6° Convegno CONVIVERE CON AUSCHWITZ – martedì 22 gennaio 2019 – iniz…
10 Gennaio 2019ESAMI DI STATO 1999 prova suppletiva
19 Gennaio 2019PRIMA PROVA
COMPITO DI ITALIANO
Riflessioni sulle tracce
(prese dal Corriere della sera del 17 giugno 2004)
Da Dante a Guccini, gli studenti scelgono l’amicizia
E stato il tema preferito da circa 115 mila maturandi. Seguono il Novecento, la legalità e il mistero del tempo
ROMA – Il tema sull’amicizia ha battuto tutte le tracce concorrenti nella prima prova scritta di italiano della maturità 2004, affrontata ieri da 491 mila ragazzi. l’hanno scelto più di 115 mila. Oggi l’esame di Stato proseguirà con la seconda prova scritta, diversa per ciascuno delle centinaia di indirizzi. Un segno di incoraggiamento ai candidati, seppure espresso in modo indiretto, è venuto dal Papa che si è rivolto agli studenti al termine delludienza generale del mercoledì. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è fermato per qualche attimo di fronte al liceo romano «Visconti». «E una delle grandi prove della vita – ha detto -. Dopo si può guardare al futuro con fiducia e speranza». La traccia sull’amicizia costituiva l’opzione di tipo letterario, una delle quattro previste dalla tipologia del saggio breve o articolo di giornale che continua a dominare le scelte dei ragazzi durante la prima prova scritta. Le altre tracce, quella sul mistero del tempo (ambito tecnico-scientifico), quella sulla Costituzione europea (ambito storico-politico) e infine quella sulla necessità del pensare (ambito socio-economico) sono state scelte rispettivamente da circa 68 mila, 28 mila e 15 mila ragazzi. Complessivamente la tipologia del saggio breve ha avuto anche questa volta il maggior seguito: 227 mila candidati. Risulta in leggero calo: 55 per cento contro il 62 per cento del 2003. Sconta, infatti, la concorrenza del tema tradizionale di argomento storico che ieri è stato svolto da 72.432 studenti, il 17 per cento, contro il 7,5 dello scorso anno. Forse è questo il dato più interessante della giornata. La traccia sull’ambiguità del Novecento è piaciuta molto. E andata incontro a un interesse e una sensibilità coltivati. Il tema di cultura generale, che aveva per argomento la legalità, è piaciuto a 67.851 studenti. Segue, con 48 mila preferenze, l’analisi del testo, che quest’anno aveva per oggetto una poesia di Montale. Un tema sui versi del poeta era dato per scontato dai maturandi, ma questo non ha indotto il ministro dell’Istruzione e i suoi collaboratori a mettere da parte la lirica del Premio Nobel. Molti ragazzi però, anche se ben attrezzati su Montale grazie a Internet, è probabile che abbiano dirottato su altre tracce. L’analisi del testo, la tipologia più moderna, ha avuto naturalmente il maggior seguito nei licei dove è stata scelta da 30 mila ragazzi. Va però evidenziato il dato dei 12 mila ragazzi degli istituti tecnici e dei 5 mila dei professionali che non si sono tirati indietro.
