustizia, voi che giudicate la terra, quindi un invito al buon governo civile.
Poi, c’è la lunga iscrizione poetica in basso, con parole scritte come consigli pronunciati dalla Madonna e rivolti ai governanti della città e in cui la Vergine ricorda che lei ascolterà le preghiere dei potenti onesti, mentre agli ingiusti governanti “molesti ai deboli” volterà le spalle.
La realizzazione dell’opera ha due fasi, la prima nel 1315, e poi un secondo intervento dello stesso autore nel 1321, dopo aver finito di lavorare alla Cappella di San Martino Ad Assisi, quindi forse dopo aver “assorbito” ancora meglio le novità di Giotto, ma anche dopo aver lavorato nella Napoli angioina dagli influssi gotici francesi.
Quello che ne risulta è un’opera…
- …molto gotica francese: nel grande baldacchino, nel trono verticalissimo con guglie, finestrature e pinnacoli molto più leggero e non monumentale di quelli di Duccio (e meno ancora di quelli architettonici di Cimabue). Gotica è anche la grande preziosità materiale dell’opera, ricchissima di oro, inserti di vetri (il fermaglio della Vergine è in cristallo di rocca), pergamene, parti metalliche, inserite per dare all’opera una grande sensazione di matericità. Anche il gusto per i tessuti raffinati e luminosi di riflessi e disegni è gotico.
- invece è giottesca; l’espressività dei volti, l’aspetto materno e benevolo della Vergine;e poi anche il modellato corposo e volumetrico delle figure accentuato proprio da quei ritocchi a tempera aggiunti nel 1321 (dopo Assisi).
Infine, numerosi dettagli mostrano l’espressività del volto e la volumetria delle teste, ma anche la preziosità dell’oro zecchino a rilievo punzonato delle aureole.
Assisi, Cappella di S. Martino, Basilica inferiore di San Francesco
Ma cosa ha dipinto in S. Francesco ad Assisi tra il 1315 e il ‘17 Simone Martini?
La Cappella di S. Martino, nella Basilica inferiore, in cui illustra dieci episodi della vita di S. Martino, vescovo di Tours
Sicuramente dal punto di vista stilistico, lavorare ad in S. Francesco e confrontarsi con i lavori di Giotto, lo influenza: lo vediamo nelle ricche volumetrie giottesche delle figure e le ambientazioni paesaggistiche. Ma Simone Martini va oltre il consueto linguaggio giottesco, proponendo ambientazioni e atmosfere di gusto cortese, quasi fiabesche, in cui mescolare scene contemporanee a citazioni dall’antichità classica come vediamo nella scena della “Rinuncia alle armi” in cui appaiono le tende militari come quelle dei tornei cavallereschi dei romanzi cortesi di avventure, ma anche l’imperatore romano Giuliano l’ Apostata, descritto con grande attenzione ai dettagli tutti classici dell’abbigliamento e della sedia da campo romana.
Tratti fiabeschi e da romanzo cortese li vediamo anche nel modo in cui Simone Martini rappresenta lo stesso protagonista delle storie, San Martino non come un santo popolare, come fa Giotto con san Francesco, ma raffigurato come un raffinato santo cavaliere, del quale Simone sottolinea proprio gli aspetti cortesi della sua leggenda.
Altra particolarità è il notevole studio realistico dei costumi e delle pose; l’individuazione fisionomica nei volti (soprattutto in quelli naturalistici dei musici)che non ha pari in tutta la pittura dell’epoca, Giotto compreso.
Napoli, San Ludovico di Tolosa, Museo di Capodimonte
Oltre a Siena anche Napoli è la città italiana con maggiori contatti con la Francia. La dominazione angioina regna infatti a Napoli fino a tutto il ‘400 (gli angioini, sono i membri di due dinastie francesi imparentate con i Capetingi di Francia, che prendono il nome dalla contea di Angiò, provincia occidentale della Francia).
Ed è anche a Napoli che Simone Martini lavora, intorno al 1317, inframmezzando questa commessa ai cantieri di Palazzo Pubblico di Siena e della basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi. Il committente è lo stesso sovrano del regno di Napoli, Roberto d’Angiò (che a fine lavoro lo nominerà cavaliere), che gli chiede una pala d’altare che celebrasse la recente elevazione a Santo del fratello, S. Ludovico di Tolosa. La tavola ci mostra appunto il Santo Ludovico mentre incorona il fratello re di Napoli, di dimensioni ridotte e in ginocchio come tipico raffigurare i committenti resi accanto alle figure sante ma in una posa che ne esalta comunque la figura: Capiamo infatti che l’intento del re di celebrare il fratello ha in realtà anche la doppia motivazione di confermare la legittimità della sua corona, posta sulla sua testa da un santo (quindi indirettamente da Dio).
