8 marzo
27 Gennaio 2019Sofia Giacomelli
27 Gennaio 2019
di Giovanni Ghiselli
L’eroe nella cultura europea: dall’Achille di Omero, a Pindaro, a Sofocle, a Euripide, a Platone, a Leopardi, a Nietzsche, a Tolstoj, a Fausto Coppi. Il matrimonio come possibile ostacolo all’eroismo (in Kierkegaard, Tolstoj e Kafka).
La figura di Ulisse, segno di contraddizione.
Lanti-eroe.
La diversità dell’eroe dell’epica dall’uomo comune e dei due eroi archetipici tra loro
La relazione con la morte costituisce il più profondo tratto distintivo dell’eroe. Achille non si lascia bloccare dalla profezia di sventura del cavallo Xanto. Questo si inclinò con il capo e tutta la chioma pa`sa de; caivth dal collare cadendo lungo il giogo, giunse a terra: quindi gli disse : toi ejgguvqen hmar ojlevqrion”, ti è vicino il dì della morte (Iliade, XIX, 405 e 409). Achille non si lascia spaventare dalle parole male ominose del cavallo fatato e risponde: Xanto, perché mi predici la morte? Non ce né bisogno da parte tua. Lo so anche io che il mio destino è morire qui. Ma non cederò”ouj lhvxw” prima di avere incalzato a sazietà i Troiani in battaglia.
Il film Rush.
I piloti di formula uno calcolano che ad ogni gara hanno venti possibilità su cento di morire. Ma non si tirano indietro. Hunt che è più simile ad Achille, non lo fa mai, Lauda più confrontabile con Odisseo, si ritira da una gara flagellata dalla pioggia, dopo un’altra competizione infernale durante la quale aveva patito un incidente dove aveva rischiato la vita ed era rimasto sfigurato.
Per tornare a gareggiare e no cedere il titolo al rivale Hunt senza combattere, si era fatto curare precipitosamente con terapie dolorosissime.
Come Odisseo, Lauda è meno prestante dell’altro eroe.
Ulisse è uno di quei personaggi che dalle profondità del tempo giungono fino a noi, perché è un personaggio chiaveE un tipo incredibilmente furbo. Possiede una qualità che i Greci chiamano métis, astuzia. Unastuzia che gli consente di cavarsela tutte le volte che sembra ormai perduto. Ulisse ha tutto contro, combatte con forze più grandi di lui, eppure trova il modo, con astuzia, scaltrezza, bugie-dissimulando il proprio pensiero-di inventarsi qualcosa e avere, infine, la meglio”[1].
La parentela etimologica di mhÌ?tiÏ, con il latino metior rende l’idea di come sia misuratore e calcolatore l’uomo poluvmhtiÏ,.
Nel I canto dell’Iliade Odisseo è già l’uomo che, molto dotato di intelligenza[2], riceve l’incarico di ricondurre Criseide al padre per ristabilire la pace tra il sacerdote di Apollo e Agamennone.
Nel secondo canto del poema più antico, Odisseo, simile a Zeus per intelligenza[3], quindi diverso dagli altri uomini, riceve da Atena il compito di trattenere la fuga dell’esercito acheo da Troia con blande parole[4].
La dea per rivolgersi all’eroe utilizza un altro epiteto formulare[5], il quale lo caratterizza come uomo intelligente e capace. Capace di che cosa? Intanto notiamo questa capacità di ristabilire una situazione compromessa; infatti, nel II canto dellIliade, Odisseo riesce a fermare l’esercito in fuga alternando le blande parole con ingiurie e facendo cadere lo scettro-bastone sul petto e le spalle dell’uomo deforme[6], l’odiosissimo[7] Tersite dalla lingua confusa Qevrsit j ajkritovmuqe, Tersite che parla senza giudizio[8].
Egli lo spoglierà completamente e lo scaccerà a forza di bastonate dal posto in cui è riunito l’esercito (ajgorh’qen[9]).
Non vi viene subito in mente il pharmakós o capro espiatorio, l’uomo più brutto della comunità, che veniva trasformato in vittima espiatoria e scacciato dalla città?”[10]. Un altro diverso
Per il farmakovÏ, cfr. Edipo re di Sofocle e Oedipus di Seneca.
Odisseo dunque è un uomo stabilizzante e ristabilizzante.
