Guglielmo d’Occam
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26 Febbraio 2024Il Trecento in filosofia, più che la dissoluzione delle correnti filosofiche precedenti, è il trampolino di lancio della filosofia moderna, attraverso figure sempre più rivalutate, come Guglielmo di Ockham.
In passato gli storici tendevano a presentare il Trecento come secolo di decadenza o dissoluzione della filosofia scolastica. Un simile giudizio si fondava sulla convinzione che il secolo precedente, il XIII, fosse l’età d’oro della scolastica: i massimi vertici speculativi nelle grandi sintesi dottrinali di autori come Tommaso e Bonaventura. Il XIV secolo, invece, avrebbe visto autori (come Guglielmo di Ockham) non solo incapaci di eguagliare tali risultati, ma responsabili dell’erosione del patrimonio filosofico e teologico dei predecessori, con esiti scettici e distruttivi. La ricerca più recente ha invece chiaramente rivelato come il XIV secolo abbia un profilo speculativo elevato e del tutto peculiare non solo per aver sottoposto a revisione le tradizionali dottrine metafisiche sono state infatti sottoposte a revisione, ma anche perché questa operazione è stata accompagnata da importanti sviluppi nei settori della logica, della fisica e della riflessione politica.
Nato nel 1280 circa nel villaggio di Ockham nel Surrey, a sudovest di Londra, Guglielmo entra ragazzino nell’ordine francescano. Dopo gli otto anni di preparazione filosofica (logica e filosofia naturale) presso il convento di Londra (o forse in parte anche a Oxford), prosegue con gli studi di teologia a Oxford negli anni 1317-1321; qui, tra 1321 e 1324, diventa baccelliere sentenziario (incaricato cioè di commentare le Sentenze di Pietro Lombardo). Dalle prime esperienze di insegnamento nascono un Commento alle Sentenze (la parte sul primo libro è detta anche Ordinatio, perché rivista dall’autore stesso per la pubblicazione), un’esposizione dell’ars vetus (vale a dire un commento all’Isagoge di Porfirio, e ai trattati aristotelici Categorie, Sull’interpretazione e Elenchi sofistici), la Somma di logica e il Commento alla Fisica di Aristotele. Nel 1324 Guglielmo è costretto a lasciare l’Inghilterra e a trasferirsi in Francia, presso la sede papale di Avignone, per rispondere all’accusa di eresia che gli era stata mossa da uno zelante e polemico difensore dell’ortodossia, John Lutterell. In una documentazione inviata a papa Giovanni XXII, Lutterell aveva messo insieme molti estratti dal commento di Ockham alle Sentenze, che riteneva eterodossi e dottrinalmente pericolosi. Una commissione papale, dopo aver studiato questi documenti per alcuni anni, vi trova non solo molte tesi erronee ma anche alcune tesi eretiche. Nello stesso periodo il papa aveva fatto inquisire ad Avignone anche altri teologi francescani per le loro tesi radicalmente evangeliche sulla povertà (sostenevano che la vita di povertà ed elemosina dei francescani fosse l’imitazione dello stile di vita di Gesù e degli apostoli). Uno di loro, Michele da Cesena, ministro generale dell’ordine francescano, chiede a Guglielmo di esaminare il contenuto delle accuse del papa da un punto di vista teologico, ne conclusero che che il pontefice sia su posizioni estranee alla coerenza evangelica e in alcuni casi addirittura in eresia. Non considerando il papa più degno di tale carica veniva meno il vincolo dell’obbedienza: la notte del 26 maggio 1328 Guglielmo decide di fuggire da Avignone, insieme a Michele da Cesena e altri due confratelli. Il gruppo cerca rifugio a Pisa, dove in quel momento si trovava con la sua corte l’imperatore Ludovico il Bavaro, allora impegnato nella polemica con il papa sui rapporti tra potere civile (imperiale) e potere ecclesiastico (pontificio). Il 6 giugno 1328 Guglielmo di Ockham viene scomunicato (non per le sue idee, ma per aver lasciato Avignone senza permesso). Inizia così una nuova fase della produzione di Ockham che, divenuto sostenitore militante della povertà francescana e critico verso le teorie sulla “pienezza di potere” del papa, da qui in avanti si dedicò esclusivamente a opere teologico-politiche (Otto questioni sul potere del papa, Lettera ai frati minori, Opera dei novanta giorni, Dialogo). Guglielmo segue l’imperatore in Germania, a Monaco di Baviera, dove muore nel 1347.