Quello che notiamo inoltre è che, nonostante il santo sia stato in vita un francescano quindi un monaco che aveva fatto della povertà il suo tratto distintivo, Roberto lo vuole raffigurare come un vescovo potente, addobbato con vesti e gioielli raffinati, da sovrano anch’esso.
Stilisticamente notiamo
1) i chiari contatti con le novità di Giotto:
- La spazialità, ad esempio evidente nel trono, messo in prospettiva, ma anche nello scorcio della corona o della stola sulle spalle di Roberto d’Angiò
- I dettagli fisiognomici dei volti (possiamo distinguere le identità fisiche dei due personaggi)
ma notiamo anche:
2) Evidenti elementi stilistici gotici francesi, come:
- La preziosità da oreficeria con cui Martini sottolinea il lusso delle vesti e degli accessori: oro in pasta, in lamina, a rilievo, ma anche incastonatura di pietre preziose (oggi perdute) e smalti colorati.
La Napoli angioina quindi, come Siena, è fortemente legata al gusto gotico francese, al punto da accogliere tanti artisti italiani che sono strettamente legata alla Francia:
Petrarca andrà a Napoli, così anche Boccaccio e i pittori Giotto, Pietro Cavallini, Matteo Giovannetti, Simone Martini poi dal 1336 si trasferirà definitivamente ad Avignone. Napoli è la città dove si anticipa l’ultima stagione del gotico che chiamiamo TARDO GOTICO O GOTICO INTERNAZIONALE, che si affermerà dal 1370 circa, fino alla metà del ‘400.
Firenze, Uffizi, Annunciazione tra i Santi Ansano e Massima (con Filippo Memmi)
L’ultima opera del periodo senese di Simone Martini è la raffinatissima ed enigmatica Annunciazione tra i Santi Ansano e Massima, eseguita insieme al cognato Lippo Memmi nel 1333, per uno dei quattro altari della crociera del Duomo di Siena. La tavola, firmata e datata dai due autori, è oggi visibile agli Uffizi di Firenze.
È questa una delle opere più vicine al gotico francese e alle sue raffinatezze , che l’Italia abbia conosciuto.
Contesto Storico-Artistico dell’Annunciazione
L’opera dell’Annunciazione non ha modelli coevi in Italia, ma va semmai confrontata con i manoscritti miniati per la corte francese o con le pitture più fantasiose, prodotte in Germania o in Inghilterra. Questa “maniera” nordeuropea spianò la strada per l’arruolamento di Simone nell’entourage dei pittori italiani alla corte papale di Avignone, dove erano presenti altri italiani, ma nessun fiorentino, in quanto la classica monumentalità di scuola giottesca non trovava consensi nella gotica società francese. E infatti pochi anni dopo, tra il 1335 e il 1336, Simone, appunto, lasciò la natia Siena alla volta della corte papale di Avignone.
Personaggi-funzione-messaggio
La pittura rappresenta l’Arcangelo Gabriele che, inginocchiatosi ai piedi della Beata Vergine, le porge delicatamente una fronda d’ulivo, annunciandole la volontà divina. Il tema iconografico dell’Annunciazione, che presenta, appunto, l’apparizione dell’arcangelo Gabriele alla Vergine, fu molto diffuso nell’arte del Trecento e si arricchì di un ampio repertorio nutrito di particolari emblematici.
In quest’opera di Simone Martini sono presenti molti personaggi. Nella scena centrale rappresentante l’annunciazione, sono presenti Maria, l’angelo e la colomba circondata dai cherubini. Al di fuori della scena centrale sono, però, presenti molti altri personaggi; a cominciare dai due santi Ansano e Massima, che occupano le parti laterali, e i tondi contenenti i quattro profeti, e al centro, il tondo andato perduto, raffigurante probabilmente il Padreterno.
L’angelo e la beata vergine
L’Arcangelo è inginocchiato, e tiene nella mano destra un ramoscello d’ulivo. La testa è tesa in avanti quasi per aiutare le parole del suo saluto “Ave gratia plena dominus tecum” a giungere all’orecchio di Maria. Il manto ancora gonfio d’aria è indice del fatto che l’Angelo è appena giunto presso Maria e che quindi ci troviamo all’inizio dell’annuncio, quando l’Angelo, appunto, sta salutando Maria ed ella è presa di sorpresa da lui.
