Linda De Benedictis
27 Gennaio 2019Mario Falanga
27 Gennaio 2019La realtà e l’apparenza in Schopenhauer, dalla Tesina Realtà e apparenza per liceo linguistico di Nicola Diomaiuto
Ogni uomo pensa di aver capito abbastanza presto cos’è la realtà. Per qualcuno la certezza della comprensione iniziale si attenua progressivamente e, ormai vecchio, sente di essere arrivato ad un’ incertezza totale.
Filosofia
Schopenhauer analizza la contrapposizione tra realtà (volontà) e apparenza (rappresentazione) nella sua più grande opera: “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Per prima cosa riprende il dualismo kantiano di fenomeno e noumeno cambiandone l’interpretazione ed ignorando gli idealisti che non sono al servizio della verità ma del potere e del successo. Per Kant il fenomeno è la realtà, l’unica realtà accessibile alla mente umana; e il noumeno è un concetto-limite che serve come promemoria critico per rammentarci i limiti della conoscenza. Per Schopenhauer il fenomeno è invece parvenza, illusione, sogno, ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana è detto “velo di Maya” ; mentre il noumeno è una realtà che si ” nasconde” dietro l’ingannevole trama del fenomeno, e che il filosofo ha il compito di “scoprire” :
” E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente ” .
Mentre per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione, che esiste fuori della coscienza, anche se viene appreso tramite un corredo di forme a priori, il fenomeno di cui parla Schopenhauer è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza. La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cui distinzione costituisce la forma generale della conoscenza : da un lato c’è il soggetto rappresentante, dall’ altro c’è l’oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono soltanto all’interno della rappresentazione, di conseguenza, non ci può essere soggetto senza oggetto. A differenza di Kant, Schopenhauer ammette solo tre forme a priori: spazio, tempo e causalità. Quest’ultima è l’unica categoria, in quanto tutte le altre sono riconducibili a essa e poiché la realtà stessa dell’oggetto si risolve completamente nella sua azione causale su altri oggetti. La causalità assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera, manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale, ovvero come principio del divenire, del conoscere, dell’essere e dell’agire. Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a dei vetri sfaccettati attraverso cui la visione delle cose si deforma, egli considera la vita “sogno”, cioè un tessuto di apparenze o una sorta di “incantesimo”, che fa di essa qualcosa di simile agli stati onirici. Ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo, o meglio il filosofo che è nell’uomo, non può fare a meno di interrogarsi. Infatti sostiene Schopenhauer, l’uomo è un “animale metafisico”, che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e a interrogarsi sull’essenza ultima della vita. Il filosofo ha quindi il compito di squarciare il velo di Maya per andare al di là delle apparenze. Per farlo, egli usa l’immagine del castello circondato dall’acqua con il ponte levatoio sollevato: il viandante può osservare il castello da tutti i lati ma ne rimarrà sempre fuori. Allo stesso modo noi possiamo esaminare la realtà da tutti i lati ma ne rimaniamo sempre fuori. Il cunicolo che ci consente di andare al di là delle illusioni è il nostro corpo, l’unica realtà che non ci è data solo come immagine poiché noi viviamo il nostro corpo anche dall’interno. La corporeità è il modo per andare al di là della rappresentazione e afferrare l’essenza delle cose. Schopenhauer non è interessato all’introspezione ma utilizza il corpo solo come un mezzo metafisico per arrivare alla realtà. Percorrendo questa strada si individua una realtà sostanziale: la volontà di vivere che ha un valore universale. Noi siamo vita e volontà di vivere. Il nostro corpo è la manifestazione esteriore delle nostre brame interiori. Quindi il fenomeno non è altro che la volontà che si manifesta a noi stessi tramite la sua rappresentazione spazio- temporale. La volontà è perciò il noumeno e la cosa in sé dell’universo: il fondamento del reale finalmente svelato. La volontà ha quattro caratteristiche:
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-è inconscia: non riguarda solo le creature dotate di coscienza ma riguarda tutto il mondo animato e inanimato; tutto ha volontà.
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-è unica perché si colloca al di là della categoria dello spazio.
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-è eterna perché è oltre il tempo, c’è sempre stata e sempre sarà.
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-è incausata e senza scopo: non ha né una causa né un fine, è oltre la causalità.
Il fondamento della realtà è quindi irrazionale, e Schopenhauer non può fare a meno di avversare chi cerchi la verità mediante l’uso della ragione (Hegel) La razionalità non è in grado di cogliere la realtà perché essa non può essere colta con le categorie della razionalità (spazio-tempo-causa). Per afferrare la conoscenza bisogna fuoriuscire dal campo della razionalità. Dal fatto che la volontà sia il principio primo di ogni cosa deriva il pessimismo: nell’uomo la volontà è più cosciente che negli altri animali e quindi l’uomo cerca appagamento costantemente. Ma la richiesta di appagamento non ha mai fine (come la volontà), quindi l’uomo è destinato a soffrire, così come tutti gli esseri.
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