Titiro e Melibeo
27 Gennaio 2019Zaira Gangi
27 Gennaio 2019Appunti di Storia contemporanea del prof. Carlo Zacco
Il dopoguerra e il fascismo in Italia
Il dopoguerra: malcontento sociale
Crisi del dopoguerra. L’Italia era uno dei paesi vincitori, ma alla fine della guerra la situazione economica e sociale era disastrosa, i problemi principali erano:
1) Inflazione. L’aumento dei prezzi dei beni di consumo. A causa dell’indebitamento dovuto alle spese di guerra, l’Italia aveva svalutato la moneta, e, dato che importava molti prodotti dall’estero, questo significò l’aumento dei prezzi.
2) Disoccupazione. In tempo di guerra le grandi industrie avevano prodotto armamenti. Alla fine dovettero riconvertirsi, ma si trattava di un processo lungo, e nel frattempo aumentava la disoccupazione.
Questi due fattori alimentarono proteste e tensioni sociali, dato che inflazione e disoccupazione colpivano la popolazione che svolgeva un lavoro dipendente: operai, impiegati, contadini.
Operai e contadini. Per reagire alla crisi gli operai si erano organizzati in sindacati: facevano scioperi, manifestavano contro l’aumento dei prezzi, chiedevano l’aumento dei salari, la diminuzione dell’orario di lavoro. I contadini invece chiedevano terra e contratti di lavoro migliori: durante la guerra, per spingerli a combattere, i governi avevano promessi terre da coltivare, ma non avevano mantenuto le promesse.
I ceto medio. Gruppi sociali differenti: professionisti, commercianti, impiegati. Anche loro soffrivano per l’aumento dei prezzi e la disoccupazione, ma non si univano in sindacati: si sentivano superiori a operai e contadini, e non ne condividevano le idee. Avevano appoggiato l’interventismo, avevano idee nazionaliste, durante la guerra avevano ricoperto ruoli di comando. Erano di destra, e si opponevano al socialismo.
Il dopoguerra: situazione politica
Una nuova realtà politica. Da quando Giolitti aveva introdotto il suffragio universale maschile, anche l’Italia fu dominata sempre più da partiti di massa. Prima della guerra il parlamento italiano era costituito soprattutto da deputati liberali. La svolta avvenne alle elezioni del 1919, quando la composizione politica del parlamento cambiò profondamente:
1) Al primo posto il partito socialista ottenne il 32% dei voti, ossia la maggioranza relativa;
2) Al secondo il partito popolare, cioè i cattolici, col 20% dei voti;
3) Al terzo posto i liberali, che per la prima volta dall’unità furono costretti a governare col sostegno dei cattolici.
Il partito socialista. Fondato nel 1892 era il partito degli operai e dei contadini, corroborato dal successo della rivoluzione russa. Vi erano però due correnti:
1) Riformisti. Guidati da Filippo Turati, puntavano ad introdurre miglioramenti per i lavoratori con graduali riforme;
2) Massimalisti. Erano la maggioranza, volevano la rivoluzione, come in Russia, anche se non avevano piani precisi su come realizzarla.
I popolari. Fondato dal don Luigi Sturzo, di ispirazione cattolica, era favorevole a riforme che migliorassero le condizioni delle classi più povere, realizzabili non con la rivoluzione, ma con un accordo tra le parti. Vi erano varie correnti, da quelle più riformiste, vicine ai socialisti, a quelle contrarie ad ogni riforma. Erano appoggiati dai contadini di alcune regioni del Nord o del Centro-Sud.
I Nazionalisti. La borghesia benestante continuava ad appoggiare i liberali, ma con sempre minor convinzione. Il ceto medio invece appoggiava i nazionalisti. I nazionalisti, guidati da D’Annunzio, avevano promosso l’entrata in guerra nel 1915. Le loro posizioni si riassumevano nell’espressione «vittoria mutilata»: coi trattati di Pace l’Italia aveva ottenuto Trento e Trieste, Alto Adige e Istria; i nazionalisti si aspettavano di più. In particolare Fiume e la Dalmazia. Questo portò un gruppo di reduci guidati da D’Annunzio all’occupazione di Fiume il 12 Settembre 1919. Si trattò di una buffonata, poco più di un evento mediatico, ma mostrò che certi settori di destra avevano intenzione di agire al di fuori della legge.