La purezza della Vergine è il presupposto, ed è necessaria affinché Maria possa ascoltare le parole dell’angelo e accettare la volontà del Padre. È grazie alla Madonna, che accoglie l’annuncio dell’angelo, che Dio può farsi uomo e portare la sua pace sulla Terra, come ci è reso esplicito dall’ulivo portato dall’angelo alla Madonna, simbolo della pace portata dal Salvatore. Maria ha, così, un ruolo fondamentale poiché accetta l’arrivo di Cristo non solo per sé ma anche per tutti gli uomini. È per questo motivo che Simone Martini la rappresenta seduta su un trono, come una regina, circondata da ricchezze.
Maria si trova in un ambiente chiuso, lo si intuisce dall’architettura, che racchiude tutta la scena e dall’arredamento (vaso di gigli, trono). Tuttavia non si tratta della vera casa di Maria, infatti, non è possibile che una ragazza di sedici anni in Galilea avesse in casa un trono decorato. La scelta di Simone Martini è probabilmente quella di rendere divino il luogo in cui avvenne l’annuncio a Maria, di renderlo sacro.
Sant’Ansano è rappresentato con una penna d’oca nella mano sinistra e un’asta con una bandiera nella mano destra. Santa Massima ha anch’essa una penna d’oca nella mano sinistra e una croce nella destra. Gli evangelisti sono rappresentati ognuno con una carta arrotolata, l’immagine del padreterno è, invece, mancante.
Le ali dell’angelo si possono ricondurre alle ali del pavone che rappresenta l’immortalità; L’olivo, che è in mano all’Angelo, rappresenta la pace che viene portata con quell’annuncio.
Sullo sfondo campeggia un vaso con gigli, in alto, in volo, circondata da una corona di cherubini, la colomba dello Spirito Santo, simbolo della grazia divina, dispensata sulla terra proprio dall’amore della Vergine.
Le ali dell’angelo, dipinte con perizia da miniaturista, la quadrettatura del mantello, il motivo della veste, il messale con il bordo decorato, il magnifico vaso che contiene i gigli, la colomba, circondata dai cherubini ad intensificare la sacralità del momento, le fisionomie eleganti dei personaggi e l’accuratezza dei particolari, tutto è raffinata bellezza in questo dipinto, e nell’interpretazione lirica del gotico senese, offerta da Simone Martini, l’evento miracoloso diviene una rappresentazione dalla perfezione quasi astratta.
Aspetto costruttivo-strutturale
Domina il colore oro ad indicare la dimensione ultraterrena.
Gli abiti dell’Angelo sono trapuntati d’oro, riescono a stagliarsi perfettamente dall’oro uniforme del fondo, sul quale è stato dipinto, sovrapponendo oro a oro in un tripudio di luce e di ricchezza senza precedenti.
Sant’Ansano indossa un drappo rosso orlato d’oro e Santa Massima, indossa un manto blu che le copre anche la testa e una veste rossa.
L’atmosfera d’oro che invade tutto sembra comprimere la figura della Madonna che si chiude dentro il suo manto azzurro, precisamente di lapislazzuli blu, impreziosito a sua volta da una bordura dorata.
Elementi figurativi
Linea – Ritmo
L’immagine si svolge tutta in un raffinato gioco di linee sinuose in superficie, (nonostante il suggerimento spaziale affidato al trono disposto obliquamente).
La linea di Simone Martini, sottile e precisa, segue le evoluzioni dei panneggi, fluisce armoniosamente da una figura all’altra, descrive incessantemente, in un percorso continuo, ogni forma, ogni piega e ogni dettaglio, alleggerisce e smaterializza le forme.
Simone Martini imprime un’impostazione ritmica al dipinto, basato su linee di contorno sinuose, con la squisita eleganza esecutiva che gli era propria. Infatti, i corpi dell’Angelo e della Vergine hanno forme delineate esclusivamente dal dolce ricorrere della linea curva.
Ed è proprio grazie a questa impostazione ritmica del dipinto, che riesce a rappresentare il movimento dell’azione.
Volume – Spazio
L’atmosfera è rarefatta in uno spazio accennato, ma con una sua profondità, che evoca l’interno di una stanza.
Lo spazio è come compresso nella terza dimensione, uno spazio alluso, che è un nuovo elemento del linguaggio di quest’artista, che svilupperà in maniera ancora più marcata nelle opere successive
Nell’opera gli elementi sono collocati secondo una precisione nello spazio. Tuttavia il pavimento e lo sfondo appaiono quasi verticali. Lo spazio è reso dal trono disposto obliquamente.
