Seconda guerra mondiale
27 Gennaio 2019Paul Verlaine di Carlo Zacco
27 Gennaio 2019Libro III – La galleria di esempi: il Magnifico
cap XIX – XXIX dal Libro terzo del Cortegiano di Castiglione
di Carlo Zacco
Trattati cinquecenteschi in lode delle donne
Prima di entrare in questa parte faccio un breve cenno in relazione ad altri testi che il Castiglione ebbe presente, e almeno un altro testo scritto parallelamente alla scrittura del Cortegiano. Questo perché sappiate meglio la dimensione storico culturale di questo discorso sulle donne.
Va tenuto presente, ed anche questo è un dato di innovazione, come il Castiglione combini due aspetti che nelle trattazioni sulla donna spesso erano invece divisi in operette differenti tra di loro.
La tradizione misogina. Allora: brevissima premessa. Ricorderete come ci sia una lunga tradizione misogina che viene dal mondo classico medievale e umanistico: una visione della donna negativa, in questo contesto la donna è accusata di aver portato mali nell’umanità, la donna è paragonata a un qualcosa di demoniaco, e in queste trattazioni ciò ha una correlazione nella figura di donna come moglie che in quanto moglie porterebbe di fatto delle condizioni negative non accettabili per chi intenda invece impostare la propria vita in relazione all’attività intellettuale. E cioè il condurre moglie non sarebbe adatto per chi vuole esercitare la professione dell’intellettuale. Questo ha una lunga storia, ben presente anche nel contesto rinascimentale.
La tradizione filogina. Contrapposto a questo c’è tutto un filone, fin dal mondo antico, che gli si oppone e che rivendica il ruolo della donna, naturalmente non dobbiamo considerarlo a livello attuale, perché gerarchicamente l’uomo era sempre superiore alla donna, però controbatte contro quella visione negativa, e contro quella visione negativa del prendere moglie. Riportandoci ad un testo che abbiamo visto insieme per un passo vi ricordo quel de re uxoria di Barbaro, in relazione al prender moglie, e quel trattatello del barbaro, anche prospetta condizioni per la donna che fortunatamente sono molto lontane dal nostro modo di pensare, certamente rispetto ai tempi rappresenta una punta più avanzata. La donna che deve compiacere il marito e che però ha con il marito un legame forte sul piano degli affetti. L’amore coniugale deve essere reciproco. Sul modo in cui doveva essere la buona moglie e la buona madre erano fioriti trattati, anche per accenno lo abbiamo visto per l’opera albertiana: Alberti per altro è rappresentante di un atteggiamento misogino nel contesto umanistico: non nella famiglia, ma in altre operette, dove sulle donne Alberti non è certo inferiore al Corbaccio che ne dice peste e corna.
Nelle corti. Presenza di misoginia nel contesto rinascimentale è indubbia. Che cosa accade negli ambienti di corte? Qui c’è non casualmente un atteggiamento che è soprattutto di difesa delle donne, e di rivendicazione della figura femminile: non è un caso che il Castiglione dia un ampio spazio e in modo innovativo alla donna di corte: la presenza della donna in corte e la sua importanza è indubbia nel contesto di quattro cinquecento, e ci sono donne molto importanti nel contesto delle corti. Certo è con il Castiglione che si viene a dare una posizione anche dal punto di vista letterario nel contesto del trattato significativa. E il trattare l’institutio della donna di palazzo accanto a quella del Cortegiano è certamente un aspetto innovativo nel contesto della trattatistica del genere e significativo per come viene fatto.
I trattati rinascimentali. Con ciò erano fioriti in quel periodo dei trattati che possono essere definiti in difesa delle donne. E questi seguono in linea di massima due binari diversi: quelli che assumono una dimensione di carattere teorico trattatistico, e quelli che rappresentano una trattazione per una galleria di esempi: dal punto di vista teorico-trattatistico si tratta di quei trattatelli che prendono la parola in cui chi scrive prende la parola per difendere la donna contro gli attacchi di coloro che la giudicavano negativamente, come fa il Pallavicino.
Linea teorica: Mario Equicola. Il più interessante di questi trattatelli, brevi, è un trattatello scritto da un letterato di corte del primo cinquecento che si chiama Mario Equicola. Il quale a sua volta è interessante per quello che scrive sull’amore. Equicola scrive in latino, e rappresenta una delle voci più significative in difesa delle donne, per come è svolto dal punto di vista teorico il trattatello. Per capire come il Castiglione riprende argomenti già usati da altri, e comuni in queste difese, c’è molta parte delle stesse fonti che aveva usato l’Equicola, utilizzati per discuterne: fonti aristoteliche, platoniche, neoplatoniche. Quegli stessi problemata di Aristotele sono ripresi anche dall’Equicola, che a sua volta discute una serie di posizioni di Aristotele e di Platone giungendo a posizioni positive nei confronti delle donne. La presentazione di exempla è molto abbreviata.
Linea storica: Sabbadino degli Abbienti. Al contrario in opere di altra natura, che rappresentano invece una vera e propria galleria di personaggi femminili e la più vicina per quel che riguarda un’ opera di corte potremmo citare quella di fine quattrocento di Sabbadino degli Abbienti: “la Ginevra o delle belle donne”, è praticamente una galleria di esempi femminili, in larga misura ancorato al mondo di corte. Ritratti encomiastici femminili naturalmente, basato sul presente, e qui la parte degli esempi è quasi esclusiva. Questi sono i due estremi dello svolgimento della trattatistica sulle donne.
Boccaccio. Da un lato un trattatello vero e proprio come quello dell’Equicola, dall’altro quello di Sabbadino degli Abbienti. Naturalmente Sabbadino ha un modello: un’ opera di Boccaccio, il De Claris mulieribus. Allora, questa opera è ben presente al Castiglione: scritto apposta per le donne come pubblico privilegiato: alle donne si attaglia una dimostrazione fatta attraverso esempi: la storia come fonte di dimostrazione di esempi: non teorico, ma un discorso per esempi. Ma in Boccaccio non sono solo esempi positivi, perché per il Boccaccio quello che conta è la memorabilità. E le donne, soprattutto donne antiche (si parte da Eva e si giunge ad un esempio trecentesco, ma la maggior parte degli esempi sono antichi) gli exempla dati sono esempi memorabili: tra queste anche alcune donne scellerate, ma che hanno avuto peso e significato notevole, perché sono state, anche per le loro azioni negative, degne di essere ricordate, perché queste azioni sono uscite dal modo comune di essere.
La sintesi di Castiglione. Cosa fa il Castiglione nella sostanza? In sostanza elabora in modo innovativo prendendo entrambi gli aspetti: quello teorico della discussione e quello esemplare: infatti nei capitoli che vediamo, da XIX in poi, dopo la provocazione del Frigio sarà delineata una galleria di exempla, che viene però inserita nel contesto del dialogo e utilizzata non solo a fini dimostrativi, ma ai fini della discussione che era stata fatta, e che era in atto: c’è un collegamento tra la parte teorica della disputatio, e la parte storica della esemplarità presentata.
Inoltre questo è reso funzionale per Castiglione perché il Castiglione scrive un’ opera in forma di dialogo. Le altre operette non sono in forma di dialogo. Avevo anche detto che c’è un testo significativo della attualità di questo tema trattato nel terzo libro, anche nella contemporaneità del Castiglione: nel 1525, viene pubblicato un testo che è di un umanista che appartiene all’ambito settentrionale milanese, il Capra, e che si intitola Della eccellentia e della dignità delle donne. E’ indicativo sotto questo profilo: questa tematica, che ha largo sviluppo in questo periodo e in ambito di corte, e soprattutto nelle corti mantovane e ferrarese, ha un piano di attualità dimostrato dalla pubblicazione tre anni prima del Capra. E’ importante veder questi aspetti per situare meglio in maniera storico culturale questo testo del Castiglione.
Inoltre, come accennavo, molti di questi trattatelli fanno riferimento ad argomenti di carattere religioso: avevo citato il Gogio, ma ce ne sono altri, dove questi aspetti sono sottolineati fortemente.
Capitolo XIX
Eva e Maria. All’inizio del capitolo XIX interviene quella che è una provocazione da parte del Frigio. Naturalmente quando si sente dire dei grandi effetti delle donne, il Frigio sarcasticamente mette fuori il nome di Eva. E porta il discorso, come dice il Magnifico, nella sacrestia. Vuole addurre un argomento di carattere religioso.
D’altra parte l’argomento antifemminista legato ad Eva ha lunga tradizione; accanto ad esso è tradizionale l’argomento con cui si risponde, e con cui risponde immediatamente il Magnifico: cioè Maria. Maria contrapposta ad Eva.
Folli ragionamenti. Ma il Magnifico non si vuole soffermare su questi argomenti: risponde al Frigio in modo sarcastico, dicendo che non vuole entrare in Sacrestia e che non vuole mischiare argomenti di carattere religioso «ai nostri folli ragionamenti». Ecco attenzione, perché può essere fraintesa questa espressione, ma i folli ragionamenti sono pazzi, o di pazzia, sono ragionamenti mondani. E’ un’espressione, che in questa accezione è presente in Petrarca, ma un espressione analoga la troviamo in un passo del furioso, che vuol dire ragionamenti mondani. Che cosa vuol dire con ciò il Castiglione, attraverso la voce del Magnifico: argomenti di carattere religioso non sono pertinenti ad un discorso calato in un contesto mondano: ciò nonostante anche questi argomenti tradizionali, misogini, non possono restare senza risposta.
San Girolamo. La risposta gli è stata già data: Maria, e nello stesso tempo in cui è stata prospettata in forma misogina la figura di Eva, e non è un caso fra l’altro che il Castiglione attraverso il Magnifico sfrutti, togliendo l’arma ai misogini, un testo di un autore della Patristica che poteva essere usato in funzione misogina, cioè San Gerolamo. Si avvale dell’Adversus iovinianum. Qui Gerolamo mette in evidenza gli esempi eccellenti delle martiri, ma Gerolamo aveva di fatto rivendicato anche la virtù di una serie di donne della antichità che avevano difeso la propria virtù anche affrontando al morte, mostrando come la difesa della virtù debba essere perseguita anche a costo del sacrificio della vita. Utilizzando San Gerolamo al tempo stesso il Magnifico impedisce di fatto al Frigio che sia avvalga di questi argomenti, toglie il campo questa possibile arma, e il ricorso ad argomenti di carattere tradizionale.
Capitolo XX
Però non vuole lasciar cadere un attacco che riguarda la contemporaneità: e cioè la ipocrisia di questi religiosi che comportandosi male corrompono le donne e poi dicono male di loro. Contrappone a questa ipocrisia dei religiosi il comportamento di molte donne di cui non si mai menzione, donne meschine, infelici, chiuse nei conventi (forzatamente a volte) e che vivono invece una vita di santità senza che nessuno parli di loro, e contrappone queste donne a molti uomini ipocriti maledetti che esibiscono una virtù che non hanno contro i dettami evangelici, e vogliono nascondere coprendo sotto il peso di una autorità malintesa, quello male che fanno dicendo che quello che si fa di male, se viene nascosto e fatto cautamente non è così grave, e in realtà sono dei personaggi che hanno la colpa della degenerazione e della corruzione della società intera.