Il mio esame? Tutta la vita è un esame»
Liceo classico Berchet di Milano. Matteo, 19 anni a settembre, racconta la prova di italiano (traccia sul Novecento), le passioni, la musica e il volontariato. «Il piercing? Mi fa sentire più sicuro»
MILANO – Identikit di un ragazzo normale. Sul portone del Liceo Classico Berchet, Matteo tira un sospiro di sollievo. Tutto sommato è andata bene. La sua passione è la storia e la traccia sul Novecento sembrava fatta apposta per lui. Emozione? «Appena entrato a scuola, ma è stato un attimo». Potremmo definirlo un ragazzo come tanti. Non un secchione, non uno studente modello, diciamo «nella media», anzi lo dice lui. Uno e novanta, bruno, aspetto serio, un piercing sul sopracciglio sinistro («Mi fa sentire più sicuro di me»), sorriso difficile, tifoso del Milan con una predilezione per Gattuso. Un ragazzo come tanti, Matteo Docci, 19 anni a settembre. «Come tanti miei compagni mi dedico al volontariato». Oratorio Quattro Evangelisti, zona Sud, Navigli. Aiuto catechista, educatore dall’anno prossimo, estate in Calabria con i bambini della diocesi di Locri. Parlategli di impegno sociale, di pratica religiosa, di fede, di ideali civili, ma non cercate di inquadrarlo sotto nessuna etichetta: «Preferisco analizzare i fatti per conto mio e crearmi un’opinione personale». Parlategli di globalizzazione e vi dirà: «Non sono un no global, però sono convinto che questo sistema crea squilibri pericolosi per noi e dannosi per chi li subisce. Non possiamo sfruttare gli altri senza pensare che prima o poi ci chiedano il conto e che possano rivendicare gli stessi diritti di cui godiamo noi». Una visione del mondo presa a prestito dalla famiglia: il padre putativo («Quello naturale non lo vedo da tanto») vice presidente di una cooperativa laica che gestisce all’oggi per i disabili mentali, e una madre segretaria. Niente di imposto, per carità: «Ho avuto un’educazione cattolica e nel momento della crisi adolescenziale, attraverso il volontariato e la solidarietà, ho sentito la presenza di Dio». Non parlategli di politica ufficiale, nonostante l’ammirazione per Bertinotti. Chiedetegli delle letture di piacere: fumetti, settimanali di moto, auto e divulgazione scientifica. Chiedetegli di quelle che aiutano a farsi un’opinione e accennerà ai «pochi quotidiani e riviste che propongono una pluralità di informazione, perché ormai l’informazione per lo più è manipolata». Gli autori preferiti? Nessun dubbio: Verga e Carlo Porta. I libri più amati? Nessun dubbio: i Vangeli («Ogni riga è una miniera»). Poi due scoperte recenti: Il mondo nuovo di Huxley e 1984 di Orwell, perché «mi interessa approfondire il futuro come scenario politico». Chiedetegli del suo futuro e vi risponderà, con un raro sorriso, che dopo la maturità ha intenzione di iscriversi a Scienze della Formazione. Perché? «Semplice, per portare avanti il discorso dell’impegno sociale». Chiedetegli se nel suo futuro c’è anche la famiglia. Parlerà con prudenza: «Mi piacerebbe, ma prima ci vuole una base economica… e poi, vivere sotto lo stesso tetto è difficile, persino stare in tenda con gli amici per quindici giorni crea problemi». Prudenza è la parola chiave. Specie dopo la «delusione» di un rapporto sentimentale durato un anno e mezzo e «finito male per linesperienza di tutti e due». Prudenza e autocritica: «Ci lamentiamo degli adulti, ma noi giovani molto spesso siamo superficiali, ci fermiamo all’apparenza…».
Prudenza, autocritica e realismo: «Se penso che ci sono molte persone che non hanno neanche un centesimo di quello che ho io… All’oratorio vedo tanti ragazzi cresciuti con me che si sono persi per strada, giovani che trafficano con la droga o bambini abbandonati dai genitori». Matteo sa di non poter chiedere troppo, in una famiglia di stipendiati. Per questo si accontenta della paghetta «per le strette necessità» e per il resto cerca di raggranellare qualcosa in proprio. Dando ripetizioni a un ragazzo di prima media. Dunque, ricapitoliamo: un pomeriggio alla settimana in oratorio, un altro per le lezioni private, due serate in palestra («Ho lasciato il calcio e le arrampicate, ora per tenermi in forma faccio ginnastica»), qualche dopocena al pub con gli amici («Francesco e Luca sono i miei confidenti, ma c’è anche il mio confessore»), il resto tra libri, musica ( e pop e ska , i preferiti si chiamano Sean Paul e Ska-p) e Internet. «Chattare no, ma mi piace navigare quando voglio approfondire qualche argomento, per curiosità, però senza esagerare». Discoteche quasi niente. Tv quasi niente, con qualche eccezione: Zelig , Mai dire domenica e le rubriche storiche («Ultimamente ho visto un documentario su Matteotti: sapevo quasi tutto, ma alcuni retroscena mi erano sfuggiti»). I quiz li sopporta solo in casa della nonna. Non parlategli di talk show o di dibattiti politici: «Si vede subito che ognuno guarda solo al proprio interesse e che nessuno è pronto a sacrificare sé stesso o a mettersi sotto esame». Esame? «Esame. Io ho un carattere un po strano, ho difficoltà con gli altri proprio perché mi metto sempre in discussione, sempre sotto esame». Identikit di un ragazzo normale. Sempre sotto esame.