Ontologia
Fin dai primi scritti del periodo di Oxford, Guglielmo mette chiaramente a fuoco le proprie tesi fondamentali e ne fa la base di una revisione filosofica radicale, che investe ontologia, teoria della conoscenza e teoria del linguaggio.
La tesi fondamentale di Ockham è che la realtà è costituita da enti singolari e non si devono scambiare le astrazioni linguistiche per enti reali. I concetti universali, infatti, derivano da un atto del pensiero (dunque hanno natura mentale e linguistica); per essere più precisi, Ockham riconosce l’esistenza reale solo per la materia, le sostanze individuali e le qualità individuali, riducendo così drasticamente le entità ammesse come reali (minimalismo ontologico). La riduzione delle entità ammesse come reali è un’applicazione di un
principio di economia, conosciuto in seguito con l’espressione “rasoio di Ockham”, che spesso ricorre come
slogan e principio di metodo negli scritti del francescano: «Non utilizzare troppe cose quando ne bastano meno» (frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora). La “parsimonia” ontologica di Ockham è collegata alle posizioni dei nominalisti del XII secolo, che consideravano gli universali come meri fatti linguistici ai quali non corrisponde alcuna natura comune realmente sussistente. Per questo la storiografia tradizionale parla di Ockham come nominalista ontologico, gnoseologico e logico. Gli studiosi più recenti, però, preferiscono definirlo “concettualista”.
UNIVERSALI
Nella realtà esistono solo enti singolari pertanto gli universali non sono enti reali; in questo modo Occam elimina l’universale ontologico. Resta però l’universale nel pensiero e nel linguaggio, quello che utilizziamo quando ricorriamo ai termini che si predicano di più cose, per esempio le parole che indicano generi e specie, cioè termini comuni, in grado di significare più individui e rappresentarli in una proposizione (come quando usiamo il termine “uomo” in una proposizione per intendere tutti i singoli uomini). Qual è la natura di questo universale linguistico e mentale? Come si forma?
Ockham riprende e sviluppa in modo personale la teoria aristotelica dei tre livelli del linguaggio: il
linguaggio scritto è segno del linguaggio parlato e quest’ultimo è segno del linguaggio pensato. È importante rilevare che il linguaggio pensato non è a sua volta segno di un livello linguistico superiore, bensì in relazione con le realtà extramentali. Ora, gli universali sono quei termini che appartengono in primo luogo al linguaggio mentale e solo in via subordinata al parlare e allo scrivere. Il linguaggio parlato e scritto è convenzionale e varia da popolo a popolo (cane ≠ dog); il
linguaggio mentale, invece, è naturale e unico per tutta l’umanità. Il linguaggio mentale è più semplice e preciso del linguaggio parlato o scritto e contiene meno ambiguità, contiene infatti solo termini “categorematici”, corrispondenti cioè a nomi e verbi che corrispondono alle categorie aristoteliche; non prevede invece i termini “sincategorematici” (come congiunzioni o preposizioni), che non hanno significato descrittivo; e non contiene sinonimi. Probabilmente Ockham considera universali in senso stretto quei concetti che corrispondono a generi naturali, come “uomo” e “animale”.