Questi personaggi così attaccati con violenza sono i frati: è un attacco ai frati non esplicito, ma viene capito subito. Questo attacco è di grande violenza verbale, non è nuovo, si apparenta a tante pagine di umanisti del quattrocento: pensiamo a pagine famose del Valla, e ci sono famose pagine di Bracciolini; ma ci sono anche rappresentazioni in novelle e commedie: e infatti qui ci viene data proprio la rappresentazione della ipocrisia per eccellenza. Nel capitolo XX quando parla di questi «omini ippocriti maledetti[1], i quali, scordati[2] o più presto facendo poco caso della dottrina di Cristo, che vole che quando l’om digiuna se unga la faccia perché non paia che degiuni e comanda che le orazioni, le elemosine e l’altre bone opere si facciano non in piazza, né in sinagoge, ma in secreto [3],
tanto che la man sinistra non sappia della destra, affermano non esser maggior bene al mondo che ‘l dar bon esempio; e cosí, col collo torto e gli occhi bassi» ecco, questa rappresentazione di questo modo di porsi con il collo torto e gli occhi bassi, è una rappresentazione topica della novellistica e della commedia, soprattutto rappresentativa dell’ipocrisia per eccellenza: «spargendo fama di non voler parlare a donne, né mangiar altro che erbe crude, affumati[4] con le toniche squarciate, gàbbano i semplici; che non si guardan poi da falsar testamenti» cioè mentre esibiscono come buon esempio il loro comportamento, esibiscono i digiuni che fra l’altro non fanno, e invece non si guardano da comportarsi male: «non si guardan poi da falsar testamenti, mettere inimicizie mortali tra marito e moglie e talor veneno, usar malie, incanti ed ogni sorte de ribalderia; e poi allegano una certa autorità di suo capo che dice «Si non caste, tamen caute[5]»; » chi non sa essere casto, deve almeno nascondere la sua lussuria (passo attribuito a Paolo), «e par loro con questa medicare ogni gran male e con bona ragione persuadere a chi non è ben cauto che tutti i peccati, per gravi che siano, facilmente perdona Idio, purché stiano secreti e non ne nasca il mal esempio. Cosí, con un velo di santità e con questa secretezza, spesso tutti i lor pensieri volgono a contaminare[6] il casto animo di qualche donna;» quindi il loro operare a corrompere le donne: corruzione a partire da quella che è la castità femminile fino a coinvolgere la società. «spesso a seminare odii tra fratelli, a governar stati, estollere l’uno e deprimer l’altro, far decapitare, incarcerare e proscrivere omini, esser ministri delle scelerità e quasi depositari delle rubbarie che fanno molti príncipi». Li accusa addirittura di essere oltre che falsi e invidiosi, fino ad una degenerazione totale che investe le stesse corti: un crescendo, corrompono le donne fino ai principi.
Poi c’è una serie di rappresentazioni sui loro modi di comportamento, su cui non mi soffermo, ma la conclusione è durissima: «Malvagi e scelerati omini, alienissimi non solamente dalla religione, ma d’ogni bon costume; e quando la lor vita dissoluta è lor rimproverata, si fanno beffe e ridonsi di chi lor ne parla e quasi si ascrivono i vicii a laude» perché mai ci sia una pagina così violenta è stato oggetto di perplessità e discussione: in effetti questa tirata è molto forte, inserita in questo punto. E’ possibile che si inserisca in una tradizione a sua volta già umanistica e rinascimentale che è di denuncia dell’ipocrisia dei religiosi, e del loro comportamento col quale macchiano la santità della religione. Non viene detto che sono frati, ma che siano frati è evidente: la rappresentazione è quella topica del frate ipocrita.
Emilia Pio insorge. Infatti Emilia Pio insorge protestando, dicendo che il Magnifico ha tanto piacere a dir male dei frati, che fuori da ogni proposito è entrato in questo ragionamento. Cioè Emilia Pio difende i religiosi: dice che se i religiosi non pregassero per i peccatori, ci sarebbero più peccatori nel mondo. Difende una posizione tradizionale e questo confronto è fatto senza mediazione: c’è una denuncia molto forte ed aggressiva sull’ipocrisia dei religiosi, e in particolare dei frati, e resta da capire perché questo accanimento proprio in questo punto.
C’è chi ha pensato ad una relazione fatta in rapporto all’essere consiglieri dei principi. Quindi probabilmente questa denuncia viene a concentrarsi sui frati, ma ha questo oggetto specifico anche per queste ragioni. In relazione ad Emilia Pio il discorso è più complicato: Emilia difende una posizione tradizionale e devota. Se andiamo a vedere le vicende successive di Emilia Pio, Emilia in realtà è una donna molto più vicina a temi della riforma che a temi della tradizione: e di lei si era detto che apparteneva piuttosto alla riforma luterana che alla chiesa di Roma. Probabilmente vuole porre un baluardo all’interno del suo testo con un richiamo all’ordine per moderare quello che lei vedeva come un attacco troppo violento, quindi viene ricondotto nell’alveo dell’ordine. E a Emilia Pio viene fatta sostenere questa opposizione. Con ciò il Magnifico non deflette da questa posizione, ed è singolare che nella terza redazione il Magnifico porti questa posizione, che in precedenza non era sua! Ma del Paleotto, ma il Magnifico è il fratello di Leone X, quindi una posizione alquanto singolare (la curia di Leone X è stata l’oggetto privilegiato degli attacchi dei riformisti), e tra l’altro Leone X, nel 1507, nel tempo della scrittura, non cera nemmeno! Se noi guardia il progresso della scrittura, probabilmente ci sono cose all’interno di questo testo che potevano essere per i contemporanei più chiare. Questo discorso viene di fatto bloccato. Sottolinea che sta parlando dei buoni, e non dei malvagi, ed aggiunge che in relazione ai malvagi non parla che della millesima parte di quello che sa. Ma Emilia blocca il discorso perché se continuasse, Emilia di alzerebbe, e andrebbe via.
Capitolo XXI
Riprende il filo di quello che stava dicendo, concludendo. «Son contento[7]
– disse il Magnifico Iuliano, – non parlar più di questo;» accetta dunque l’autorità della Pio, e riprende: «ma tornando alle laudi delle donne, dico che ‘l signor Gasparo non mi troverà omo alcun singulare, ch’io non vi trovi la moglie, o figliola, o sorella di merito eguale e talor superiore; oltra che molte son state causa d’infiniti beni ai loro omini e talor hanno corretto di molti loro errori. Però essendo, come avemo dimostrato, le donne naturalmente capaci di quelle medesime virtú che son gli omini, ed essendosene più volte veduto gli effetti, non so perché, dando loro io quello che è possibile che abbiano e spesso hanno aúto e tuttavia hanno» cioè presente, passato «debba esser estimato dir miracoli, come m’ha apposto[8] il signor Gasparo; atteso che sempre sono state al mondo, ed ora ancor sono, donne cosí vicine alla donna di palazzo che ho formata io, come omini vicini all’omo che hanno formato questi signori» passo già visto. Giuliano ritiene di aver concluso la sua dimostrazione sia sul piano di ciò che le donne possono fare per natura, sia nell’affermazione che dal tempo antico al tempo presente continuamente ci sono donne pari agli uomini. E lo dice in relazione a quello che riguarda, in relazione ai grandi uomini, la moglie, la figlia, la sorella. Accanto a grandi uomini, ci sono grandi donne. Naturalmente Gasparo non si accontenta e sfida il Magnifico: «Quelle ragioni che hanno la esperienzia in contrario non mi paion bone;» lo sfida a venire sul campo dei fatti, a produrre le dimostrazioni, di carattere pratico. Ciò che ha dimostrato sul piano razionale non è sufficiente se non è dimostrato sul piano fattuale. « e certo s’io vi addimandassi quali siano, o siano state» sottilineando sempre presente e passato « queste gran donne tanto degne di laude, quanto gli omini grandi ai quali son state moglie, sorelle o figliole, o che siano loro state causa di bene alcuno, o quelle che abbiano corretto i loro errori, penso che restareste impedito[9]». Cioè lo sfida dichiarando di essere convinto che sia impossibile.
Ora, che cosa fa il Castiglione qui in questa parte? Questa parte è quella che subisce meno mutamenti nel passaggio da redazione in redazione, è la più stabile. Ma c’è un lavorio da parte del Castiglione da un lato per quello che riguarda l’introduzione di alcuni esempi nuovi ed eliminazione i vecchi, ma la cosa più importante sono una serie di cambiamenti nella dislocazione degli esempi stessi. Nel modo in cui è condotta l’esemplificazione: come questi discorsi sono stati messi in modo funzionale alla dimostrazione e al contesto del dialogo che viene svolto. La parte del magnifico del resto è la parte più ampia in assoluto, dove il Frigio e Pallavicino è secondario. Quando il ruolo della contraddizione (ecco, il Frigio ha un ruolo che possiamo definire di colore, mentre il Pallavicino interviene in modo più articolato), dicevo, ad un certo punto, quando il Pallavicino assume un ruolo più significativo, si ha all’interno della presentazione degli esempi una svolta: si passa dal magnifico ad un altro personaggio: il Gonzaga che interviene ad interrompere il discorso dicendo che se il Magnifico è d’accordo, proseguirebbe lui. Dal capitolo XL in poi è il Gonzaga a presentare gli esempi.
Non stiamo a seguire qui partitamente tutti gli esempi presentati. Faccio un breve schema di come si svolge la trattazione da parte del Magnifico, e poi vedremo come fa da cerniera l’intervento del Pallavicino e come da questo si passi al Gonzaga.
Scheda: Lo schema degli esempi
Che schema segue il Magnifico?
? Mogli, figlie, sorelle. In primo luogo risponde a tono per quello che riguarda le mogli, le figlie le sorelle.
? Donne che sfidano la morte. Poi introduce il motivo della fermezza e costanza fino al supremo sacrificio della morte. E in questo si sposta fuori dall’ambito familiare, e fa assumente alla donna un’esemplarità di ambito pubblico, la posizione assunta da due donne esemplari nei confronti dei tiranni. Sempre sul tema della morte si sottolinea come la donna sappia affrontare la morte come pochi uomini hanno saputo fare.
? l’amore verso il marito. Si passa poi da questo al tema del rapporto mogli-mariti: o meglio al tema relativo al maggior amore, e maggior grandezza e forza d’amore dimostrato dalle donne verso i mariti.
? l’amore il proprio popolo. Si passa poi ai beni, meriti e qualità dimostrate dalle donne che hanno saputo portare grandi meriti, per quello che riguarda la vita stessa dei popoli, non per quello che riguarda la loro individuale vita.
? la continenza. Si giunge poi a parlare della continenza: e qui si innesta un dibattito più serrato, prima con il Pallavicino, e poi con il passaggio al Gonzaga.