Paolo Di Stefano
L’amicizia alla prova. Anche del tradimento
Guccini, innalzato accanto a Cicerone, si è dichiarato «imbarazzato e soddisfatto». Cicerone, Dante e Guccini sullo stesso piano: nessuno scandalo. L’amicizia è trasversale, totale, interclassista, capace di saltare generazioni e perfino barricate politiche. Ne possiamo parlare tutti, con identica cognizione di causa. I nostri figli hanno cominciato da piccoli a investire nell’amicizia quel tempo e quei sentimenti che venivano forse un po trascurati dalle nostre famiglie distratte e complicate. Per superare le (nostre) loro paure li abbiamo mandati quasi in fasce agli scout, al campeggio, al campo-scuola, allenandoli sin da piccoli alla più profonda intimità con altri coetanei. A volte, noi genitori ci siamo sentiti perfino un po gelosi dellamica-amico del cuore, di quelle telefonate di ore, di quei messaggini insistenti e abbiamo scrutato con una certa ansia dei gesti quasi amorosi che si scambiavano amici e amiche dello stesso sesso… Poi, bastava accendere la tv per ritrovare, nei grandi fratelli e nella grande Amica Maria De Filippi gli stessi gesti, le stesse inedite, moderne, morbosità affettive… Un amico c’è sempre, un amore chissà. In un mondo dove tutto appare precario e illusorio, l’amicizia diventa forza. Una forza necessaria per fronteggiare l’estrema competitività del presente e dei rapporti sociali.
Un tema aperto nelle due coalizioni politiche, all’indomani di risultati elettorali difficili da decodificare. I due leader, Prodi e Berlusconi, potranno ancora contare sull’amicizia, sulla lealtà degli alleati? Difficile parlare di vera amicizia in politica: se c’è, è sempre a termine… Fino al tradimento, legittimato dall’inevitabile ansia di potere. Nel giorno in cui il ministero ha regalato ai liceali un tema facile e interessante, il direttore del Foglio Giuliano Ferrara si è rivolto al presidente del Consiglio, nel suo editoriale, «nello stile con cui gli stoici si rivolgevano ai loro giovani amici per trasmettere l’esperienza del dolore e dei suoi antidoti». L’amico dice la verità, devi ascoltarlo… suggerisce il giornalista a Silvio Berlusconi, assicurando il destinatario che lui scrive «nel segno di una sfiduciata, ma antica amicizia, forse più utile delle piccole propalazioni dei ruffiani». Un amico c’è anche nei momenti difficili. A un amico di sempre, Luca di Montezemolo, la famiglia Agnelli ha affidato la Fiat e i suoi giovani eredi. A scuola, nei palazzi del potere, nell’impresa: l’amicizia è tornata ad essere un punto fermo, centrale e insostituibile. Di un compagno o di una compagna, di un marito o di una moglie, la cosa più bella che si possa dire? Siamo amici.
Barbara Palombelli
Se la giustizia è umiliata
C’è un fondo nero di cattiva coscienza, in questa traccia. Una società civile totalmente incapace di sciogliere il grumo più denso del proprio deficit circolatorio di libertà e giustizia, ne demanda la diagnosi e la cura alle generazioni che pure riconosce come vittime. La legalità, infatti, è umiliata e offesa ogni giorno da chi dovrebbe incarnarla, a partire dalla dorsale della nostra civiltà: gli Stati Uniti, potenza egemone, ne hanno spento il soffio prima nelle aule della Corte suprema (decisiva nel plasmare le elezioni del 2000) e poi nelle gabbie di Guantanamo e nelle prigioni di Abu Ghraib; mentre l’alleato italiano è retto da un governo che – tacendo del conflitto dinteressi – ha a sua volta assecondato dinamiche socio-economiche non trasparenti (vedi i condoni). Come pretendere, allora, di invocarla rimuovendola, la legalità, cioè indicando la luce di una l’una eclissata? Come pretendere di espanderne la premessa filosofica e psicologica – che va dal rispetto delle code ai supermercati al pagamento delle tasse – quando si cerca di saldare eletti ed elettori in un «compromesso opaco» di paralegalità comune e pervasiva? La strettoia decisiva, forse, risiede nell’insistenza con cui troppi paggi mediatici dei poteri forti, più o meno implicitamente, irridono alla legalità come ossessione obsoleta e patetica. Certo, la «civiltà» – per richiamare il famoso libro di Freud – comporta un «disagio»: una società è tale solo al prezzo del sacrificio pulsionale degli individui che la compongono. Ma non c’è altra via. Anzi, non c’è altra forma: perché la musica della legalità – e la sua partitura, il diritto – hanno la stessa necessità e la stessa «misura» di una creazione artistica: e quindi la stessa universalità, la stessa capacità di proporsi come un possibile esperanto.
