ORDINANZA MINISTERIALE N.42 del 6 maggio 2011
19 Gennaio 2019Prima prova esame di stato 2014
19 Gennaio 2019
Saggio breve o articolo di giornale
Ambito scientifico-tecnologico
Traccia per l’esame di stato 2004
CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di saggio breve” o di articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano e facendo riferimento alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ un titolo alla tua trattazione.
Se scegli la forma del saggio breve”, indica la destinazione editoriale (rivista specialistica, relazione scolastica, rassegna di argomento culturale, altro).
Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, indica il tipo di giornale sul quale ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro).
Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo).
Non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
AMBITO TECNICO – SCIENTIFICO
ARGOMENTO: Il tempo della natura, i tempi della storia e quelli della poesia, il tempo dell’animo: variazioni sul mistero del tempo
DOCUMENTI
«Il tempo è un dono prezioso, datoci affinché in esso diventiamo migliori, più saggi, più maturi, più perfetti».
Th. MANN, Romanzo d’un romanzo, Milano, Mondadori, 1952
«Il Tempo con la “t” maiuscola è faccenda complicata assai, tale da sbatterci la testa e rompersela… Perché, tanto per fare un esempio, la prima domanda che viene spontaneamente è: il Tempo c’è stato sempre o è venuto fuori a un certo punto? Pigliamo per buona la risposta di sant’Agostino: il Tempo non c’era, non esisteva prima che Dio creasse il mondo, comincia ad esserci contemporaneamente all’esistenza dell’universo ci sarebbe dunque una specie di inizio del Tempo, tanto è vero che un fisico come Werner Heisenberg può scrivere che “rispetto al tempo sembra esserci qualche cosa di simile a un principio. Molte osservazioni ci parlano d’un inizio dell’universo quattro miliardi di anni or sono…” Per amor del cielo, fermiamoci qua e non cadiamo in domande-trappola tipo: allora che faceva Dio prima di creare il mondo? Ci meriteremmo la risposta: Dio stava preparando l’inferno per quelli che fanno domande così cretine. Ma possono esserci domande assai meno stupide, tipo: quando finirà il tempo? Se accettiamo l’ipotesi sveviana di un mondo privo di uomini e di malattie che continua a rotolare come una palla liscia di bigliardo nell’universo, dove è andato a finire il Tempo? Sant’Agostino tagliava corto affermando che il tempo scorre solo per noi e forse aveva ragione. Il Tempo finirà, come scrive Savater, quando “verrà il giorno che metterà fine ai giorni, l’ora finale, l’istante oltre il quale termineranno le vicissitudini, l’incerta sequela dei fatti, e non accadrà più nulla, mai».
A. CAMILLERI, Il Tempo, LA STAMPA, 24/5/2003
«solo a livello macroscopico il tempo va sempre dal passato al futuro. A livello microscopico, invece, le particelle di materia possono invertire il cammino e tornare dal futuro al passato, diventando antiparticelle di antimateria. In tal modo, le particelle che coincidono con le proprie antiparticelle, come ad esempio i fotoni di cui è composta la luce, devono essere ferme nel tempo. E la distruzione prodotta dall’incontro tra una particella e una sua antiparticella non è che l’apparenza sotto la quale ci si presenta la sostanza, cioè il cambio di direzione di una particella nel suo viaggio temporale».
P. ODIFREDDI, Feynman genio e buffone, LA REPUBBLICA, 5/12/2003
«La storia comincia esattamente laddove finisce il tempo naturale, il tempo ciclico del ritorno degli eventi cosmici e naturali. Essa incarna invece il tempo dell’uomo in relazione con altri, che si racconta, che inizia a organizzare la memoria del suo passato sociale, a dare fondamento culturale e valore al suo potere.»