Che natura hanno, dunque, i concetti che propriamente appartengono al linguaggio mentale? Abbiamo già visto che sono universali, non convenzionali e naturali. A questo punto Ockham formula una propria teoria dell’universale come atto di pensiero “confuso”, che rimanda a una molteplicità di singole cose. L’universale nasce così: nello stesso atto di pensiero con cui conosciamo intuitivamente una realtà singolare si determinano in noi due nozioni, quella della cosa colta nella sua singolarità (Pluto) e quella della specie cui appartiene (cane). Quest’ultima è un pensiero universale, cioè una nozione che può essere pensata e predicata di molti. I concetti universali sono, dunque, atti di pensiero che sussistono nella mente, o meglio, sono “qualità della mente”. Non servono a cogliere l’essenza delle cose, ma sono “segni” che servono a collegare una molteplicità di cose simili fra loro. Dunque per Ockham sono propriamente universali i termini del linguaggio mentale, che sono segni naturalmente in grado di rappresentare gli individui della stessa specie o dello stesso genere. I termini del linguaggio parlato o scritto sono invece derivati e la loro universalità è conseguenza della loro universalità mentale.
Teoria della conoscenza
Anche nella sua teoria della conoscenza Guglielmo adotta il principio del “rasoio” e rigetta tutti i passaggi non strettamente indispensabili. Per molti rappresentanti dell’aristotelismo scolastico, compreso Tommaso d’Aquino, l’atto conoscitivo si realizzava mediante le specie sensibili (ossia le forme particolari dei singoli enti, prodotte dalla rielaborazione dell’esperienza sensibile) e le specie intelligibili (ossia le forme degli enti medesimi spogliate da ogni carattere di particolarità e riposte nell’intelletto). Per Ockham queste strutture intermedie non sono necessarie perché la conoscenza funzioni
Guglielmo infatti obietta che, se con “specie intelligibile” si intende già il concetto universale, non c’è ragione di introdurre questa ulteriore formula; se invece si intende qualcosa di intermedio, non ancora pienamente universale, è un doppione del particolare. Per spiegare la conoscenza basta partire dalla nostra capacita di intuire direttamente e con evidenza questo ente particolare realmente esistente e riconoscere alla mente la capacita di universalizzare. Il nostro processo della conoscenza inizia infatti con l’esperienza di realtà individuali e contingenti (siano esse oggetti dei sensi o dell’intelletto, esterni o mentali). L’atto mentale con cui cogliamo con evidenza la presenza di un fatto singolare e delle sue caratteristiche si chiama “cognizione
intuitiva”, è una conoscenza certa perché basata sull’evidenza di ciò che mi è presente. Se però penso a qualcosa che non è presente (come un oggetto che ho visto mezz’ora fa), ho una “cognizione astrattiva” del singolare, che prescinde dalla sua presenza ed esistenza. Intuizione e astrazione non differiscono per l’oggetto, ma per il “momento” della cognizione (intuitiva se l’oggetto è presente, astrattiva se l’oggetto è assente). È chiaro che la cognizione astrattiva è una conoscenza indiretta e di secondo livello, che può darsi solo se si è già avuta una cognizione intuitiva diretta di un oggetto. Entrambe comunque continuano a rivolgersi a oggetti individuali. Oltre alla conoscenza astrattiva del singolare, si può avere anche una cognizione astrattiva dell’universale. Questa si ha quando si prescinde dalla particolarità di un oggetto singolare e si considera, in un singolo atto di pensiero, una nozione che vale per una molteplicità di oggetti (vedo Pluto e dico è un cane!).