IL RICORDO
Il viaggio del poeta di via Solferino
Sarebbe arrogante affermare che non poteva non esserci Montale nelle tracce della maturità 2004. Ma non riesco a immaginare memoria più opportuna per svecchiare questo stanco rito di transito nell’esperienza giovanile. Le sue poesie sono nelle case degli italiani, più di un milione di copie del volume che ne raccoglie una parte sono state donate ancora qualche mese fa dal Corriere della Sera ai lettori. I suoi articoli e il suo lavoro quotidiano di redattore in via Solferino hanno accompagnato per decenni l’intelligenza dei genitori e dei nonni di questi studenti. «Il viaggio finisce qui», dice il primo verso di «La casa sul mare», che è il testo indicato ai maturandi. Il viaggio dei ragazzi, che per qualche ora sono rimasti con lui ieri mattina, comincia adesso e laugurio che Montale avrebbe fatto loro è che sia lungo, possibilmente senza altri esami. Montale detestava gli esami, chiunque fosse il certificatore, un critico letterario, un direttore, un uomo politico, una donna potente e pettegola. Senatore a vita e premio Nobel, era stato esaminato a pieni voti più volte dal mondo, eppure non avrebbe voluto altri giudizi, neppure dopo morto. Ogni anno mi faceva prendere dall’archivio del Corriere le bozze di una scarna biografia che si era scritto da solo e laggiornava. Sperava che quello sarebbe stato l’unico necrologio quando se ne fosse andato.
Mi sento imbarazzato e insieme contento
Ma cosa centro con Cicerone e Raffaello?»
PAVANA (Pistoia) – Se al ragazzo capellone e ribelle di 30 anni fa avessero detto che un giorno sarebbe finito con Cicerone, Dante e Raffaello nei fogli protocollo di un tema di maturità, o che la presidenza della Repubblica gli avrebbe conferito lonorificenza di ufficiale al merito, non ci avrebbe mai creduto. «Il fatto è – confessa Francesco Guccini, autore della “Canzone per Piero”, scelta per uno dei temi di ieri – che faccio fatica a crederci anche ora che entrambe le cose sono accadute in 15 giorni». E adesso che effetto fa?
«Mi sento imbarazzato. Mi vergogno, mi viene da dire: ma io cosa centro con Cicerone e Raffaello?».
Chi è nella realtà questo Piero?
«Un amico storico di Bologna. Ci siamo conosciuti nel 49 a Pavana, sull’Appennino tosco-emiliano, non ci siamo mai più persi di vista. Ci vediamo in estate a Pavana, ma ci frequentiamo anche a Bologna. Adesso è in pensione, prima ha lavorato in una ditta, poi ha fatto il bancario. Piero oggi mi ha telefonato: anche lui era incredulo».
Guccini che tema avrebbe scelto?
Ride. «Sono un pessimo sceglitore di temi. Ma credo quello sull’amicizia. E il classico tema di fuga per chi non è molto ferrato sulle altre materie. Sono contento di aver rappresentato una salvezza per molti».
Ma lei come l’avrebbe svolto?
«Oh, sono secoli che non faccio più temi».
In ogni caso un bel regalo per il suo compleanno (64 anni, lunedì 14). Come l’ha festeggiato?
«Sono andato in piazza Maggiore a festeggiare Cofferati».
Lonorificenza, poi la citazione sui temi di Stato: è diventato unicona della Repubblica…
«Veramente questi sono omaggi che si fanno alle persone che non ci sono più o che stanno per andarsene. Ora sto facendo gli scongiuri. Battute a parte sono contento».