P. BEVIL’ACQUA, Sull’utilità della storia, Roma, 1997
«La Storia, almeno come noi la concepiamo, è la narrazione di una serie di avvenimenti situati nel Tempo. E se da esso Tempo si prescinde, il problema non appartiene più al compito dello storico, appartiene eventualmente al mistico, al teologo, al profeta, allo stregone. La Storia sta nel tempo, ma non è il Tempo La Storia è racconto E il racconto (con l’avvenimento che esso racconta) sta nel Tempo. Ma cos’è il Tempo? Di questa creatura misteriosa conosciamo alcune abitudini: la non reversibilità (che però non è certa), i suoi commerci con lo spazio, la sua relatività. E soprattutto abbiamo imparato a prendergli le misure, almeno alcune, tipo sarti che si adattano ai capricci corporei del cliente: il tempo delle stagioni, il tempo dei vari calendari che abbiamo escogitato o il tempo astronomico, fatto di anni percorsi dalla luce. Di questo nostro coinquilino esistenziale, che non sappiamo se stiamo attraversando o se sia lui che ci attraversa, non conosciamo il volto. Non sappiamo che aspetto abbia Tutto nel Tempo. Tutta la nostra vita dentro il Tempo… Ma ci sono degli avvenimenti del corso del Tempo che si prestano a equivoco. Essi, per loro rilevanza () inducono a identificare le nostre storie e la Storia col Tempo. Il contenuto diventa cioè il contenente… Questi avvenimenti, cioè, sembrano non essere creature nel Tempo, ma creature che hanno il potere di comandare il Tempo, di dirigerlo, di appropriarsene, di farlo loro. E’ come se con loro (o per loro) il Tempo si fosse rotto, e fosse necessario dunque rimetterlo in movimento, caricare di nuovo l’orologio»
A. TABUCCHI, Dopo il muro, LA REPUBBLICA, 2/10/2003
«(C’è) una storia quasi immobile, quella dell’uomo nei suoi rapporti con l’ambiente che lo circonda; una storia che scorre e si trasforma lentamente, fatta molto spesso di ritorni ricorrenti, di cicli sempre ricominciati. Al di sopra di questa storia immobile, una storia lentamente ritmata: si direbbe senz’altro, se il senso dell’espressione non fosse stato distorto, una storia sociale, quella dei gruppi e dei raggruppamenti(C’è) infine, la storia tradizionale, o se si vuole la storia in rapporto non già all’uomo, ma all’individuoUna storia dalle oscillazioni brevi, rapide, nervose. la più appassionante, la più ricca di umanità, e anche la più pericolosa Siamo così arrivati a una scomposizione della storia su più piani, ovvero, se si vuole, alla distinzione nel tempo della storia, d’un tempo geografico, d’un tempo sociale e d’un tempo individuale. O ancora, se si preferisce, alla scomposizione dell’uomo in una serie di personaggi.»
F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, 1949, Prefazione
«Il problema dell’uomo d’oggi? E’ senza dubbio quello di “sospendere il tempo”. Per capirsi meglio. E per capire anche ciò che di più tragico accade nella quotidianità”. Nasos Vaghenàs usa la poesia per farsi condurre fuori del tempo “Lei scrive in poesia per cercare, come è solito affermare, di “sospendere il tempo”. Le riesce? Da dove scaturisce questa necessità? ” “L’uomo desidera trascendere se stesso. E’ un’esperienza vitale che conduce tutte le nostre azioni. La poesia è una delle forme superiori per fare questa esperienza. L’altra è sicuramente la religione; anzi, questa è una forma ancora superiore – e lo riconosce uno che non è molto religioso – perché ci porta al divino, a Dio stesso. D’altra parte, ritornando alla poesia il tema del tempo è una costante. Anzi, diciamo pure che al fondo di ogni opera d’arte c’è questo desiderio di superare i limiti umani che si materializzano, appunto, dentro lo spazio temporale».
F. DAL MAS , Con Ulisse al tempo dei kamikaze – Intervista al poeta greco Vaghenàs, L’AVVENIRE, 18/1/2004
«Com’erano lunghi, senza fine, i giorni dell’infanzia! Un’ora era un universo, un’epoca intera, che un semplice gioco riempiva, come dieci dinastie. La storia era ferma, stagnava in quel gioco eterno Quel tempo era davvero lunghissimo, fermo, pieno di cose, di ogni cosa del mondo, e, in un certo modo, quasi eterno, come quello del Paradiso Terrestre, che è insieme un mito dell’infanzia e dell’eternità. Ma poi il tempo si accorcia, lentamente dapprima, negli anni della giovinezza, poi sempre più in fretta, una volta passato quel capo dei trent’anni che chiude il vasto oceano senza rive dell’età matura. Le azioni incalzano, i giorni fuggono, uno dopo l’altro, e non c’è tempo di guardarli, di numerarli, di vederli quasi, che sono già svaniti, lasciando nelle nostre mani un pugno di cenere. Chi ci ha cacciati dal nostro paradiso? Quale peccato e quale angelo? Chi ci ha costretti a correre così, senza riposo, come gli affaccendati passanti di un marciapiede di Manhattan? O forse è proprio il tempo oggettivo, che, seguendo una sua curva matematica, si accorcia progressivamente, fino a ridursi a nulla, nel giorno della morte? quando ci fermiamo del tutto, e viene la morte, il tempo diventa così infinitamente veloce che è come se fosse di nuovo immobile, e ritorniamo in un’altra eternità, che forse è quella stessa da cui eravamo partiti, o che forse è il nulla».
C. LEVI, L’Orologio, 1950