Come funziona il discorso scientifico
Per quanto l’ontologia di Ockham sostenga il primato del singolare, è ancora convinto, con Aristotele, che si ha scienza solo dell’universale. Per risolvere questa impasse, imprime al discorso scientifico una svolta linguistica. La scienza fisica non ha per oggetto gli enti singolari corruttibili e mutevoli, ma i termini universali, è una “scienza di termini”. Scrive Ockham: «Questo è quello che dice Aristotele: la scienza non verte su cose singolari, ma sugli universali che stanno per le cose singolari. Tuttavia solo in forma metaforica e impropria si dice che la scienza della natura verte sulle cose corruttibili e mutevoli, dato che in realtà verte sui termini che stanno per quelle cose» (Commento alla Fisica di Aristotele, Prologo). In seguito a questa svolta linguistica la fisica diventa essenzialmente un’analisi del linguaggio della fisica; tuttavia, a differenza della logica, essa non è una scienza astrattamente razionale, una pura scienza di termini e concetti, ma una scienza reale, in quanto i suoi termini stanno per gli enti reali e le loro proprietà comuni. Per Ockham la scienza della natura è un sistema di termini e predicazioni. Facciamo un esempio. Ad esempio la scienza si occupa della natura, ossia di ciò che è corruttibile e mutevole, ciò che è corruttibile e mutevole non può essere indagato “universalmente”, ma si possono indagare i rapporti che sussistono tra il termine comune a tutte le singole cose corruttibili e mutevoli, ossia “corpo corruttibile”, e i suoi attributi. Scoprirò allora che questo termine comune “corpo corruttibile (che è il segno linguistico che sta per tutti gli enti mutevoli e corruttibili) ha dei predicati necessari, che vanno esplicitati nelle proposizioni. Lo studio di questi rapporti ci permette di indagare, attraverso segni che hanno valore universale, delle proprietà dei corpi singolari e mutevoli, i quali sarebbero, in quanto singolari e mutevoli, inaccessibili alla ricerca scientifica.
Il nesso causale e i limiti delle scienze naturali
Ockham trasforma anche il modo di interpretare i nessi causali che sussistono nella realtà. Egli svincola definitivamente la nozione di causalità da qualsiasi struttura metafisica profonda; il nesso causale consiste esclusivamente nella nostra cognizione intuitiva di due fatti singolari collegabili. Quando cogliamo una successione regolare di eventi particolari chiamiamo causa l’antecedente ed effetto il conseguente; in altre parole, causa efficiente è ciò posto il quale ne segue un effetto e tolto il quale l’effetto non ne segue («causa è ciò la cui esistenza o presenza è seguita da qualcosa»). Per esempio, è comprovabile che il fuoco causa calore, perché quando accostiamo il fuoco a un oggetto riscaldabile (ed è assente ogni altra causa di riscaldamento), ne segue il riscaldamento dell’oggetto stesso. Dunque il legame tra causa ed effetto si fonda sulla nostra esperienza, sulla nostra constatazione empirica, ma, proprio in base al potere assoluto di Dio e alla contingenza della natura, non è dimostrabile alcuna necessita dei nessi causali. Inoltre, «per quanto il bruciare segua sempre al contatto del fuoco con un oggetto infiammabile, questo non esclude la possibilità che la sua causa non sia il fuoco. Potrebbe darsi che Dio abbia ordinato le cose in modo tale che ogniqualvolta il fuoco è presente insieme all’oggetto infiammabile, sia Dio stesso la causa del bruciare» (Reportatio, 2,5).
È un tratto genuinamente innovativo la consapevolezza che Ockham ha dei limiti della fisica. Nelle scienze naturali si procede induttivamente dagli effetti alle cause e si compiono generalizzazioni basate sul postulato della regolarità del comportamento della natura. Ora, la regolarità naturale non è dimostrabile pertanto le conclusioni cui perveniamo non posseggono una necessita assoluta, ma una necessita condizionale, cioè dipendente da un postulato di partenza («se p, allora q»). In questo modo Ockham denuncia i limiti scientifici della scienza della natura, che si rivela al di sotto del modello aristotelico di scienza dimostrativa e necessaria. Tutta la filosofia di ispirazione ockhamista del XIV secolo penserà la fisica non come una scienza dimostrativa rigorosa, ma come una scienza “probabile”.
Materiale didattico su Guglielmo di Ockham
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Compito di Filosofia su San Tommaso e Guglielmo di Ockham di Alissa Peron
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La rottura del rapporto fede-ragione e la dissoluzione della Scolastica in formato doc per word della prof.ssa Scalini del Liceo Malpighi di Bologna
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Note sul problema degli universali e la logica occamista di Fabio Utili
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Traccia di una Intervista a Guglielmo di Ockam con svolgimento di Maria Elena Ballarini
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Guglielmo di Ockam di Atuttascuola