Fonti per gli esempi. Allora, che tipo di esemplificazione fa il Magnifico? Dove sceglie gli esempi? Giuliano sceglie gli esempi soprattutto in prima battuta nel mondo antico, ma vi inserisce a confronto anche esempi del mondo moderno, ma soprattutto, da un certo momento in poi, vuole dimostrare al Pallavicino e al Frigio, che quello che dice non riguarda solo le grandi donne dell’antichità, ma è dimostrabile se si considerano le donne nel corso della storia, e fa una carrellata che va dal tempo tardo antico, fino al mondo contemporaneo: e qui si inserisce una parte encomiastica, perché qui si inseriscono le donne delle corti contemporanee. In relazione a questo discorso viene inserito quel tema della continenza che porta poi ad una svolta nel contesto del discorso di Giuliano e il passaggio al Gonzaga.
? Come è tradizionale e come è innovativo il Castiglione nella scelta degli esempi? Qui c’è il riprendere materiale già usato, ma il Castiglione fa due cose: da un lato usa questo materiale diversamente rispetto ad altri testi precedenti, dall’altro inietta dosi più massicce di una fonte importante in relazione alla sottolineatura della virtù della donne: questa fonte è Plutarco. Più testi di Plutarco, in modo particolare Sulla virtù delle donne, un trattatello di Plutarco. Questo trattatello non è ignoto ad altri trattatisti, ma il Castiglione ne fa un uso sistematico e significativo. In una qualche misura anche un uso strutturale, soprattutto per la parte relativa ai meriti che le donne come in rapporto ad una collettività hanno operato. La sintonia con Plutarco da parte di Castiglione ci viene messa in evidenza subito. Se noi vediamo il proemio di quell’opuscolo di Plutarco sulla virtù delle donne in cui l’autore si rivolge ad una donna, si afferma con grande chiarezza che pari è la virtù dell’uomo e delle donne. Questo testo di Plutarco è uno dei più indicativi nel mondo antico nella sottolineatura di questi aspetti. Non solo ma si mette in evidenza la funzione della storia e li esempi riportati dalla storia in due diverse direzioni: da un lato per la funzione dimostrativa della storia: la storia che attesta i principii che sono sostenuti in questo proemio, cioè l’enunciazione delle pari virtù tra uomini e donne è supportata dagli esempi storici che si rappresenteranno; d’altra parte gli esempi della storia per come sono narrati comportano piacere da parte di chi legge, danno piacevolezza, e per sottolineare il piacere della scrittura viene utilizzata più volte da Plutarco la parola grazia. Danno grazia al discorso. Plutarco viene assunto da parte del Castiglione come fonte e modello particolarmente significativo: se ne serve come materia per la trattazione ma se ne serve anche in un certo senso autorevolmente, mediante il modello, produrre a sua volta delle narrazioni piacevoli sul piano letterario (le storie son tragiche, quindi piacevoli sul piano della scrittura) nel suo testo.
Abile narratore. Che cosa fa infatti il Castiglione? In questa serie di esempi ci dà la prova di essere un abile e notevole narratore, e di saper scegliere il modo di narrare: utilizza la brevitas quando vuole solo introdurre, ma introduce anche il criterio della narrazione continuata: alcuni di questi esempi sono delle vere e proprie narrazioni. Su questo ci soffermeremo in particolare: sulla narrazione di Camma, tragica, e articolata come una novella tragica, dove la fonte di Plutarco viene trasformata, e d’altra parte ci darà la prova di una narrazione nella storia parallela, moderna, che segue, esemplata sull’esempio della novellistica moderna, ma di una novella che è esemplata sulle novelle avventurose e di viaggio di Boccaccio. Quindi quello in cui darò prova il Castiglione è anche quello di avere delle doti narrative: e dare esempio di queste sue doti narrative rientra nell’ottica della grazia stessa.
Varietà interna. Ovviamente l’introdurre tutta questa serie di exempla comporta anche una varietà di genere, perché qui si trasforma a sua volta in una galleria di ritratti esemplari. Ecco uno degli aspetti di questa opera è anche la notevole varietà interna, la capacità di riproporre mediante il trattato generi diversi.
Il ruolo delle donne. In che modo risulta funzionale il dialogo in tutto ciò? Ecco, noi potremmo obiettare al Castiglione in termini di verosimiglianza a questo proposito: cioè il fatto che narrazioni vere e proprie vengono collocate all’interno di un discorso della corte. Ma anche questo è brillantemente risolto proprio attraverso al finzione stessa del Castiglione: sono le donne a chiedere che il racconto si estenda e che quindi il Magnifico assuma il ruolo di Affabulatore. Ma anche il Gonzaga. Sono donne a richiedere che laddove vi siano esempi a loro non noti, allora il Magnifico si soffermi perché esse possano con questo poter dare a loro volta dimostrazione di queste grandi capacità ed eccellenze delle donne, con la conoscenza che dalla narrazione assumono.
Il ruolo dei contraddittori. Qual è il ruolo che rimane ai contraddittori? Cosa cercano di fare il Frigio e il Pallavicino? Allora, il Frigio ha soprattutto la funzione di vivacizzare con battute: gli interventi del Frigio non sono particolarmente accorti sul piano della intelligenza del discorso, non perché il Frigio non fosse intelligente, ma perché rappresentato come colui che ha una pregiudiziale assoluta nei confronti della donne. E quindi interviene con battute, spesso anche facete, e malevole verso le donne. Il Pallavicino rimane sempre un personaggio che ama le sottigliezze: e dunque il Pallavicino continua a contestare l’esempio: o perché in certi casi non è pertinente, o perché il magnifico dice gli aspetti positivi, ma non quelli negativi!
? La resa dei contraddittori. Quando entrambi sono costretti ad arrendersi di fronte a certi esempi all’evidenza dei fatti, allora cosa fanno il Pallavicino e il Frigio? O dicono che si tratta di casi eccezionali, o che si tratta i casi nobili e alti, ma che riguardano donne antiche non ci sono più nel presente, o che sono cose tropo lontane nel tempo, e sono dunque favole, e non fatti reali. Ed è interessante vedere come attraverso queste obiezioni venga ad essere gestita la presentazione degli esempi, e come il Magnifico risponde.
Alcune discrasie. Proprio nel’ultima redazione il Castiglione dimostra di aver saputo ben dislocare gli esempi introdotti attraverso il magnifico. Non significa che tutto torni e sempre tutto vada per il verso giusto. Ci sono in effetti, confrontando seconda e terza redazione, alcune piccole discrasie: una compare proprio all’inizio. Qual è lo schema iniziale di cui si avvale il Magnifico? Uno schema per altro molto noto, di cui si era avvalso il Boccaccio ed altri, lo schema di Valerio Massimo: Valerio tratta prima dei fatti memorabili dei romani, e poi aggiunge quelli del mondo esterno, i barbari: questa stessa espressione usa, in maniera sintomatica, il magnifico. Cioè presenta prima le donne romane, ma dice che ci sono anche le barbare. Per vivacizzare meglio il modo in cui il Magnifico propone i suoi esempi, ci sono in alternanza citazioni brevissime, e racconti più ampi. E in effetti nell’introduzione di questo schema (donne romana – donne barbare) viene dedicato immediatamente un racconto più ampio ad una queste donne non romane: Alessandra, moglie di Alessandro re dei giudei. E’ un esempio ripreso dallo storico Giuseppe Flavio. Ci viene condotto un esempio ampio ed articolato. Esempio che non stava qui nella redazione precedente. Quando successivamente vengono ad essere introdotti altri esempi più brevi, ci sarà la protesta, di margherita Gonzaga che reclama che si debba svolgere più ampiamente la trattazione. Allora, nella seconda redazione non cera l’esempio di Alessandra del capitolo XXII, per cui questo esempio della Gonzaga era ovvio: aveva trattato fino ora troppo brevemente. Qui certamente viene introdotta Emilia che dice, nel capitolo XXII che chiede di dire, in relazione ad Alessandra «come ella fece» ma essendo introdotto già nel capitolo XXII questo esempio ampio, la protesta della Gonzaga sembra meno giustificata. E’ una sorta di lieve difformità rispetto al discorso. E come si fa a rendersi conto di questo? Quella che sembra una protesta eccessiva da parte della Gonzaga nella terza redazione, risulta una protesta giustificata nella seconda. Evidentemente è possibile farlo solo confrontando le due redazioni.
Capitolo XXII
Il magnifico risponde invece che il Pallavicino si potrà stupire non della mancanza ma dell’eccesso di esempi. Questa risposta, in relazione al portare gli esempi è topica: chi risponde risponde su questo piano: gli esempi sono troppi, ed eccedono dalle possibilità di svolgimento.
Cera stata una sfida da parte del Pallavicino a produrre esempi, e il Pallavicino sottolinea che il magnifico farà fatica a trovarne; il Magnifico risponde che in realtà la fatica sarà scegliere tra i troppi esempi. All’inizio segue lo schema dei detti memorabili di Valerio massimo nella distribuzione dei fatti tra le donne romane e le barbare. All’inizio sceglie solo molto brevemente nomi notissimi di donne; poi si sofferma maggiormente sull’esempio di una donna non romana: Alessandra, moglie di Alessandro Re dei giudei, esempio tratto dalle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio.
Scheda: l’uso delle fonti
Parentesi: come per tutto quello che riguarda le fonti c’è un problema preliminare per lo studio delle fonti di carattere filologico: bisogna ricostruire per quanto possibile quali sono i testi di cui si è avvalso l’autore, soprattutto per una parte come questa che di necessità in larga misura su esempi è fondata. Nel caso del Castiglione abbiamo degli elenchi relativi ai libri ricevuti in eredità dal padre e quelli che egli stesso lasciò in eredità al figlio. Abbiamo però più degli indizi che riscontri precisi: in certi casi sappiamo che di certi autori possedeva dei manoscritto, di altri sappiamo che oltre al manoscritto aveva il testo a stampa. Allora evidentemente la prima cosa che deve essere fatta dallo studioso è quello di cercare per quanto possibile, se possibile, quanto meno (non quelli che possedeva il Castiglione, sarebbe troppo difficile) almeno quelli che erano in circolazione al suo tempo.
L’altra operazione è di carattere metodologico, cioè: come ha ripreso il testo dalla fonte. Il testo della fonte che naturalmente vale nella ripresa tanto per quello che c’è, quanto per quello che non c’è: questo come criterio di carattere generale. Ora, che cosa fa in questa parte il Castiglione? Certamente c’è una ripresa in una serie di exempla che comporta innanzitutto una selezione in relazione a tutta una gamma di autori di cui si poteva avvalere. All’interno di ciascun autore seleziona a sua volta. Una volta individuato il singolo esempio come se ne è servito? Innanzitutto per quello che riguarda un discorso generale c’è una attenzione alla rielaborazione in termini letterari e narrativi tali per cui il Castiglione vuole dimostrare la propria ars narrandi. Ed indubbiamente in alcuni di questi esempi dà prova di questa sua abilità. D’altra parte ci sono effetti di manipolazione.
