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Peppino Impastato
Nella primavera del 1978 il boss Gaetano Badalamenti sente il cerchio stringersi, si è rintanato in campagna, protetto da un nutrito gruppo di guardaspalle. Il suo potere traballa anche a Cinisi. Dai microfoni di Radio Aut, un trentenne di raro coraggio l’ha sfottuto per mesi con l’appellativo di «Tano seduto». Si chiama Peppino Impastato, appartiene a un’antica famiglia mafiosa, molto contigua ai Badalamenti. È andato via di casa a 15 anni, ha un rapporto tempestoso con il padre, Luigi, al quale rimprovera l’assidua militanza in Cosa Nostra. Luigi Impastato vive uno dei tanti drammi che hanno spesso segnato la mafia, che hanno trasformato in un inferno l’esistenza dei suoi affiliati. Impastato padre ritiene che l’essere un « uomo di rispetto » costituisca una medaglia da appuntarsi sul petto, non riesce a immaginare un mondo migliore del suo. Di conseguenza non si dà ragione del disprezzo di Peppino, a volte lo maledice, vorrebbe non averlo mai procreato. Tuttavia, quando capisce che l’aria per il suo ragazzo è divenuta infida, vola dai parenti negli Stati Uniti a perorarne l’incolumità. Cerca raccomandazioni importanti che possano far desistere i suoi amici e gli «amici degli amici» dalla decisione di ammazzare quel pazzo scriteriato che comunque resta suo figlio, il bimbo che cullò tra le braccia. A una cugina della moglie, con cui è in rotta a causa di Peppino, dice: «Non gli faranno nulla. Prima devono passare sul mio corpo». Ritorna dagli Stati Uniti sfiduciato. Muore in uno strano incidente stradale. In casa scongiurano Peppino di smettere, di non scherzare con il fuoco. Ma Peppino vuol far combaciare l’impegno in Democrazia Proletaria con l’impegno di cittadino, insegue un riscatto che compensi la complicità dei parenti. In un’intervista all’Ora spiega gli imbrogli, le compromissioni, i favori che hanno punteggiato la costruzione dell’autostrada Palermo – Punta Raisi: Badalamenti e gli amici hanno fatto soldi a palate imponendo che il percorso si snodasse lungo i terreni che avevano provveduto ad acquistare per due lire.
La mattina del 9 maggio 1978 (lo stesso giorno in cui il cadavere di Aldo Moro, ucciso dalle BR, è fatto ritrovare in Via Caetani a Roma), sui binari della ferrovia Palermo-Trapani viene rinvenuto il corpo dilaniato di Peppino Impastato. All’inizio, facendo leva sul suo credo ideologico e sul fatto che i mass-media in quei giorni sono impegnati su altro, provano a farlo passare per vittima di un attentato terroristico di cui egli stesso sarebbe stato l’autore. I carabinieri di Cinisi si sforzano di non sapere, di non capire, di non vedere. E dire che il tenente colonnello Russo, indicato a torto o a ragione come il massimo protettore di Badalamenti, è morto da mesi. La verità viene fuori con forza irresistibile. Peppino viene eletto, da morto, al consiglio comunale di Cinisi. La sua uccisione, la sua elezione sono altrettanti schiaffi a Badalamenti. Quale carisma può vantare chi pubblicamente è preso in giro dal figlio di un subalterno? Come fa a pretendere di comandare chi in casa propria non riesce a evitare l’elezione di un avversario morto? Non è una bella estate per Badalamenti, costretto a vivere da braccato ogni ora del giorno e della notte. Diventa un peso anche per la sua «famiglia», che a fine settembre lo abbandona. Don Tano si dà alla macchia.
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