Daniela Camboni
Ma la filosofia non è fast food
Grazie magari soltanto a un «Festival della filosofia» ben riuscito, che si aggiunge allo sfarfalleggiare nei salotti televisivi di qualche brillante studioso capace di unarguzia severa o di una banalità saccente, si riscopre la «necessità di pensare», in un tempo di spensierato e leggero parlare, quasi sempre sotto il segno dell’improvvisazione. Così almeno sembra annunciare, trionfalmente, questa curiosa traccia proposta alla maturità, con un collage di pensieri frammentari che, a parte le serie riflessioni di Giorello e di Merleau-Ponty (un po mortificate tuttavia dai troppi tagli) dà spazio soprattutto a frettolosi e pasticciati resoconti giornalistici che paiono puntare a un «fenomeno» spettacolare, a un «evento» transitorio da consumare in fretta, più che registrare una vera e propria realtà in movimento. Ci troviamo dunque davanti a una buona o a una cattiva notizia? Non sarei ottimista. E’ preoccupante l’auspicio, per esempio che la filosofia debba «scendere dal piedistallo specialistico e avvicinarsi ai problemi delle persone». Per questo bastano e avanzano gli psicologi. E’ pericoloso, in un tempo come il nostro che non sa accorgersi della finezza (e della profondità) del paradosso, attribuire all«aristocrazia» del pensiero una valenza ambiguamente «democratica». Così davvero si rischia di ridurre la filosofia a una «coll’azione di idee e citazioni edificanti», a un «fast food intellettuale» di facile consumo. La «necessità di pensare» richiede, prima di tutto, solitudine: anzi e – per eccellenza – accettazione integrale della solitudine, anche quando il filosofo deve passare alla verifica pubblica di ciò che ha elaborato, al «confronto», al «dialogo» con il pensiero altrui. Altrimenti si resta invischiati in quel «pensiero debole» di moda che intrattiene e non determina crescita.
Europa, i limiti della democrazia
Fino a prova contraria, noi consideriamo democratica la costituzione che prevede che il potere esecutivo abbia la fiducia di una assemblea rappresentativa o sia eletto direttamente dal popolo. Ma lo studente che avesse ragionato in questo modo si sarebbe allora trovato in forte imbarazzo di fronte al titolo proposto dal ministero. Si sarebbe infatti dovuto chiedere se può essere considerato effettivamente democratico un soggetto come l’Unione Europea in cui manca ciò che costituisce il fulcro della democrazia come sopra definita. E si sarebbe forse trovato costretto a concludere che essa democratica lo è poco o nulla, sempre nell’accezione di democrazia della quale stiamo parlando. Nella realtà è assai più probabile che, invece di porsi interrogativi come questi, il nostro studente si sia invece limitato ad auspicare un sempre più forte rafforzamento dell’Unione a scapito degli Stati nazionali, considerati da sempre la bestia nera di quelleuropeismo un po superficiale che domina il nostro discorso pubblico. E assai più probabile che abbia insistito sulla necessità che l’Europa parli con una voce sola, che abbia una sola politica estera e così via, senza domandarsi – come probabilmente non si domandano né i suoi professori né in generale i suoi concittadini adulti – perché tutto questo non avvenga. Il nostro studente avrà insomma svolto il tema nell’unico modo possibile per il suo bagaglio di conoscenze e informazioni, nel modo prevalentemente retorico in cui le questioni europee vengono solitamente trattate. Se avrà fatto così, avrà probabilmente corrisposto a ciò che il ministero si attendeva da lui. Ma avrà anche dimostrato una volta di più come certe indicazioni d’esame, nelle quali di fatto si chiede di ripetere ciò che tutti dicono, andrebbero puramente e semplicemente evitate.
Non c’è tempo senza Einstein
La maturità ha scoperto il tempo. Ci viene naturale aggiungere: finalmente! Certo, non l’ha scoperto tutto. Per ora, diciamoci la verità, è stata pudica e ne ha offerto un assaggio alla meditazione degli studenti. I capisaldi proposti alla riflessione sono la natura, la storia, la poesia e l’animo. Ora, nella natura occorre assolutamente includere la fisica, altrimenti si finisce in un pasticcio. E’ giusto e bello osservare l’azione del tempo in antropologia o in ornitologia, con i terremoti e le maree, ma per essere completi bisogna accostarsi a quello che del tempo si è pensato tra Aristotele e Einstein, senza dimenticare Galileo e Newton. E poi c’è quel termine «animo» che si poteva trasformare con un piccolo sforzo in «anima», più familiare e più usato, con meno limitazioni nei significati. Con l’anima entravano di diritto nel tema anche filosofia e religione, cioè pensiero e fede, che sull’argomento la sanno lunga. «Animo» puzza meno dincenso, ma non salva la completezza. Inoltre ci sarebbero stati dei vantaggi, perché Sant’Agostino con le sue Confessioni si sarebbe sentito subito coinvolto. Del resto, una riflessione sul tempo senza passare da questo santo filosofo è una sciocchezza, almeno nel pensiero occidentale. Per ciò che riguarda gli autori suggeriti, si poteva, anche qui, dar corpo all’argomento con alcune autorità: Einstein non doveva mancare, Heidegger sarebbe stato elegante inserirlo, Proust e Borges non era il caso di escluderli. E questo sia detto per rimanere nel Novecento. Morale della storia: saranno più maturi quegli studenti che nella prova orale sapranno mettere in rilievo le mancanze ministeriali intorno al tempo. Ce se sono altre, ce ne sono, ve lo garantiamo.