L’eloquenza nelle donne. In questo caso ci presenta la figura di questa donna: perché è celebrata Alessandra? Per la sua prudenza, cioè capacità di giudizio, saggezza, avvedutezza, e d’altra parte anche per la sua eloquenza: perché con le sue parole di fronte ai popoli che odiavano il morto marito di Alessandra che li aveva tenuti in una crudele servitù, con le sue parole riesce ad allontanare dai figli quell’odio che stava per riversarsi su di loro. Di fatto fa gettare il corpo del marito davanti a quelli che lo odiavano, ed esibisce questo per loro, offrendolo come trofeo per il loro odio, chiedendo che venissero risparmiati i figli innocenti. In questo modo riesce ad ottenere che l’odio si plachi, e con parole così convincenti che di fatto i figli hanno la successione al potere del padre, e al corpo del marito viene data onorata sepoltura.
? una ‘piccola omissione. Ora, tutto questo c’è nella fonte. Però, quello che non ci dice il Castiglione è che il consiglio di fare così, glielo aveva dato il marito morente. Questo è un piccolo esempio. Bisogna tener presente che il carattere delle scelte in relazione a questo modo di portare gli esempi ci indica come qui la funzione degli esempi, è persuasiva. Indubbiamente c’è in questo nel modo in cui la fonte è utilizzata, da parte di Castiglione-Lorenzo, un operazione compiuta in maniera da esaltare gli elementi funzionali al suo discorso. Fatto questo esempio su Alessandra torna a parlare brevemente (sta parlando delle figlie, mogli sorelle), dopo aver detto che non sono inferiori appunto ai mariti padri o fratelli, mette in evidenza che di fronte alla morte queste donne hanno dimostrato addirittura forse di essere superiori. Porta alcuni esempi solo per accenni.
Non costanza, ma ostinazione! Si interpone alla fine di questo, il Frigio. Alla fine del capitolo XXII, con una battuta provocatoria, come è proprio del Frigio, fa riferimento ad una accusa consueta nell’ambito misogino alle donne, e cioè di essere ostinate. Dunque un comportamento in eccesso, che virtù non è:
«Dove vada ostinazione certo è[10], – disse, – che talor si trovano alcune donne che mai non mutariano proposito; come quella che non potendo più dir al marito «forbeci», con le mani gli ne facea segno[11] -» qui fa riferimento ad un racconto proverbiale in relazione al fatto che un marito stanco di questa continua richiesta da parte della moglie, la butta in un pozzo, e la donna, caduta nell’acqua non può più parlare, ma fa segno delle forbici con la mano. Poggio Bracciolini riporta nelle sue facezie rendendola in modo che una moglie accusa il marito di essere pidocchioso, il marito la butta in un pozzo, la donna che ancora fino alla fine fa il gesto di schiacciare con le dita un pidocchio.
Capitolo XXIII
Il magnifico rintuzza questa provocazione del Frigio e riconduce il discorso alla misura propria di ciò che egli intende: ridefinisce quello che il Frigio chiama ostinazione, e che è incrollabile capacità di resistere di fronte alla morte, e la ridefinisce come costanza: «La ostinazione che tende a fine virtuoso si dee chiamar constanzia» e qui introduce due altri esempi. Qui usciamo dal contesto più stretto e rigido delle figlie, sorelle e madri, e sono due donne che vengono citate (un esempio è romano l’altro greco) e sono due donne che si mostrarono grandi eccellenti mediante la loro costanza (due donne per altro di bassa estrazione) e resistenza, mancanza di paura fino all’estremo sacrificio, per non tradire coloro che avevano partecipato ad una congiura contro tiranni di cui esse erano consapevoli. I due esempi sono quello di Epicari (liberta, cioè schiava liberata), romana, anche se in realtà era di origine greca, ed è relativa alla famosa congiura dei Pisoni, la fonte classica è Tacito; e l’altra è Leona ed è relativo alla figura Armodio e Aristogitone contro Ippia e questo avviene per l’appunto ad Atene, la fonte è Plutarco.
E’ da dire che entrambi gli esempi sono a loro volta presenti nel De Claris mulieribus di Boccaccio. Non sono di seguito ma ance Boccaccio ne parla come esempi di costanza. Se l’idea di accostarli può venire da Boccaccio, ci sono tratti interni che indicano con chiarezza la presenza della fonte classica: Tacito per la secchezza e l’indignatio per come è costruito l’esempio; per Leona, per il particolare della statua a forma di leonessa. In entrambi i casi c’è una contrapposizione in relazione a ciò che queste donne rappresentano ed altri uomini, in particolare ciò vale per Epicari.
Epicari. Epicari, di fronte ad orribili torture non rivelò mai il nome dei congiurati, e si diede la morte per evitare di trovarsi nella condizione di essere costretta a parlare. Quando invece altri uomini nobili anche solo di fronte al timore della tortura, subito denunciarono tutti, anche gli amici.
Leona. Per quello che riguarda Leona è interessante quello che ci dice il Castiglione e quello che non ci dice. Noi abbiamo in primo piano l’immagine di questa statua: la leonessa di bronzo senza lingua. Per Leona è un esempio di taciturnità e di costanza, legata al fatto che , torturata, per non rivelare i nomi dei congiurati, si recise la lingua. Prima di essere uccisa con grandi supplizi. La taciturnità è rappresentata da questa Leona di bronzo. Perché dico questo? Perché la fonte plutarchéa è rivelatrice in questo: si tratta dell’opuscolo “sulla loquacità”, e quindi l’esempio di Leona è l’esempio della virtù opposta al vizio di eccesso di loquacità. Che cosa fa il Castiglione nel riprendere questo esempio? Dà evidenza a quella che è la costanza della donna, e fa di lei licona di quella virtù che pare opposta a quel vizio che sempre la tradizione misogina attribuiva alle donne: cioè l’essere troppo chiacchierone, l’essere facili a parlare, l’essere garrulae. Ma cosa fa? Il decoro classicistico di Castiglione gli impedisce di mettere in evidenza quello che nel testo di Plutarco c’è, e anche in altre fonti: e cioè il particolare orrendo della lingua mozzata: questo non compare. Questo aspetto del decoro per il quale ci sono cose a cui si deve solo alludere senza parlarne, è aspetto proprio del classicismo cinquecentesco, e in modo particolare del classicismo maturo. Qui come altrove evita particolari di questa natura.
Interviene alla fine al voce di Margherita Gonzaga, una delle poche donne che parlano. Si lamenta perché ritiene che questa opere virtuose siano narrate troppo brevemente dal Magnifico, e contrappone di fatto l’opportunità da parte delle donne di conoscere per farsene onore, e il comportamento dei «nemici l’hanno udite e lette, mostrano non saperle e vorriano che se ne perdesse la memoria». Che Pallavicino e Frigio conoscano bene questi esempi sarà poi messo in dubbio da quello che emerge successivamente. C’è una differenza di cultura messa in evidenza per cui il Magnifico ha una competenza anche sulle fonti letterarie superiori dei suoi interlocutori.
Capitolo XXIV
Il magnifico così sollecitato dalla Gonzaga cosa fa? Dice che parlerà più ampiamente, e introduce sempre sul tema della morte e della capacità di affrontare la morte senza timore, un altro esempio: un esempio con cui: «’l signor Gasparo medesimo confessarà che fanno pochissimi omini;» e comincia con un articolato antefatto. L’episodio è tratto da Valerio Massimo, e mette in evidenza un usanza che cera a Marsiglia secondo la quale se uomo o donna poteva giustificare, portare buone ragioni di fronte al senato di quel popolo, per la propria volontà di morire, e il senato lo approvava, allora questo uomo o donna poteva bere il veleno con il consenso pubblico. L’antefatto è svolto con una certa articolazione dal magnifico. Ma ad un certo punto, quando sta per entrare nel vivo della narrazione «Ritrovandosi adunque Sesto Pompeo…» puntini puntini.. interviene il Frigio, che lo interrompe e gli dice: «Questo mi par, – disse, – il principio d’una qualche lunga fabula» mette dunque in dubbio che di fatto storico si tratti, che si tratti di una novella, e per di più lunga. Il Magnifico Giuliano conclude in un solo ben orchestrato periodo, facendo concisamente una sintesi di Valerio massimo, dice quello che voleva dire: cioè che questa donna, avendo dimostrato con efficacia che con ragione doveva morire, allegra e senza timone alcuno, prese il veleno. Mostrando dunque tanta costanza d’animo e cose nobili, che tutti di fronte a questa incrollabile fermezza «restarono non senza lacrime confusi di molta maraviglia». Anche qui c’è un particolare che il nostro magnifico omette: omette l’età della donna, che era molto avanzata, e proprio in relazione a questa età avanzata, la donna, dichiarando di non voler affrontare i rivolgimenti della fortuna che potevano presentarlesi, ormai alla sua età avanzata , aveva deciso che poteva affrontare la morte e sottrarsi alla fortuna. Una immagine stoica, così come è presentata, ma è evidente che il particolare dell’età non è un particolare da poco, ed è omesso.
Capitolo XXV
L’intervento di Gasparo è a sua volta ironico: Gasparo ha una parte analoga a quella del Frigio, ma più fine come tipologia di interventi, in questo caso è una provocazione: si tratta per lui di un exemplum fictum inventato su due piedi che riprende il tema misogino dell’eccesso di loquacità delle donne e del grande fastidio che poteva produrre ai mariti, a allora produce come esempio il ricordo di un orazione che avrebbe letto nella quale un infelice marito avrebbe chiesto a sua volta di poter bere il veleno perché non ne poteva più delle chiacchiere della moglie. E si introduce allora un battibecco tra il magnifico e il Pallavicino in relazione a mariti e mogli e il Pallavicino sostiene la parte del marito, il fatto che le donne per lo più odiamo i mariti, al contrario il Magnifico sostiene che ovunque si leggano storie si trovano esempi di donne che hanno molto più amato i mariti che il contrario.
Introduzione di camma. Alla conclusione di questo battibecco il Magnifico introduce un esempio. Ma è interessante il modo in cui viene introdotto, perché lo introduce come esempio indiscutibile: «Quando vedeste voi o leggeste mai che un marito facesse verso la moglie un tal segno d’amore, quale fece quella Camma[12] verso suo marito?» ma qui i nostri misogini non lo conoscono: «Io non so, – rispose il signor Gasparo, – chi si fosse costei, né che segno la si facesse. – Né io, – disse il Frigio. Rispose il Magnifico: – Uditelo; e voi, madonna Margherita, mettete cura di tenerlo a memoria».