Il biennio rosso
L’occupazione delle fabbriche. Tra il 1919 e il 1920 l’ondata di proteste di contadini e operai raggiunse il suo massimo tanto che si parlò di biennio rosso: due anni di proteste, scioperi, manifestazioni, occupazioni. L’apice venne raggiunto nel 1920 con l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai e delle terre da parte dei contadini, per circa due settimane.
Giolitti e l’occupazione. Tutti temevano che si stesse preparando la rivoluzione, come in Russia. Chi non ci credeva era Giolitti: egli pensava, a ragione, che la maggior parte dei socialisti in realtà non volesse fare la rivoluzione, quindi decise di non mandare l’esercito a reprimere le occupazioni, ma aspettò che le proteste si spegnessero da sole. Le cose andarono secondo le sue previsioni: dopo due settimane di occupazione, i vertici CGL bocciarono la proposta di alcuni esponenti del partito socialista di trasformare l’occupazione in rivoluzione, e chiesero di liberare le fabbriche in cambio di aumenti di stipendio e alcune riforme favorevoli ai lavoratori.
Nascita del fascismo
Un nuovo movimento. Il fascismo nacque in questo contesto di lotte e tensioni sociali. Il fondatore del fascismo è Benito Mussolini: nel 1914 era stato uno dei capi del partito socialista, ma era stato espulso per le sue posizioni favorevoli all’intervento in guerra; nel 1919 aveva fondato un suo movimento: i fasci di combattimento.
– I valori. All’inizio i fasci avevano un programma un po’ ibrido, con elementi di socialismo e nazionalismo; in breve tempo però divenne il principale avversario del partito socialista: alla lotta di classe opponeva l’esaltazione della patria, dell’ordine, dell’autorità.
– Il partito. Nel 1921 divenne un partito vero e proprio col nome di partito nazionale fascista; nel 1923 si fuse col partito nazionalista.
Originalità. Gli elementi di originalità erano:
1) Composizione: giovani ex combattenti, come lo stesso Mussolini;
2) Uso della violenza: uso sistematico della violenza contro gli avversati politici: socialisti, lavoratori che protestano;
Presa di potere del fascismo
Diffusione della violenza. A partire dal 1920 i fascisti cominciarono ad agire in squadre organizzate alla maniera militare, con tanto di armi e divisa: camicia nera, fez, fascio littorio, teschio.
– Contro gli avversari. Conducevano spedizioni ai danni delle sedi dei partiti di sinistra; aggredivano i loro esponenti allo scopo di umiliarli (olio di ricino), e terrorizzarli;
– Contro i manifestanti. Nemico numero due: movimenti di protesta di contadini e operai, che venivano costretti a sgomberare fabbriche e campi occupati.
I sostenitori. Questi giovani picchiatori avevano comunque il consenso di ampie fasce della società:
1) Ceto medio. Spaventati per le proteste operaie, nemici dei socialisti, erano favorevoli a chi usasse la forza contro i manifestanti;
2) Proprietari terrieri. Li sostenevano e li finanziavano contro i contadini in lotta;
3) Industriali. Anche loro sostenevano Mussolini, giudicando l’azione del governo Giolitti troppo debole;
4) Istituzioni. Polizia, esercito, magistratura simpatizzavano per i fascisti. Di fronte ad un antifascista aggredito o non intervenivano, o facevano arrestare la vittima e non gli aggressori.
5) La corte. Anche i reali simpatizzavano per loro. E a quanto pare la Regina Margherita stravedeva per questi ragazzotti muscolosi e scattanti.
6) Le altre forze politiche. Anche altre forze politiche guardavano i fascisti con benevolenza:
– i liberali: lo stesso Giolitti strinse alleanze con loro, tanto che alle elezioni del 1921 i fascisti si candidarono nelle liste liberali guidate da Giolitti ottenendo 35 deputati;
– i cattolici: ovviamente i cattolici guardavano con interesse questa forza violenta in ascesa.
