Titiro e Melibeo
27 Gennaio 2019Zaira Gangi
27 Gennaio 2019da Il giorno di Giuseppe Parini – Meriggio – vv. 250-339
di Carlo Zacco
Prima di sedersi a tavola, il precettor d’amabil rito si rivolge al giovin signore, e gli spiega da dove ebbe origine il piacere.
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Forse vero non è; ma un giorno è fama, Che fur gli uomini eguali; e ignoti nomi Fur Plebe, e Nobiltade. Al cibo, al bere, Allaccoppiarsi dambo i sessi, al sonno Un istinto medesmo, unegual forza Sospingeva gli umani: e niun consiglio Niuna scelta dobbietti o lochi o tempi Era lor conceduta. A un rivo stesso, A un medesimo frutto, a una stessombra Convenivano insieme i primi padri Del tuo sangue, o Signore, e i primi padri De la plebe spregiata. I medesmantri Il medesimo suolo offrieno loro Il riposo, e l’albergo; e a le lor membra I medesmi animai le irsute vesti. Sol una cura a tutti era comune Di sfuggire il dolore, e ignota cosa Era il desire agli uman petti ancora.
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Lo stato di natura. All’inizio tutti gli uomini erano uguali, e non esistevano le definizioni di Plebe e di Nobiltà; – uguale era il per tutti l’istinto di mangiare, bere e accoppiarsi;
– a nessuno era lasciata facoltà di scegliere ciò che preferivano, perché ciascuno mangiava ciò di cui aveva bisogno; – tutti bevevano ad un medesimo fiume, sedevano alla stessa ombra: sia i progenitori del nobile giovin signore, sia quelli della spregevole plebe;
– riposavano nelle stesse caverne; – vestivano delle stesse pelli di animali; – tutti inoltre aveva un’unica occupazione comune: sfuggire al dolore; – il desiderio era ignoto; (questa rappresentazione fa venire in mente vico) |
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Luniforme degli uomini sembianza Spiacque a celesti: e a varïar la terra Fu spedito il Piacer. Quale già i numi DIl’io sui campi, tal l’amico genio, Lieve lieve per laere labendo Savvicina a la terra; e questa ride Di riso ancor non conosciuto. Ei move, E laura estiva del cadente rivo, E dei clivi odorosi a lui blandisce Le vaghe membra, e lentamente sdrucciola Sul tondeggiar dei muscoli gentile. Gli saggiran dintorno i Vezzi e i Giochi, E come ambrosia, le lusinghe scorrongli Da le fraghe del labbro: e da le luci Socchiuse, languidette, umide fuori Di tremulo fulgore escon scintille Ondarde laere che scendendo ei varca.
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La raffigurazione del Piacere. Ma l’uniforme condizione degli uomini spiacque agli dei: – che ad introdurre un elemento di variazione inviarono sulla terra il piacere. – come gli dei scendevano nei campi di Troia, così questo genio si fece largo sulla terra; – il piacere si avvicina alla terra, e viene carezzato in ogni parte del suo corpo dall’aria;
– è accompagnato da divinità minori: i Vezzi e i Giochi;
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Alfin sul dorso tuo sentisti, o Terra, Sua primorma stamparsi; e tosto un lento Fremere soavissimo si sparse Di cosa in cosa; e ognor crescendo, tutte Di natura le viscere commosse: Come nellarsa state il tuono sode Che di lontano mormorando viene; E col profondo suon di monte in monte Sorge; e la valle, e la foresta intorno Mugon del fragoroso alto rimbombo, Finché poi cade la feconda pioggia Che gli uomini e le fere e i fiori e lerbe Ravviva riconforta allegra e abbella.
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La reazione della terra. Infine il Piacere appoggia il piede sulla terra, che avverte la sua presenza per la prima volta, provando un brivido di eccitazione;
– come un fresco temporale estivo rigenera la natura sconvolta dal calore; |
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Oh beati tra gli altri, oh cari al cielo Viventi a cui con miglior man Titáno Formò gli organi illustri, e meglio tese, E di fluido agilissimo inondolli! Voi l’ignoto solletico sentiste Del celeste motore. In voi ben tosto Le voglie fermentár, nacque il desio. Voi primieri scopriste il buono, il meglio; E con foga dolcissima correste A possederli. Allor quel de due sessi, Che necessario in prima era soltanto, Damabile, e di bello il nome ottenne. Al giudizio di Paride voi deste Il primo esempio: tra feminei volti A distinguer sapprese; e voi sentiste Primamente le grazie. A voi tra mille Sapor fur noti i più soavi: allora Fu il vin preposto all’onda; e il vin selesse Figlio de tralci più riarsi, e posti A più fervido sol, ne più sublimi Colli dove più zolfo il suolo impingua.
Così lUom si divise: e fu il Signore Dai volgari distinto a cui nel seno Troppo languir lebeti fibre, inette A rimbalzar sotto i soavi colpi De la nova cagione onde fur tocche: E quasi bovi, al suol curvati ancora Dinanzi al pungol del bisogno andáro; E tra la servitute, e la viltade, E l travaglio, e linopia a viver nati, Ebber nome di Plebe. Or tu Signore Che feltrato per mille invitte reni Sangue racchiudi, poiché in altra etade Arte, forza, o fortuna i padri tuoi Grandi rendette, poiché il tempo alfine Lor divisi tesori in te raccolse, Del tuo senso gioisci, a te dai numi Concessa parte: e lumil vulgo intanto Dell’industria donato, ora ministri A te i piaceri tuoi nato a recarli Su la mensa real, non a gioirne. |
Le razioni degli uomini. Tra gli uomini, quelli che ebbero più fortuna furono quelli a cui il titano prometeo formò sensi più ricettivi e delicati;
– questi sentirono il primo solletico del piacere; – in loro per primi nacque il desiderio;
– loro scoprirono le differenze tra le cose, e impararono a distinguere le cose buone e quelle migliori; – allora, il sesso femminile, che prima di allora era destinato solo alla procreazione, fu definito «bello»;
– un esempio di ciò fu il giudizio di Paride;
– quei primi uomini, i progenitori degli attuali nobili, distinsero per la prima volta i sapori più dolci; – fu scoperto il vino; – e dei vari vini si scoprì come produrre il migliore;
La plebe. Così l’uomo si divise: – i nobili furono distinti dai volgari individui a cui erano rimaste fibre insensibili, incapaci di reagire agli stimoli del piacere;
– questi lavorano curvi come buoi;
– questi ebbero il nome di Plebe: nati per vivere in schiavitù, umiliazioni, fatiche, e povertà;
Il giovin signore deve quindi rallegrarsi di tutto questo.
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