C’è la rappresentazione qui di quello che è il doppio pubblico interno, da un lato l’esempio si pone a livello dimostrativo-persuasivo di fronte ai misogini che hanno dimostrato di non conoscere quello che è uno dei testi più importanti tra quelli riusati qui, cioè l’opuscolo di Plutarco sulle virtù delle donne: perché l’esempio di Camma è il più significativo tra i medaglioni di Plutarco. Non solo, ma l’esempio di camma torna anche in un’altra opera di Plutarco stesso, un’opera dialogica: L’amatorio, dove l’esempio dimostra l’attaccamento e la estrema fedeltà della donna. Per latro l’esempio di Camma era già stato riusato in una parte della tradizione che riguarda la trattazione relativa alle lodi delle donne, ma non in modo così significativo e fondante come è nel Castiglione. C’è un precedente interessante, che è il De re uxoria, ma che pone l’esempio in una galleria di esempi di donne fedeli al marito, donne che amano il marito e sono fedeli oltre che al marito, alla sua memoria dopo la morte. Il barbaro è un’altra fonte che qui mostra il Castiglione di aver presente. Prima di venire all’esempio, c’è da dire che da un lato c’è il pubblico interno dei misogini, che fa da pubblico che si pone come modello anche del pubblico esterno dei misogini di corte; il secondo piano di pubblico è quello delle donne:le donne non conoscono quegli esempi che possano essere per loro preziosi in difesa del loro onore. Il fatto che gli esempi tratti dalla storia possa essere più adatto alle donne più che i discorsi di carattere filosofico risultava già dalla premessa del De Claris Mulieribus di Boccaccio. Qui è di fatto ripreso, inverato, in relazione al pubblico delle donne di corte.
Capitolo XXVI
Qui viene raccontata la storia di Camma. La storia di camma è interessante per come è svolta da parte del Castiglione: l’autore da una prova della propria ars narrandi, e ripropone questa vicenda, che è narrata informa più schematica in Plutarco, entro una compiuta forma di novella tragica di argomento amoroso.
? Intensificazione della personalità di Camma. C’è una trasformazione del personaggio e della vicenda di camma per quanto riguarda una maggior intensificazione degli aspetti relativi ai pensieri, alle motivazioni, all’essere del personaggio, piuttosto che una concentrazione drammatica sugli eventi come è proprio del testo di Plutarco.
? maggior facoltà oratoria. E c’è una trasformazione ulteriore in una dimensione eroica e patetica della figura di Camma che risulta dalle amplificazioni oratorie, dei discorsi proprio oratori che a Camma vengono attribuiti. Amplificando uno spunto che viene dalla fonte, cioè una apostrofe fatta da camma a Valeriano.
La prima mutazione: il Barbaro. Il processo di trasformazione del testo di Plutarco, di arricchimento sul piano narrativo e rappresentativo per ciò che riguarda il personaggio di camma, è dato già attraverso una prima trasformazione che questo subisce con il barbaro: cioè potremmo dire che Barbaro ha indicato in qualche misura la via al Castiglione, il quale ha proceduto più oltre dandone una novella tragica. Compiuta novella che nella conclusione non casualmente richiama alcuni tratti della conclusione tragica ed eroica della prima novella della quarta giornata del Decameron. Quella di Gismonda. Abbiamo in entrambi i casi un suicidio d’amore in relazione all’amato, ma in condizioni molto diverse.
La mutazione di Ariosto. Come già accennato per quello che riguarda la storia di Camma attraverso il testo del Barbaro ma soprattutto il testo del Castiglione, si avvale poi l’Ariosto per costruire la novella di Drusilla e Tanaacro, nella redazione ultima dell’Orlando furioso. Questo racconto doveva aver sollecitato un interesse.
La storia di Camma
Camma e Sinatto. Come è svolta questa vicenda? In primo luogo abbiamo l’attenzione che si concentra sulla figura di Camma: «Questa Camma fu una bellissima giovane, ornata di tanta modestia e gentil costumi, che non men per questo che per la bellezza era maravigliosa» abbiamo una sorta di climax nella rappresentazione: bellezza esteriore, bellezza interiore. «e sopra l’altre cose con tutto il core amava suo marito, il quale si chiamava Sinatto.» i due nomi sono qui indicati prima quello di Camma, la protagonista, e poi quello del marito. Il nome di colui che si era innamorato di Camma e arriva fino al punto di uccidere il marito per il desiderio di lei, verrà poi fatto inseguito.
Sinorige. «Intervenne che un altro gentilomo» personaggi riportati in un ambito di attualizzazione, perché il termine gentilomo si attaglia bene al contesto di corte cinquecentesco, non al racconto antico.
«il quale era di molto maggior stato[13] che Sinatto e quasi tiranno di quella città dove abitavano, s’innamorò di questa giovane; e dopo l’aver lungamente tentato per ogni via e modo d’acquistarla, e tutto in vano, persuadendosi che lo amor che essa portava al marito fosse la sola cagione che ostasse a’ suoi desidèri, fece ammazzar questo Sinatto». qui tra l’altro il Castiglione modifica, in un altro punto il modello perché stabilisce un divario nello status sociale dei due personaggi: e questo rende più mossa la vicenda: perché abbiamo la prepotenza di colui che essendo superiore vuole compiere un atto di prepotenza verso chi è a lui sottoposto. Inoltre viene ampliato questo antefatto: viene sottolineato il tempo: tempo lungo di un corteggiamento assolutamente inutile, perché la donna ama il marito.
Sinorige ammazza Sinatto. C’è poi la azione, la decisione di ammazzare Sinatto, ma con ciò non ottiene quello che vuole. «Cosí poi sollicitando continuamente, non ne poté mai trar altro frutto che quello che prima avea fatto; onde, crescendo ogni dí più questo amore, deliberò tôrla per moglie, benché essa di stato gli fosse molto inferiore. Cosí richiesti li parenti di lei da Sinorige (ché cosí si chiamava lo innamorato), cominciarono a persuaderla a contentarsi di questo, mostrandole il consentir essere utile assai e ‘l negarlo pericoloso per lei e per tutti loro.» Questi parenti hanno quasi un modo di ragionare di stampo machiavelliano, per dimostrare alla donna che cosa le convenisse fare. L’innamorato omicida è rappresentato come assolutamente travolto da questa passione, al di là di ogni ragione, onestà e rispetto.
Intento fallito di Sinorige. Ma da solo non ci riesce comunque, e fa intervenire i parenti della donna. «Essa, poi che loro ebbe alquanto contradetto, rispose in ultimo esser contenta. I parenti fecero intendere la nova a Sinorige; il qual allegro sopra modo procurò che súbito si celebrassero le nozze» se avete presente il modo in cui si svolge una tragedia, questo è il momento in cui sembra che la vicenda da negativa si volga al positivo, e al felice esito; al contrario questo allentamento non è altro che il preludio al precipitare della catastrofe.
La catastrofe. «Venuto adunque l’uno e l’altro a questo effetto solennemente nel tempio di Diana, Camma fece portar una certa bevanda dolce, la quale essa avea composta; e cosí davanti al simulacro di Diana in presenzia di Sinorige ne bevé la metà; poi di sua mano, perché questo nelle nozze s’usava di fare, diede il rimanente allo sposo; il qual tutto lo bevé» allora, perché davanti alla statua di Diana? Perché in realtà la donna era nota perla sua devozione a diana di cui era una sorta di sacerdotessa, e dunque, di fronte a Diana si svolge questo rito, perché diana sarà chiamata a testimone del sacrificio funebre, che la donna fa a al marito morto, Sinorige. La bevanda dolce è il veleno.
Prima orazione di Camma. Questo ci viene rivelato progressivamente. «Camma, come vide il disegno suo riuscito, tutta lieta a piè della imagine di Diana s’inginochiò, e disse:
«O Dea, tu che conosci lo intrinseco[14] del cor mio, siami bon testimonio, come difficilmente dopo che ‘l mio caro consorte morí, contenuta mi sia di non mi dar la morte e con quanta fatica abbia sofferto il dolore di star in questa amara vita, nella quale non ho sentito alcuno altro bene o piacere, fuor che la speranza di quella vendetta che or mi trovo aver conseguita; però allegra e contenta vado a trovar la dolce compagnia di quella anima, che in vita ed in morte più che me stessa ho sempre amata. E tu, scelerato, che pensasti esser mio marito, in iscambio del letto nuziale dà ordine che apparecchiato ti sia il sepulcro, ch’io di te fo sacrificio all’ombra di Sinatto».» molto studiata questa orazione, questa apostrofe di Camma a Diana, basta vedere i parallelismi, la collocazione delle parole, le note patetiche: la sottolineatura del dolore in cui è vissuta, e il ricorrente tema del suididio. D’altra parte dopo l’apostrofe a diana , sposta l’attenzione a Sinorige scelerato, e gli dichiara che in quel momento sta per morire, perché in quel momento sta facendo il sacrificio funebre.
Tentativi di Sinorige di Salvarsi. Si torna alla diegesi, e alla conclusione della vicenda: Sinorige è concentrato sulla sua paura di morire. «Sbigottito Sinorige di queste parole e già sentendo la virtú de veneno che lo perturbava, cercò molti rimedi; ma non valsero; ed ebbe Camma di tanto la fortuna favorevole, o altro che si fosse, che innanzi che essa morisse seppe che Sinorige era morto» il racconto di Plutarco di fatto finisce così. Ci spiega anche i diversi rimedi tentati da Sinorige, che il Castiglione omette, per sintetizzare, ma cosa fa il Castiglione?
Seconda orazione. Nella parte finale amplifica ulteriormente i termini patetici e tragici della vicenda, duplicando il discorso: se nella fonte c’è l’apostrofe fatta a diana, qui c’è una second apostrofe fata all’ombra del marito morto. «La qual cosa intendendo, contentissima si pose a letto con gli occhi al cielo, chiamando sempre il nome di Sinatto e dicendo: «O dolcissimo consorte, or ch’io ho dato per gli ultimi
doni[15]
alla tua morte e lacrime e vendetta, né veggio che più altra cosa qui a far per te mi resti, fuggo il mondo e questa senza te crudel vita, la quale per te solo già mi fu cara. Viemmi adunque incontra, signor mio, ed accogli cosí voluntieri questa anima, come essa voluntieri a te ne viene»: e di questo modo parlando, e con le braccia aperte, quasi che in quel punto abbracciar lo volesse, se ne morí.»
Gismonda. La conclusione, anche qui studiata retoricamente con anafora continuata del pronome di seconda persona, e la gestualità, richiama la conclusione della novella di Gismonda: la quale beve il veleno nella coppa dove c’è il cuore del marito fatto uccidere dal padre. Alcune delle parole di Gismonda sono qui riprese, per realizzare quella dimensione tragico eroica propria di questo genere di novella.
Finito il racconto si passa al dialogo: « Or dite, Frigio, che vi par di questa?» il Frigio naturalmente interviene per smorzare un po, siamo nel contesto della sprezzatura propria di Castiglione: all’apice della dimensione tragico eroica, e non si potrebbe procedere troppo. E il Frigio dice: «Parmi che voi vorreste far piangere queste donne.» come se il magnifico sfruttasse l’effetto che creerebbe un racconto di questo genere.
E d’altra parte la sua risposta non è un contrapporre esempio ad esempio: uno degli aspetti di questa parte è che non è una contrapposizione di esempi, ma solo fino ad un certo punto, quando sarà il Pallavicino a tentare di proporre esempi di virtù maschile. Il Frigio dice che donne del genere non si trovano più al mondo.