Gli antifascisti. Altro elemento che favorì l’ascesa dei fascisti erano le divisioni all’interno del partito socialista. Dopo il biennio rosso dal partito socialista si staccarono alcuni pezzi:
– 1921: nasce il Partito Comunista. Dopo il fallimento delle proteste e delle occupazioni, alcuni socialisti delusi uscirono dal partito e fondarono il Partito Comunista d’Italia, con l’obiettivo di avviare anche in Italia un processo rivoluzionario come in Russia;
– 1922: nasce il Partito Socialista Unitario. L’ala moderata si staccò, e formò il Partito Socialista Unitario.
La «marcia su Roma». La presa effettiva di potere di Mussolini avvenne attraverso un colpo di Stato: il 28 Ottobre 1922 mise insieme tutte le squadre fasciste e organizzò la cosiddetta «marcia su Roma», che avrebbe dovuto potare alla conquista del potere. Il governo chiese subito lo stato d’assedio, per impiegare l’esercito contro i fascisti. Il re rifiutò, e anzi, il giorno dopo, quando le squadre fasciste entrarono in Roma nominò Mussolini capo del Governo. Un atto gravissimo: il Re proclamava capo del governo il leader di un partito che aveva pochissimi deputati, e che aveva attentato al potere con la forza. La maggioranza dei liberali, moderati e cattolici diede il proprio consenso, con l’intento di controllare meglio il fascismo.
I primi anni di governo
Prime iniziative. Tutti pensavano che una volta salito al governo Mussolini avrebbe rispettato la legge e abbandonato le violenze. Si sbagliavano.
1) le squadre armate fasciste non vennero sciolte, e anzi vennero ufficializzate nella Milizia volontaria per la sicurezza sociale, istituita nel 1923. In pratica una polizia privata, di partito, che poteva agire indisturbata;
2) Vennero abolite le leggi introdotte da Giolitti per favorire i lavoratori;
3) Furono accresciuti i poteri del governo.
L’omicidio Matteotti. Nel 1924 si svolsero le nuove elezioni, vinte nettamente dai fascisti, grazie a due manovre:
1) Nei mesi precedenti Mussolini aveva varato una nuova legge elettorale, secondo la quale a chi raggiungesse la maggioranza relativa, potevano essere assegnati 2/3 dei seggi;
2) Nei giorni delle votazioni la milizia agì in maniera capillare contro gli antifascisti con ogni forma di violenza, e falsificò i risultati elettorali in molte zone.
In occasione della prima riunione del nuovo governo, tenutasi il 30 Maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti ebbe il coraggio di denunciare in aula le irregolarità e le violenze che avevano caratterizzato quella tornata elettorale. Pochi giorno dopo venne rapito e ucciso dai fascisti.
Crisi del fascismo e inizio della dittatura. L’omicidio Matteotti provocò un’ondata di indignazione, e portò molti moderati liberali, che inizialmente avevano appoggiato Mussolini, cominciarono a criticarlo; lo stesso fecero alcune testate giornalistiche «amiche», come il Corriere della Sera e La Stampa; le forze d’opposizione non riconobbero valide le elezioni. Tutto inutile: i liberali non negarono la fiducia e il governo restò in piedi. Dal 1925 Mussolini trasformò l’Italia in una dittatura.
La dittatura
Fine della democrazia. Tra il 1925 e il 1926 Mussolini varò una serie di leggi che trasformarono l’Italia in una vera e propria dittatura:
1) Il capo del governo non doveva ricevere l’approvazione del governo, ma solo quella del Re;
2) Istituzione del Gran Consiglio del Fascismo, con poteri che in precedenza appartenevano al Re o al Parlamento, composto da dirigenti nominati da Mussolini;
3) Abolizione della libertà di Stampa;
4) Abolizione del diritto di sciopero;
5) I partiti antifascisti vennero messi fuori legge;
6) Nuova legge elettorale: alle elezioni della Camera era consentita una sola lista, ovviamente quella fascista, e il voto non era più segreto. Alle successive elezioni, manco a dirlo, i risultati del partito fascista sfiorarono il 100%;
7) Sindaci non più eletti dal popolo ma nominati dal partito, e chiamati Podestà;
8) Istituzione di un tribunale speciale contro gli oppositori politici. Tra il 26 e il 43 vennero mandati al confino almeno 15.000 antifascisti, e condannate a morte decine di persone.
