Titiro e Melibeo
27 Gennaio 2019Zaira Gangi
27 Gennaio 2019Guido Gozzano
di Carlo Zacco
La cornice |
La cornice è quella di un patinoir, come si diceva all’epoca: una pista di pattinaggio, dove si incontrava la gioventù elegante torinese di inizio Novecento, su un laghetto ghiacciato; – all’improvviso uno scricchiolio della superficie ghiacciata induce tutti a raggiungere la riva, tranne una giovane ragazza, che chiede al compagno di restare, sfidando il pericolo; |
Amore e morte |
E’ la situazione estrema di amore-morte, tipicamente dannunziana: – la donna fatale chiede all’uomo di dimostrarle tutto il proprio coraggio, per amore; – in questo caso, però, l’uomo acconsente solo inizialmente; – alla fine la lascia sola a volteggiare sul ghiacciò pericolante per un po; – Il desiderio di vivere prevale («la voluttà di vivere infinita»); – le si accompagna il pensiero della morte, intravista nella propria immagine riflessa nel ghiaccio; |
«… cri… i… i… i… i… icch…» l’incrinatura il ghiaccio rabescò, stridula e viva. «A riva!» Ognuno guadagnò la riva disertando la crosta malsicura. «A riva! A riva!…» Un soffio di paura disperse la brigata fuggitiva. «Resta!» Ella chiuse il mio braccio conserto, le sue dita intrecciò, vivi legami, alle mie dita. «Resta, se tu m’ami!» E sullo specchio subdolo e deserto soli restammo, in largo volo aperto, ebbri d’immensità, sordi ai richiami. Fatto lieve cosí come uno spetro, senza passato più, senza ricordo, m’abbandonai con lei, nel folle accordo, di larghe rote disegnando il vetro. Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più tetro… Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più sordo… Rabbrividii cosí, come chi ascolti lo stridulo sogghigno della Morte, e mi chinai, con le pupille assorte, e trasparire vidi i nostri volti già risupini lividi sepolti… Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più forte. Oh! Come, come, a quelle dita avvinto, rimpiansi il mondo e la mia dolce vita! O voce imperïosa dell’istinto! O voluttà di vivere infinita! Le dita liberai da quelle dita, e guadagnai la ripa, ansante, vinto… Ella sola restò, sorda al suo nome, rotando a lungo nel suo regno solo. Le piacque, alfine, ritoccare il suolo; e ridendo approdò, sfatta le chiome, e bella ardita palpitante come la procellaria che raccoglie il volo. Non curante l’affanno e le riprese dello stuolo gaietto femminile, mi cercò, mi raggiunse tra le file degli amici con ridere cortese: «Signor mio caro, grazie!» E mi protese la mano breve, sibilando: Vile! |
– cricch: onomatopea già dantesca;
– rabescò: incise, disegnando quasi un arabesco;
– disertando: abbandonando la superficie ghiacciata del laghetto;
– la brigata: termine boccacciano;
– subdolo: insidioso e non più affollato;
– largo volo aperto: ampio volo disteso;
– ebbri: quasi ubriacati da una sensazione d’immensità;
– lieve come uno spetro: leggero come un fantasma;
– folle accordo: intesa sconsiderata;
– larghe rote: ampi cerchi;
– cricch: «non avria pur da l’orlo fatto cricchi», If, XXXII, 30;
– pupille assorte: con gli occhi attenti;
– vidi…sepolti: e già vedevo in trasparenza, nella mia immagine riflessa nel ghiaccio, i nostri corpi distesi, grigi come i morti;
– sorda al suo nome: incurante di chi le urlava di tornare a riva;
– sfatta le chiome: accusativo alla greca (turbata capillos)
– procellaria: uccello delle tempeste;
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L’antidannunzianesimo |
Alla fine la donna colpisce con una stilettata il compagno, «sibilando: vile!»; – questo aggettivo ha ancora funzione antidannunziana: – è il polemico rifiuto di Gozzano di far indossare al proprio protagonista la maschera del superuomo; |
lo stile |
Un aspetto importante è quello fonico: – l’onomatopea Dantesca, rallentata dai puntini di sospensione, occupa tutto il primo emistichio del verso, ed è ripresa da «l’incrinatura»; – la stessa onomatopea si ripete tre volte (vv. 17-18, 24) in una climax, collocata in posizione finale dei versi: «più tetro», «più sordo», «più forte»; – nella terza strofa ci sono delle rime petrose: spetro/tetro, accordo/sordo; Queste parole convergono tutte verso la parola «Morte», e ciò esaspera il contrasto al centro della poesia, cioè quello tra: – l’atmosfera «gaietta» e spensierata della brigata giovanile; – lo spettro della morte, che si manifesta nell’immagine del poeta riflessa nel ghiaccio. |