Capitolo XVII
La moderna novella. Allora il magnifico introduce un esempio moderno, legato alla esperienza stessa del parlante, perché l’esempio moderno è richiamato ad inverare l’esempio antico: non è vero che donne di questo genere si trovano solo tra esempi che noi leggiamo di donne antiche. La novella che qui ci è prospettata ha un taglio moderno. Nuovo. [45:00] nel senso di appartenente ad un’area non di appartenenza del mondo classico, ma che potremmo definire di pertinenza della novellistica dal trecento in poi. Una novella contrassegnata dai temi di viaggio e avventura: un racconto che assomiglia, non per la conclusione tragica ma per la cattura da parte dei soldati e la prigionia da parte del marito, alla novella di Landolfo Rufolo. Questa novella è contrassegnata da dati di carattere avventuroso – romanzesco: per più di una buona metà la figura della moglie non compare neppure.
Il protagonista è il marito, un gentiluomo pisano di nome Tommaso della cui famiglia non si parla, ma noto per la vicenda personale, e vicino a quello che avevamo sentito raccontare al magnifico, che appunto era stato catturato dai mori e si era difeso egregiamente; nella difesa aveva ucciso uno dei capitani delle navi dei mori, le fuste; era stato trattato duramente e non era poi stato liberato a differenza dei suoi compagni catturati con lui. Questa sua prigionia ormai durava a lungo, perché gli altri erano tornati, ed avevano riferito alla moglie che si chiamava Madonna Argentina, quale era la vita dura e gli affanni di Tommaso, il quale «la dura vita e ‘l gran affanno in che messer Tomaso viveva ed era continuamente per vivere senza speranza, se Dio miraculosamente non l’aiutava.». allora interviene d i fatto la Pìetas filiale e il coraggio di uno dei figli, il quale senza paura di pericoli o di morte, riesce a liberare il padre. Il padre arriva a Livorno prima che si sapesse che fosse partito. Livorno è vicino a pisa, e una volta al sicuro: «Di quivi messer Tomaso sicuro scrisse alla moglie e le fece intendere la liberazion sua, e dove era, e come il dí seguente sperava di vederla. La bona e gentil donna, sopragiunta[16] da tanta e non pensata allegrezza di dover cosí presto, e per pietà e per virtú del figliolo, vedere il marito, il quale amava tanto e già credea fermamente non dover mai più vedere, letta la lettera, alzò gli occhi al cielo e, chiamato il nome del marito, cadde morta in terra; né mai con rimedi che se le facessero, la fuggita anima più ritornò nel corpo. Crudel spettaculo, e bastante a temperar le voluntà umane e ritrarle dal desiderar troppo efficacemente le soverchie allegrezze!». Tanto era l’amore della donna che era bastato il pensiero di rivedere il marito da crearle un emozione così grande da condurla alla morte. Questo è il motivo, il tema portante di questo esempio, e verrà contestato dai due misogini.
Questo esempio, per come è proposto darebbe adito a più significati, difatti l’esclamazione finale assume il carattere di una sentenza finale, non solo in relazione al Crudel Spettaculo, ma al fatto che uno spettacolo di questo genere è sufficiente a temperare le volontà umane e a ritrarle dal desiderare troppo efficacemente le eccessive gioie. Ma l’esito in questo caso è un esito di morte da parte della donna per un eccesso di gioia.
La correzione del Valier. Prima di arrivare al commento degli altri due personaggi c’è un particolare interessante. Avevo accennato al fatto che sul manoscritto L interviene in maniera piuttosto ampia la mano che il Ghinassi indica come la mano Lγ, che Ghinassi ha avuto il merito di riconoscere per la mano del Valier. Ed è un intervento interessante perché si vede proprio nel manoscritto la correzione a margine, e si legge anche quanto aveva causato questa mano del Valier, e resta leggibile ciò che cera precedentemente.
Personaggio noto alla corte. Precedentemente il riferimento non era a questo gentiluomo pisano di cui si dice solo il nome e non la famiglia, ma era un gentiluomo di Verona di cui è detto nome e cognome, si chiamava Michele Verità, «padre del nostro verità»: padre di un personaggio conosciuto al pubblico interno del Cortegiano. Come mai questo Michele Verità era stato allontanato dalla famiglia? Perché i signori veneziani per sospetti presi contro di lui, lo avevano mandato ai confini, confinato a Candia: una situazione politica scottante, imbarazzante. Anche perché il figlio che era intervenuto a liberarlo dai confini lo aveva fatto fuggire dal luogo del confino: una situazione che presentava aspetti molto diversi rispetto al fatto di essere stato liberato dalla prigionia dei mori! E questo Michele Verità era arrivato nel mantovano e la sua presenza li era stata scoperta perché era stato visto al matrimonio di Francesco Gonzaga e Isabella d’Este. E quindi la situazione si aera fatta scottante: erano intervenuto i signori veneziani sulla signoria di Mantova ed era stato fatto ritornare ai confini. Questa ultima cosa nel testo non c’è: nel testo si parla solo del suo ritorno mantovano, e della lettere mandata alla moglie, e la vicenda poi finisce come è nel testo ultimo. Quello che riguarda il fatto che era stato visto al matrimonio, e poi era stato fatto tornare ai confini ci risulta, non dalla mano del Valier, ma dalla cronaca di anonimo veronese. Si rifà ad un effettivo fatto di cronaca, almeno per quello che riguarda l’allontanamento del personaggio, la liberazione fatta da parte del figlio e il suo ritorno presso un luogo vicino. Questa vicenda è della seconda metà del quattrocento: un fatto evocato come esperienza conosciuta da persone che conoscevano i protagonisti. La mano che corregge è quella del Valerio: forse per opportunità, dal punto di vista politico. E’ impossibile che l’autore non fosse al corrente di una correzione così rilevante sul piano del contenuto, comunque stiano le cose c’è un altro aspetto che corrisponde bene al modo correttorio del Castiglione rispetto alla sua opera tipico della terza redazione. Cioè togliere via per quanto è possibile tutti dati più specificamente legati alla cronaca. Questo è un altro aspetto proprio della dimensione di maturo classicismo da parte del Castiglione. Diciamo che il livello a cui è portato il trattato esclude che ci siano dei riferimenti troppo diretti collegati a ciò che è proprio del cronachistico, contingente, quotidiano o troppo realistico. Qui la novella è travestita in modo da non fare riferimento a cosa si trattasse, ed è calata in una dimensione prettamente novellistica di stampo boccacciano.
Capitoolo XXVIII
L’esempio si presta però ad essere discusso: naturalmente il primo intervento è del Frigio e non può che essere provocatorio come è nel personaggio. Il Frigio insinua che la moglie morisse di dispiacere dal momento che il marito tornava a casa! E il magnifico in questo caso risponde per non lasciare adito a nessun dubbio possibile, e non lascia cadere la provocazione come tale. La dimostrazione da cosa è data? Come si fa dedurre le cause di questo comportamento? Evidentemente perché il resto della vita della donna non si accordava a quello che dice il Frigio, mentre questa morte improvvisa si accordava bene alla troppa allegrezza, e al fatto che ella amava, come noto, il marito. Con una conclusione in cui arieggia quasi un tratto petrarchesco. Tratta dal desiderio la sua anima volasse subito, dove era volato il suo pensiero..
Il Pallavicino invece contesta la pertinenza dell’esempio su due piani: da un lato mette in evidenza che più che virtù qui si è trattato di eccesso, un eccesso di amorevolezza: «Po esser che questa donna fosse troppo amorevole, perché le donne in ogni cosa sempre s’attaccano allo estremo, che è male;» e difatti è male quello che ne consegue per lei, il marito e i figli. D’altra parte il Pallavicino ritiene che l’allegazione di questo esempio sia inopportuna: «Però non dovete già allegar questa per una di quelle donne, che sono state causa di tanti beni». Qui Giuliano ha ragione facile nel rispondere a questa ultima obiezione perché non si è mai sognato di dire che questo esempio è di una donna causa di tanti beni: « Io la allego per una di quelle che fanno testimonio che si trovino mogli che amino i mariti;».
D’altra parte, la battuta del Pallavicino è funzionale a condurre avanti il discorso. Fin qui abbiamo visto questa prima sezione degli esempi. Adesso si introduce la sezione degli esempi relativi alle donne che sono state causa di molti beni. E di questi dice: «di quelle che siano state causa de molti beni al mondo potrei dirvi un numero infinito». Tenete presente che sotto questo aspetto negli scritti in lode delle donne cera l’abitudine di fare delle ampie rassegne che partivano da figure femminili della mitologia ed arrivavano al mondo contemporaneo. Qui questa breve rassegna è caratterizzata dalla presenza di alcuni di questi riferimenti però è resa molto sintetica, molto abbreviata, e per il momento si ferma al mondo antico. Per dare un idea qui sa bene di narrare cose tanto antiche che quasi paiono favole, perché parla di donne inventrici, perché tira fuori nomi mitologici: Pallade, Cerere, le Sibille eccetera, poi Aspasia, e nomi di donne note come celebri poetesse del mondo antico da cui per esempio Corinna e Saffo.
Capitolo XXIX – Donne causa di beni
Donne causa di beni. Ma non è su queste donne che si vuole fermare: vuole piuttosto mettere in evidenza quelle donne come collettività furono protagoniste di molti benefici per quanto riguardava il mondo: popoli, intere città o ambiti analoghi. E’ a questo punto che il Castiglione si avvale, tramite il Magnifico, dello schema della prima parte del trattatello sulle virtù delle donne di Plutarco e lo usa in funzione strutturante: perché inserisce gli esempi tratti da Plutarco in questo schema ma vi inserisce anche tutti gli altri esempi che mette lì. Scelgo alcuni punti interessanti.
Le Troiane e le Sabine. Qui quello che interessa è il bene che le donne fecero a Roma in primo luogo. Allora, qui ovviamente leggenda e storia sono poste sullo stesso piano, questo è ovvio. Nello schema ci sono prima le troiane e poi le Sabine. In relazione alle sabine c’è un aspetto interessante nel modo in ci è svolto il racconto dove vengono assunte come figure centrali le donne che impediscono la guerra tra i sabini e Romolo, e impediscono che questa guerra sia fatta in modo tale da colpire coloro che appartengono da un lato alla famiglia dell’origine, i padri (perché le donne sabine erano state rapite) e dall’altro la nuova famiglia che si è formata, cioè il marito. E riescono a impedire la guerra mettendosi in mezzo alle armi con i figli in braccio. C’è una notevole abilità nel valorizzare gli aspetti ‘scenici e patetici raffigurati attraverso queste donne e l’effetto che si produce.
Capitolo XXXI
La manomissione delle fonti. Qui però nel racconto fatto, Gasparo, che pure loda le Sabine, ha buon motivo per accusare il magnifico per non aver citato un fatto che non sarebbe certo in lode delle donne. Potremmo dire che emerge qui scopertamente, quel motivo di manomissione delle fonti che in effetti anche altrove tacitamente fa il Castiglione, ma questo è abbastanza grosso, e non può essere taciuto. Qual è il nome che non viene fatto da giuliano? Quello di Tarpèa, e cioè la donna traditrice che aveva mostrato ai Sabini il modo di poter occupare il campidoglio, la donna che aveva rischiato di produrre in questo senso la rovina dei romani.