Elementi nuovi rispetto alla tradizione gotica senese e di derivazione giottesca sono le costruzioni tridimensionali e la ricerca di spazialità, che si possono notare soprattutto nel trono.
Colore – Luce – Contrasto
Nel 2001 si è conclusa una lunga opera di restauro durata oltre nove mesi, che, tra il resto, ha ripristinato l’originario splendore del fondo oro. Questo, infatti, nel corso dei secoli si era appannato, a causa di alcuni precedenti interventi poco avveduti e, soprattutto, per la patina untuosa depositata dal fumo delle candele.
Domina il colore oro ad indicare la dimensione ultraterrena.
Gli abiti dell’Angelo sono trapuntati d’oro, riescono a stagliarsi perfettamente dall’oro uniforme del fondo, sul quale è stato dipinto, sovrapponendo oro a oro in un tripudio di luce e di ricchezza senza precedenti.
Sant’Ansano indossa un drappo rosso orlato d’oro e Santa Massima, indossa un manto blu che le copre anche la testa e una veste rossa.
L’atmosfera d’oro che invade tutto sembra comprimere la figura della Madonna che si chiude dentro il suo manto azzurro, precisamente di lapislazzuli blu, impreziosito a sua volta da una bordura dorata.
I colori usati, oltre all’oro sono i colori primari: blu, giallo e rosso. Analizzandoli in modo simbolico il blu del mantello rappresenta la Chiesa, il giallo la spiritualità, e il rosso, del vestito della Madonna, la Passione di Cristo. Tutto è perfettamente coerente con il tema trattato da Simone Martini e con il messaggio trasmesso.
I colori sono delicati e astratti, fantastici, pieni di trasparenze e riflessi, contribuiscono con la linea a rendere le forme impalpabili, eteree.
Simone Martini ha realizzato effetti molto particolari, è piuttosto difficile fotografare i suoi colori. La tonalità scura del blu fa aumentare i contrasti, i colori si accendono, brillano gli ori delle aureole e dei ricami.
Anche per quanto riguarda il colore e la luce Simone Martini si rifà all’Arte Bizantina e Orientale. Il fondo oro e la ricchezza ricordano, infatti, i mosaici bizantini.
Arte come messaggio: tecniche e configurazione
L’architettura di questa opera tripartisce le scene raffigurate per mezzo di due colonnine in rilievo.
La parte centrale, più ampia delle altre due laterali, coperta da tre cuspidi di cui quella centrale più grande, ospita la scena dell’annuncio a Maria da parte dell’Angelo Gabriele.
La Vergine, si trova a destra, sotto la quarta cuspide da sinistra; mentre l’Arcangelo si trova sotto la seconda cuspide a sinistra.
Le due scene laterali, che sono distinte dalla scena centrale, non solo grazie alle colonnine, ma anche per un differente piano di appoggio dei personaggi sono coperte da una sola cuspide e ospitano a sinistra Sant’Ansano e a destra Santa Massima.
La nostra attenzione ricade subito sull’Angelo e sulla Vergine, poiché i loro corpi sono volutamente privi di qualsiasi consistenza materiale.
Analisi strutturale – Linee-forza – Equilibrio
La Vergine, durante l’Annunciazione, si ritrae chiudendosi il manto.
L’angelo ha un movimento slanciato.
Vi è, inoltre, un asse verticale al centro, che collega il tondo raffigurante il Padreterno, la colomba e il vaso con i gigli.
Tutti questi elementi formano delle diagonali che convergono nel punto di fuga (il vaso di gigli) partendo dalla testa di Maria e dell’Angelo.
La raffinata cornice originale dell’opera, probabilmente opera del Memmi, è andata perduta alla fine del Settecento, quando le tre tavole che componevano il polittico sono state smembrate e rifilate. La cornice attuale, con cinque archi a sesto acuto, riccamente intagliati e sormontati da guglie e da altri motivi ornamentali, è un rifacimento arbitrario del 1894. Concludono la complessa architettura cinque medaglioni circolari, (di cui quello centrale perduto),con i Profeti Geremia, Ezechiele, Isaia e Daniele.
Tempera e oro su tavola – Texture
L’opera si trova su una pala d’altare dipinta a tempera, suddivisa in più scomparti.
La tempera è una tecnica pittorica che si contraddistingue per impiegare come legante dei colori sostanze quali l’uovo o la colla animale. Essa è pressoché utilizzata esclusivamente nel Medioevo e fino a tutto il Trecento, ma in Italia centrale sopravvive anche nel XV secolo. E’ di norma realizzata su supporto ligneo, che in Italia è quello più largamente adottato fino a tutto il Quattrocento.