I Patti Lateranensi. Per accrescere il consenso tra gli italiani, che si riconoscevano in larga misura nel cattolicesimo, nel 1929 vennero stipulati con la Chiesa Cattolica i Patti Lateranensi, volti a sedare i contrasti sorti con lo Stato italiano nel 1870. Fin dall’inizio la Chiesa aveva guardato benevolmente il fascismo, e sostenne, tramite il partito popolare, Mussolini nelle elezioni del 21. I Patti stabilivano, tra l’altro:
1) Cattolicesimo religione di Stato;
2) Matrimonio religioso valido anche in sede civile;
3) Insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole;
4) La Chiesa riconobbe Roma capitale d’Italia e istituì vescovi ‘amici del fascismo;
In quell’occasione Pio XI definì Mussolini «l’uomo che la provvidenza ci ha fatto incontrare».
Le leggi razziali. A partire dagli anni 30 l’ideologia fascista assume connotati eminentemente razzisti: nel 1938 vennero emanate alcune leggi che penalizzava i cittadini italiani di religione ebraica: vennero espulsi da tutte le istituzioni statali e dagli impieghi pubblici.
Politica economica
Favorire la grande borghesia. Inizialmente fu una politica liberista, che lasciava molto spazio all’intraprendenza dei grandi proprietari e industriali, e eliminava molte tutele che Giolitti aveva introdotto per il lavoratori. Vennero aboliti i sindacati. Le condizioni di lavoro di operai e contadini peggiorarono; gli stipendi sempre più bassi.
Il ceto medio. A partire dal 1926 lo Stato ebbe un ruolo sempre più importante nell’economia. Intanto fu rivalutata la Lira rispetto alle valute straniere: questo ebbe alcune conseguenze:
1) peggiorava la situazione per le industrie che esportavano (i prodotti italiani divennero cari);
2) favoriva quelle che producevano per il mercato interno (acciaio, chimica, elettrica);
3) favoriva il ceto medio;
4) fece in modo che si prendessero iniziative per favorire la produzione agricola interna per evitare di importare prodotti dall’estero: bonifica di zone paludose, miglioramenti vari.
Crisi del 29. A seguito della crisi economica del 1929, che coinvolse tutto il mondo, il governo fascista prese alcune importanti misure, intervenendo in maniera ancora più massiccia nell’economia:
1) Le industria italiane a rischio fallimento (Ansaldo, Alfa Romeo) venivano comprate dall’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale. Così lo Stato metteva le mani in importanti settori: produzione acciaio, armi;
2) Vennero attuate politiche protezionistiche che stimolassero il commercio interno. La propaganda spingeva ad acquistare solo prodotti italiani;
3) Vennero creati istituti come l’Inps, Inail, Enpas, per garantire forme di assistenza: pensioni, sanità;
Politica estera
Svolta degli anni 30. Negli anni 20 in politica estera non ci furono grandi iniziative. A partire dagli anni 30 invece la posizione di Mussolini cambiò, divenendo molto aggressiva. L’obiettivo erano conquiste coloniali in Africa e nei Balcani. Le cause:
a) Ovvie esigenze economiche;
b) Motivi ideologici: imperialismo, esaltazione della guerra;
c) Malcontento della popolazione dopo la crisi del 29.
Le principali azioni in politica estera furono due:
1) Invasione d’Etiopia. Dopo i tentativi fallimentari ottocenteschi, Mussolini riprende l’avventura in Etiopia. La guerra iniziò nel 1935 e si concluse l’anno seguente, con un successo, conseguito mediante l’uso di armi vietate dalla comunità internazionale, come i gas asfissianti. Dopo la conquista di Addis Abeba Mussolini procedette a repressioni durissime del dissenso etiope: l’apice si toccò nel 1937, con il massacro di un’intera comunità di monaci del convento di Debrà Libanòs, circa 1400 morti. Le modalità della conquista vennero condannate dalla Società delle Nazioni, che decise alcune sanzioni economiche (per altro mai applicate).
2) Alleanza con i Nazisti. Nel 1933 Mussolini decise di allearsi con la Germania governata da Hitler, con la quale vi erano molte analogie. Nel 1936 Mussolini firma un trattato di alleanze: l’Asse Roma-Berlino. E nel 1939 il Patto d’Acciaio che obbligava le due nazioni ad entrare in guerra nel caso in cui l’alleato avesse deciso di farlo.