Il secolo doppio: tema impossibile
«I due volti del Novecento»: ecco un argomento che non andrebbe mai assegnato come tema, salvo la pretesa (assurda) di dover leggere i soliti brevi cenni sull’universo. E i motivi di questo giudizio negativo sono due. Anzitutto, sul piano formale è scorretto, e sottilmente ipocrita, che al fine di indicare le «ambivalenze» del XX secolo si usino ben cinque aggettivi qualificativi riferiti alle «grandi conquiste» (civili, economiche, sociali, ecc.) e uno solo per le «grandi tragedie» (storiche), tacendo ogni richiamo alla «politica». Con il risultato – per passare al piano dei contenuti – che chi avrà parlato delle esperienze totalitarie, nere e rosse, sarà stato capace di sottolineare che nazismo, fascismo, comunismo furono «tragedie» non solo da ricondurre al piano storico, ma da discutere, e condannare, sul piano politico (eclisse delle libertà e dei diritti, fine degli istituti parlamentari, persecuzione degli avversari)? Quanto alle «conquiste», dalla chimica allelettronica, il rischio concreto riguarda la scelta dei «fatti più significativi» su cui riflettere, per documentare «l’ambivalenza» del 900: per esempio, la scoperta dell’atomo, utilizzato non solo a scopi pacifici (la bomba di Hiroshima insegna…). Così, basta un richiamo al Dna per far cenno al boom della medicina odierna nei vari campi della prevenzione e della cura? O vanno evidenziate anche le minacce incombenti legate alla «manipolazione genetica»? E basta illustrare gli sviluppi economici del ricco Occidente, o a fianco occorre porre in evidenza il dramma della fame nel resto del mondo? Né vanno taciuti i traguardi raggiunti dalla questione femminile: ma chi avrà ricordato che il 900 (e oltre) presenta anche il volto tremendo dellinfibul’azione? Lo stesso vale per tanti altri aspetti…
Testi conosciuti, traccia ambigua
Quando si pensa al tema della maturità, e in particolare all’analisi di un testo d’autore, il primo pensiero d’ogni studente è sempre il solito: «Speriamo d’averlo fatto!». E in effetti, se non altro, in tale prospettiva la proposta di quest’anno presenta taluni aspetti positivi. Montale è autore sempre gettonabile a una maturità, e almeno una spolveratina, magari di fretta, gliela si dà. Inoltre, anche se qui non esplicitamente dichiarato, si tratta dun testo appartenente a Ossi di seppia , raccolta su cui qualcosa a scuola si dice, magari per commentare Non chiederci la parola , Meriggiare o Spesso il male di vivere . E in tale direzione lo studente che abbia avuto modo di conoscere tali testi, può anche trovarsi a proprio agio nel muoversi entro lintertestualità montaliana, quanto mai evidente in particolare nella terza strofa, ove anche lessicalmente quel mondo e quelle immagini di chiusura tornano. Ma forse è proprio anche per il dubbio che l’autore sia veramente conosciuto da tutti che la richiesta ministeriale di analisi tiene un profilo basso, persino elementare. Mi vien persino da dire: giustamente, se non mi suonasse un po gratuita quella richiesta impressionistica sulla —– idraulica. Forse indicare l’appartenenza non solo alla raccolta (appunto Ossi di seppia ), ma pure alla sezione ( Meriggi e ombre ) e chiederne una giustificazione sulla base del testo, della scelta lessicale impregnata di negatività o qualcosa di simile avrebbe proposto al candidato una maggior creatività e un più significativo sforzo analitico. Il fatto è che anche la nota che accompagna il testo non è priva duna sua ambiguità: perché nel riassumere i contenuti della poesia di Montale mescola, senza precisare le rispettive appartenenze, Ossi e Occasioni . E tutto questo dopo aver ricordato come punto d’arrivo quel 1977 in cui la poesia montaliana è ormai molto diversa da quella qui descritta .