Per una mala, mille bone. Allora, la risposta non può essere di negare il fatto che il Pallavicino sotto questo profilo aveva ragione, e qui la strategia del magnifico è differente: quello che conta non è solo la qualità degli esempi, ma anche la quantità: «Voi mi fate menzion d’una sola donna mala ed io a voi d‘infinite bone;» e così di fatto potrebbe produrre mille altri esempi delle utilità fatte a Roma dalle donne. Cita in opposizione elle stesse lodi che cicerone aveva fatto di se stesso quello che era stato operato da una donna, per di più di basse condizioni e di cattivi costumi e cioè Fulvia nella scoperta della congiura di Catilina, riconoscendo il maggior merito di Fulvia rispetto a cicerone.
Primo tentativo di interruzione. E qui il Magnifico comincia a voler chiudere il discorso: vuole sottrarsi a continuare questo discorso, ritiene di aver già detto a sufficienza, che questo discorso può essere diventato lungo e fastidioso, ritiene di aver soddisfatto l’incarico che gli è stato conferito, e pensa che si possa concludere questa parte di esempi. Ma questo non gli è consentito: è un primo tentativo, poi farà un tentativo successivo.
Capitolo XXXII
Tira e molla. Interviene infatti Emilia: non vuole che si cessi di narrare delle opere delle donne, non vuole che alle donne vengano tolte le vere lodi che gli sono debite, e invita il magnifico a ricordarsi che al pubblico interno femminile è gradito questo discorso che non è affatto gradito forse a Ottaviano Fregoso e a tutti gli altri che sono nemici delle donne. Il magnifico non vuole più parlare, le donne vogliono che egli parli, c’è questa rappresentazione in termini diegetici che vorrebbe rappresentare l’evocazione di una rappresentazione in atto secondo verosimiglianza, e poi il Magnifico di fronte alle preghiere delle donne accetta di continuare a parlare ma dice ironicamente che per non farsi ulteriormente nemici i misogini dirà «brevemente» e finge di parlare secondo quello che gli viene in mente al momento.
Il gesto osceno delle persiane. Introduce ancora esempi di quelle donne che agiscono come collettività, esempi che vengono da Plutarco: due sono esempi delle donne di Chio, gli altri riguardano le persiane. Sono esempi che rappresentano la virtù militare. E che introducono l’altro aspetto del tema: non soltanto i molti benefici fatti dalle donne, ma la loro capacità di correggere gli errori fatti dagli uomini; ancora una volta troviamo l’eliminazione di quello che nell’esempio di cui parliamo poteva essere colto come indecoroso, ed è in relazione all’esempio delle donne dei persiani. «Avendo ancor Ciro in un fatto d’arme rotto un esercito di Persiani,» ecco, tenete presente che qui da un punto di vista linguistico il significato è diverso rispetto al consueto: di solito i termini militari quando si rompe un esercito, si sconfigge l’esercito del nemico, qui invece di fatto è l’esercito di Ciro, cioè l’esercito di Ciro è stato portato a sconfitta dal proprio stesso comandante. «essi in fuga, correndo verso la città incontrarono le lor donne fuor della porta, le quali fattosi loro incontra dissero: «Dove fuggite voi, vili omini? volete voi forsi nascondervi in noi, onde séte usciti?» Queste ed altre tai parole udendo gli omini e conoscendo quanto d’animo erano inferiori alle lor donne, si vergognarono di se stessi, e ritornando verso i nemici, di novo con essi combatterono e gli ruppero[17]» che vuol dire li sconfissero.
Allora qui è detto molto pudicamente quello che è espresso con chiarezza nelle parole e nel gesto delle donne persiane che si alzano le vesti nei confronti degli uomini invitandoli a tornare dove sono usciti. Qui è solo all’uso, senza nessuna indicazione del gesto, e anche qui ricondotto al decoro della rappresentazione.
Capitolo XXXIII
Secondo tentativo di interruzione. Di nuovo c’è un pausa e di nuovo il Magnifico chiede licenza di poter finalmente tacere. Ma qui Gasparo insinua che «deve» tacere perché non sa più che cosa dire. Ma il Magnifico continua dicendo che se fa così lo costringerà ad ascoltare per tutta notte lodi di donne. E qui di nuovo sinteticamente evoca altre lodi: delle spartane, delle saguntine, delle donne dei Teutoni e di altre dicendo che: «tutte le antiche storie ne sono piene».
Ma sarà vero? A questo punto arriviamo ad un altro modo di carattere , e cioè il dubbio che era già stato avanzato da parte del Frigio, qui viene enunciato in maniera determinata dal Pallavicino:
e chi ci dice che abbiano detto la verità? «Dio sa come passarono[18] quelle cose;
perché que’ secoli son tanto da noi lontani, che molte bugie si posson dire e non v’è chi le riprovi[19]».
Questa che sembrerebbe una battuta quasi da luogo comune in realtà ha un peso non indifferente se consideriamo che cosa significala storia, e in particolare la storia antica a partire dall’umanesimo: la storia come esempio, basti pensare a come si avvale degli esempi della storia antica il Machiavelli, senza necessità di altri esempi. Qui viene messo in dubbio ciò che riguarda la veridicità di quello che gli antichi scrittori hanno tramandato.
Capitolo XXXIV
Come abbiamo visto per Camma dove si dice che non solo le donne antiche erano virtuose, il magnifico ora afferma che in ogni tempo ci sono tramandati racconti che ci dicono che le virtù delle donne sono come quelli delle storie antiche. Ma non solo, in ogni tempo, anche il tempo contemporaneo in relazione all’esperienza degli stessi ascoltanti. E allora qui comincia una ampia rassegna che parte dal mondo tardo antico per arrivare alla contemporaneità.
Da Matilde di Canossa ai presenti in Urbino. Il passo che ci sposta verso la contemporaneità viene compiuto con la citazione di una famosa donna del medioevo e cioè Matilde di Canossa, che introduce un elemento di carattere encomiastico verso il Canossa. Dopodiché si fa riferimento alle famose casate nobili appunto a tutti note, i Gonzaga, gli Este, i Pio, ma non vuole soffermarsi su quello che tutti conoscono, non vuole dare il Castiglione alla sua opera una dimensione locale, né vuol dare una dimensione italiana: esce dai confini.
Fuori d’Italia. Il personaggio dice «per uscire ora fuori di Italia» e poi fa un encomio, e cita quelle famose donne non solo nobili ma appartenenti all’ambito della regalità che si dimostrarono non inferiori ai loro mariti, e parla della regina Anna di Francia (moglie di Carlo ottavo e poi di Luigi XII), parla della figlia dell’imperatore Massimiliano, Margherita, a sua volta educatrice di Carlo V, ma soprattutto si inserisce un amplissimo elogio di Isabella di Castiglia, morta da poco, ma l’ampiezza della celebrazione non può sfuggire. E non può sfuggire nemmeno il tono e il peso di questa celebrazione, fatta con notevole acume politico. Teniamo presente quale sia la posizione del Castiglione alla fine della sua scrittura: teniamo presente non solo la dimensione europea, ma anche la dimensione politico-diplomatica in cui è inserito il Castiglione. Teniamo presente che l’ampliamento dell’elogio di Isabella è aggiunto dalla mano di Castiglione su L: dopo di fatto la fase di trascrizione del 24. E realizza di fatto una rappresentazione di colei che incarna la figura del perfetto principe, del principe ideale, dotata di tutte le virtù del’animo, di coraggio, delle virtù politiche e di una autorevolezza che dura nel tempo: ancora viva la sua presenza da morta per quella che è la sua eredità lasciata a i popoli. Un altissimo elogio che certamente ha a che vedere con la statura, rispetto alle altre figure ricordate, di Isabella di Castiglia, ma anche certamente con un motivo di carattere encomiastico poiché Isabella è la Nonna di Carlo V. Di Isabella vengono celebrate le virtù che in questo caso seguono un confronto fra lei e il marito Ferdinando di Aragona che certamente viene celebrato altrettanto dal Castiglione mediante la voce del Pallavicino in prima battuta, e l’accordo del Magnifico. Ma il Magnifico insiste sul fatto che le lodi di Isabella non possono essere diminuite anche se la si confronta con la figura del marito. Anzi una delle lodi di Isabella è quella di essere stata lei la moglie e sovrana per eccellenza scelta da Ferdinando.
Le doti personali. Quali sono le doti ricordate? Qui abbiamo una visione di qualità che sono proprie del principe ideale. Qui ritorna ad un’ottica analoga a quella degli specula principum, dove appunto si parla di lei come «il più chiaro esempio di vera bontà, di grandezza d’animo, di prudenzia, di religione, d’onestà, di cortesia, di liberalità, in somma d’ogni virtú» virtù non soltanto date dalla fama, ma dalla testimonianza di quelli che videro in azione la sovrana.
Le doti politiche. La sovrana non è però vista come lodata solo di queste virtù ideali, ma le virtù sono incarnate nell’agire politico: si esaminano alcune delle azioni politiche più importanti compiute dai reali di Spagna al loro tempo e si ascrive il merito anche Isabella. Anche nella capacità di scegliere delle persone di cui circondarsi, come il famoso Gran capitano, Gonsalvo di Cordoba.
Il ricordo nel tempo. Che cosa dimostra la capacità di restare nel tempo della sovrana? Quello che rimane di lei:
«Onde nei populi verso di lei nacque una somma riverenzia, composta d’amore e timore;
la quale negli animi di tutti ancor sta cosí stabilita[20],
che par quasi che aspettino che essa dal cielo i miri e di là su debba dargli laude o biasmo;
e perciò col nome suo e con i modi da lei ordinati si governano ancor que’ regni, di maniera che, benché la vita sia mancata, vive l’autorità, come rota che, lungamente con impeto voltata, gira ancor per bon spacio da sé, benché altri più non la mova.» nota questa importante persistenza nel tempo, e questo significato fondamentale, questo carisma che fu proprio della regina Isabella, poi il tutto è calato nei toni che sono propri di un encomio rinascimentale. Quindi è ovviamente alto nei termini usati, storicamente costruito, molto ampio: e anche l’ampiezza è significativa: è la più elogiata in termini di ampiezza.
Capitolo XXXVI
Le donne d’Italia. Si torna in Italia. Si mettono in evidenza alcune delle donna importanti, mogli di principi, o sovrane. Si parte dal regno di Napoli, si giunge in Lombardia e si torna a Napoli: in Lombardia naturalmente si ricordano le donne d’Este e Gonzaga: Isabella d’Este, ovvio, Beatrice d’Este, sposa di Ludovico il Moro, e la madre di Entrambe, Eleonora di Aragona. Ultima ricordata è colei che perse il regno di Napoli seguendo il marito, stoicamente capace di seguire la cattiva sorte dopo non essersi inorgoglita della buona sorte: Isabella, moglie di Federico che perse il trono conquistato dagli spagnoli: donna capace di resistere ai colpi dell’avversa fortuna e seguire il marito nel’esilio.