La pittura con colori a tempera è spesso associata, fino a tutto il XIV secolo, a stesure a fondo oro, come in questa opera.
Un dipinto su tavola, se visto in sezione, si compone schematicamente di un supporto, di una preparazione, della stesura pittorica vera e propria e di uno strato di vernice.
Tali strati corrispondono in realtà ad altrettante fasi di realizzazione dell’opera.
La prima di queste è la realizzazione della tavola, e quindi la sagomatura, il consolidamento ed il trattamento del supporto ligneo.
Seguono le fasi di preparazione dello strato pittorico, ossia la copertura del legno con una tela su cui viene poi applicata un'”imprimitura” di gesso su cui tratteggiare il disegno e stendere i colori. Questi vengono realizzati con minuziosi trattamenti dei pigmenti (terre, minerali e materiali di altra origine), resi fluidi ed aderenti a mezzo di opportuni leganti (“tempere”) e infine stesi con vari tipi di pennelli.
Parallelamente, ove necessario, si procede all’applicazione della foglia d’oro nei fondi e nei piccoli dettagli, che talvolta vengono decorati ad incisione o a mezzo di punzoni.
Il dipinto a tempera così terminato viene, infine, di norma, trattato con varie vernici che hanno la funzione di lucidarlo e proteggerlo.
Dopo Giotto, nel Trecento, si iniziò a preferire fondi architettonici e paesistici, riducendo gradualmente, in alcune scuole pittoriche, la percentuale di tavola decorata a oro: in questo senso fu molto all’avanguardia la scuola senese.
Con l’avvento del Rinascimento e la piena riscoperta del valore degli sfondi realistici, la tecnica del fondo oro cominciò a cadere in disuso per le opere su tavola, ispirandosi anche agli affreschi, dove per ragioni tecniche non era possibile stendere l’oro.
La tecnica del fondo oro restò in uso comunque ancora a lungo, soprattutto in zone più periferiche e di provincia, almeno per tutto il Cinquecento. Artisti anche di prim’ordine continuarono ad utilizzare il fondo oro su richiesta dei committenti.
Nelle zone di influenza ortodossa la tecnica non ha mai subito cali di popolarità, venendo tutt’ora usata nella realizzazione delle icone, infatti Simone Martini si rifarà, anche sotto questo aspetto, all’arte Orientale.
Espressione
L’atmosfera di questa Annunciazione è, nel suo insieme, una delle più complesse e spirituali; fondamentale per la comprensione del messaggio di quest’opera è l’espressione dei singoli personaggi.
La posizione di ogni singolo elemento non è per nulla scontata e, anzi permette di capire il rapporto tra le parti.
Simone Martini, infatti, in questa Annunciazione, ha creato una composizione essenziale ed efficace; pone la scena in un’atmosfera rarefatta e in uno spazio appena accennato.
L’istante rappresentato è proprio quello del turbamento (conturbatio) di Maria, che si ritrae spaventata dall’improvvisa visione dell’angelo e che appare timida e schiva, nell’atto di ritrarsi con un gesto scontroso delle spalle e del braccio destro, con il quale sembra di voler coprire il volto
La Vergine si ritrae chiudendosi il manto, in una posa che è in bilico tra paurosa castità e altera ritrosia.
Al di là della bellezza dell’introspezione psicologica dei due personaggi, la tavola è impreziosita da particolari di rara bellezza, come il vaso dorato e i gigli che invadono il centro della scena, i ramoscelli di olivo tenuti in mano dall’angelo e sulla sua testa, la fantasia a quadri scozzesi del manto svolazzante dell’angelo, le penne di pavone sulle sue ali, il rovello gotico del manto dell’angelo e del bordo dorato di quello della Vergine.
L’angelo ha un movimento slanciato, con il mantello ancora svolazzante, appena giunto al suo cospetto, è concentrato sul messaggio che sta consegnando alla Vergine.
L’Angelo e la Vergine, poi, nonostante la loro marcata bidimensionalità, paiono inseriti in uno spazio reale.
Le venature marmoree del pavimento, le raffinate tarsie cosmatesche del trono, il libro semichiuso che Maria appoggia sul bracciolo, il rigoroso verismo dei gigli e del ramo d’ulivo, dal quale si può veder pendere anche delle olive, costituiscono altrettanti riferimenti alla realtà quotidiana.
Ed è proprio partendo da questo che Simone Martini tramite la dolcezza del disegno, l’armonia dei colori, la preziosità dei materiali e la grazia della composizione, riesce a costruire una realtà nuova e diversa.
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