Si torna circolarmente ai tempi moderni: le Pisane che seppero resistere stoicamente ai fiorenti (anche donne di basso stato) e il riferimento è a uno dei tanti episodi della guerra compiuta da Firenze contro pisa. E poi circolarmente si torna ad evoca alcune donne famose di cui non si fa il nome: «alcune eccellentissime in lettere, in musica, in pittura, in scultura;» nella redazione precedente si facevano alcuni nomi, qui sono cassati. Tutte queste donne sono raccolte solo nell’alveo della notorietà: esempi a tutti notissimi. Ancora una volta dunque il discorso si potrebbe chiudere. Alla fine dice il Magnifico: « Basta che, se nell’animo vostro pensate alle donne che voi stesso conoscete, non vi fia difficile comprendere che esse per il più non sono di valore o meriti inferiori ai padri, fratelli e mariti loro;» la prima sezione che abbiamo visto. «e che molte sono state causa di bene agli omini» la seconda parte «e spesso hanno corretto di molti loro errori; e se adesso non si trovano al mondo quelle gran regine, che vadano a subiugare paesi lontani e facciano magni edifici, piramidi e città;
come quella Tomiris, regina di Scizia, Artemisia, Zenobia, Semiramìs, o Cleopatra[21],
non ci son ancor omini come Cesare, Alessandro, Scipione, Lucullo e quegli altri imperatori romani».
Come si conclude dunque il discorso del Magnifico per la storia antica e moderna? Se c’è una differenza, la stessa differenza c’è anche nel vizio e nella virtù: non ci sono più quelle grandi donne antiche? Non ci sono nemmeno i grandi uomini antichi. Non si può dire che questo riguarda il passato, riguarda tutti i tempi, e riguarda tanto gli uomini quanto le donne.
XXXVII – il problema della continenza
Le citazioni fatte sono però un invito a nozze per Frigio: qui si apre una successiva sezione che conduce tutto il resto degli esempi: cioè il problema relativo alla continenza, e con ciò torniamo al tema visto introdotto alla fine del secondo libro. Che cosa dice il Frigio? Ha sentito i nomi di Cleopatra e Semiràmis: Semiràmis appunto, un invito a nozze:
«Non dite cosí, – rispose allora ridendo il Frigio, – ché adesso più che mai si trovan donne come Cleopatra o Semiramis; e se già non hanno tanti stati, forze e ricchezze,
loro non manca però la bona voluntà di imitarle almen nel darsi piacere
e satisfare più che possano a tutti i suoi appetiti[22]».
Al che il magnifico rimprovera il Frigio: «volete pur, Frigio, uscire de’ termini:
ma se si trovano alcune Cleopatre, non mancano infiniti Sardanapali[23];
che assai peggio» Sardanapalo, ricordato anche dantescamente come lussurioso per eccellenza.
L’incontinenza delle donne. Ma rinasce in ogni caso il problema della continenza, e qui il Magnifico non porta più esempi. Ha finito la sua parte degli esempi, e ci si confronta di nuovo sul tema della continenza. E qui di nuovo ritorna il Frigio ad affermare sul fatto del paragone di continenza fra uomini e donne: il Pallavicino dice che non si possano confrontare sul piano della continenza uomini e donne, dicendo che non è vero che gli uomini sono più continenti delle donne, ma non si possono paragonare perché l’incontinenza nelle donne è vizio molto più grave di quanto non sia nell’uomo, perché ne nascono effetti negativi molto più forti. E qui si capisce che la preoccupazione maggiore è quella della certezza della discendenza: dall’incontinenza femminile mancherebbe questa certezza. Se noi teniamo presente che siamo in un contesto di carattere nobile con ancora ascendenze feudali, questo è tema scottante e importante. In virtù di questo il Pallavicino insiste col dire che l’incontinenza femminile è grave per gli effetti che comporta.
XXXVIII
Più virtuosi, e quindi più viziosi. Il magnifico però non intende accettare un piano di discorso del genere, dimostrandone la incongruenza di carattere logico: perché è evidente proprio nel contesto della generazione che il rapporto sipone tra uomi e donna, e gli risponde il primo luogo:
«Allora il Magnifico,
– Questi, – rispose, – veramente sono belli argumenti che voi fate e non so perché non gli mettiate in scritto[24].».
e d’altra parte dice che non è possibile che possa essere giudicata nelle donne vituperosa la vita dissoluta e negli uomini no, dal momento che se è vero che gli uomini come dice il Pallavicino sono più virtuosi, allora sono anche più viziosi nell’essere incontinenti: se hanno maggior forza per loro natura a resistere, allora quando cadono nel’incontinenza sono più viziosi nelle donne. E d’altra parte se soltanto le donne sono lascive e non solo gli uomini, non potrebbero mica generare da sole! La generazione è data dal concorso degli uni e degli altri.
E allora si pone nelle vesti del buon cavaliere il Magnifico: e difende i deboli, e difende in primo luogo la verità, e non accetta le calunnie sulle donne, ritiene che sono gli uomini che hanno rivendicato a sé una licenza di fare quello che vogliono e nelle donne le loro stesse azioni sono castigate se non con la morte, con la eterna infamia. E d’altra parte questa infamia data alle donne è effetto anche della calunnia da parte degli uomini: si pone come buon cavaliere che stima che ogni buon cavaliere debba difendere quando sia necessario con le armi, non solo metaforicamente, la verità e soprattutto quando conosce che qualche donna è falsamente calunniata ed accusata di essere disonesta.
XXXIX
Il Pallavicino apparentemente fa una grande concessione: è d’accordo: non solo nel difendere come buon cavaliere la buona fama delle donne, ma anche nel coprire le eventuali mancanze chele donne hanno fatto: se le donne sono state inclini a prendere comportamenti non adeguato in questo. D’altra parte le donne sono da lui giudicate molto più inclini agli appetiti proprio per la debolezza e imbecillità del sesso. Sono molto più inclinate degli uomini a questo.
Non per virtù ma per vergogna. Se si astengono dal soddisfare i loro desideri lo fanno per vergogna, per timore di infamia: non perché sia la loro volontà ad agire. D’altra parte è giusto per questa imbecillità, debolezza, che gli uomini abbiano posto un freno mediante la vergogna, il timore di infamia. Anche perché qual è l’utilità che il mondo ha dalle donne? Pallavicino non si smentisce: è quello di generare figlioli, e questo non interviene negli uomini, che hanno grandi cose da compiere! Governano eccetera. La palma della virtù e della continenza dunque spetta agli uomini perché quando gli uomini pongono un freno ai loro appetiti lo fanno volontariamente, per scelta, non per paura di infamia. E questo è affermato mediante esempi.
Esempi di continenza maschile. Ecco che si capovolgono le parti, e il Pallavicino, che pur non declinando dal suo atteggiamento dubbioso, presenta alcuni esempi che secondo lui sono indiscutibili e dimostrano la grande continenza da parte degli uomini: esempi famosi come Alessandro Magno nei confronti delle donne bellissime di Dario che avrebbe avuto come conquistatore di Dario di diritto ma se ne astenne; Scipione africano, altro esempio celebrato, che si astenne dal violare una donna che gli era venuta nelle mani e che stava andando dal legittimo sposo; e poi cita altri due esempi: uno di carattere filosofico: Senocrate così continente che avendo presso di sé una meretrice tutta notte che cercava di sedurlo, non si fece smuovere in nessun modo, e di Pericle che censurò anche solo la parola detta da Sofocle che lodò la bellezza di un fanciullo e fu ripreso aspramente da Pericle. Vuole affermare con ciò la superiore continenza degli uomini.
Il Gonzaga qui interviene come secondo campione e porta esempi moderni ma smonta gli esempi del Pallavicino e lo mette in ridicolo.
note:
[1] – maledetti: dannati.
[2] – scordati: dimentichi.
[3] – Cfr. Matteo, VI.
[4] – affumati: luridi.
[5] – Il Cian ritiene che la frase fosse una falsificazione o cattiva interpretazione di un passo di san Paolo (Ai Corinzi, XV), ancora ritenuta autentica da gran parte degli autori del Cinquecento. Però dal contesto pare che venisse attribuita a un fondatore o personaggio eminente («una certa autorità di suo capo») di qualche ordine religioso, non all’Apostolo.
[6] – Sedurre, indurre in pensieri di peccato.
[7] – Son contento: Acconsento a.
[8] – apposto: rimproverato.
[9] – impedito: imbarazzato.
[10] – Frase poco chiara. Il senso però è questo: se si tratta di ostinazione (se ci vuole ostinazione), è certo.
[11] – Allude a una novella divulgatissima e passata in proverbio ai tempi del C. Un marito, esasperato per l’ostinazione con cui la moglie continuava a dire «forbici», la getta nel pozzo: e questa, affogando, fa il segno delle forbici con due dita emergenti dall’acqua.
[12] – La fonte è Plutarco, Intorno alla virtú delle donne.
[13] – stato: posizione sociale.
[14] – intrinseco: l’intimità.
[15] – per gli ultimi doni: come ultime offerte.
[16] – sopragiunta: raggiunta e presa alla sprovvista.
[17] – La fonte di tutti gli aneddoti di questo paragrafo è Plutarco (Intorno alla virtú delle donne, passim). L’ultimo è riferito piuttosto confusamente dal C.: i Persiani dapprima sconfitti combattevano per non contro Ciro.
[18] – passarono: avvennero (spagnolismo).
[19] – riprovi: confuti, smentisca.
[20] – stabilita: salda e duratura.
[21] Tomitis, regina dei Massageti (ma il C., seguendo il Boccaccio, De claris mulieribus, e non la fonte – Erodoto, I, 205-14 – dice «di Scizia»), respinse la richiesta di matrimonio di Ciro re di Persia e riuscí a sconfiggerlo e ucciderlo. Artemisia, regina di Caria, vedova di Mausolo, che fece erigere il «Mausoleo». Zenobia, regina di Palmira. – Semiramide, la celeberrima regina di Assiria. – Cleopatra, la famosa regina di Egitto.
[22] – Inavvertitamente, tra le grandi regine, il Magnifico Giuliano ne ha nominate due famose per la loro dissolutezza.
[23] – Il re di Assiria (Assurbanipal IV, m. 798 a.C.), divenuto proverbiale per la sua dissolutezza.
[24] – Il Magnifico parla ironicamente.
Indice:
-
Il Cortegiano di Castiglione introduzione di Carlo Zacco
-
La dedicatoria del Cortegiano di Castiglione introduzione di Carlo Zacco
-
1 Libro primo del Cortegiano di Carlo Zacco
-
2 Libro secondo del Cortegiano di Carlo Zacco
-
3.1-3 Libro terzo del Cortegiano (introduzione e primi tre capitoli) di Carlo Zacco
-
3.4-10 Institutio di Carlo Zacco
-
3.11-20 Disputa filosofica di Carlo Zacco
-
3.21-45 Gli exempla Il Magnifico di Carlo Zacco
-
3.46-53 Gli exempla Cesare Gonzaga di Carlo Zacco
-