Dice: non è bene il comando di molti: ci sia un solo capo” oujk ajgaqo;n polukoiranivh: ei~ koivrano~ e[stw” (II, 204)
Quindi egli parla all’esercito, non senza essere stato adornato con altri epiteti[11]; infine lItacese viene designato con una qualificazione più specificamente odissiaca[12].
Agli epiteti esornativi non bisogna dare troppa importanza poiché spesso sono stereotipati, e la loro presenza è imposta dalla necessità metrica che “nella poesia omerica è fattore determinante anche per la scelta delle espressioni e degli epiteti”[13].
Invece sono caratterizzanti le parole che Odisseo rivolge all’assemblea dopo averla ricompattata. Egli accusa i soldati di essere come bambini piccoli o come donne vedove[14] mettendo in luce una distinzione tra l’uomo compiuto[15], egli stesso, capace di riflettere, parlare, agire, e l’uomo bambino o l’uomo-comare querula, creature dalla ragione meno sviluppata.
Nel I canto dell’Odissea, i compagni di ritorno di Odisseo, tutti morti, vengono ricordati come:”stolti (nhvpioi) che divoravano i buoi del Sole/Iperione: ma quello tolse loro il dì del ritorno” (vv. 8-9)
–nhvpioi: è formato dal prefisso negativo nh-(simile ad aj-privativo)+ la radice ejp- sulla quale si forma e[po”, “parola” e dunque corrisponde al latino infans (formato dal prefisso negativo in– +fans di fari =parlare). La manifestazione più evidente della stoltezza è dunque l’incapacità di parlare poiché chi non possiede la parola non ha neppure le idee e non controlla la mente.
Esiodo concede allo stolto una possibilità di ravvedimento attraverso la sofferenza:”paqw;n dev te nhvpio” e[gnw”(Opere , v. 218).
Cfr. Gli uomini bambini di H. Hesse in Siddharta : La maggior parte degli uomini, Kamala, sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell’aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino…Io sono come te. Anche tu non ami, altrimenti come potresti fare dell’amore un’arte? Forse le persone come noi non possono amare. Lo possono gli uomini-bambini: questo è il loro segreto”[16].
La maturità riflessiva e intelligente, indipendente dall’istinto del gregge è un aspetto distintivo dell’uomo Odisseo.
E’ proprio questa sua indipendenza a renderlo ajnhvr, latinamente vir , capace appunto di virtù la quale, afferma Nietzsche, “è il vero e proprio vet?tum entro ogni legislatura di gregge”[17].
Di tale virtù fa parte la capacità di opporre resistenza ai mali e alle minacce di cui è piena la vita, di sopportarle. Un’ esortazione che Ulisse rivolge più volte a se stesso e ai suoi compagni di avventura a cominciare da questo discorso dell’Iliade dove esorta i soldati dicendo:” tenete duro cari e aspettate del tempo”[18].
Odisseo non è bello.
Nell’Iliade , quindi in Ovidio, si trova anche qualche indicazione sull’aspetto fisico di Odisseo. Ulisse non era bello (non formosus erat), ma sapeva parlare (sed erat facundus Ulixes) e, pur non essendo un Adone, fece torcere d’amore le dee dell’acqua, Circe e Calipso. et tamen aequoreas torsit amore deas “[19] .
Vediamo dunque quanto poco era poco bello e perché piaceva comunque alle donne .
Nel terzo canto dellIliade, durante la teicoskopiva, Priamo chiede a Elena di identificare i capi dei guerrieri Achei visibili dalla torre presso le porte Scee; uno gli parve più piccolo della testa di Agamennone Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi[20].
Priamo aggiunge che quel personaggio si aggira tra le fila degli uomini ktivlo~ w[~ (v. 196), come un montone, un ariete (ajrneiov~) dal vello folto che si aggira tra un gregge di pecore bianche.
La maliarda rispose che quello era Odisseo esperto di ogni sorta di inganni e di fitti pensieri (v. 202). Quindi Antenore aggiunge che anche lui l’aveva vista una volta a Troia, in ambasciata con Menelao, e quando i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma quando stavano in piedi, Menelao lo sovrastava delle larghe spalle[21].
Ulisse dunque, il poluvmhti~, l’uomo molto saggio, quando si alzava in piedi, finché stava zitto, fissava gli occhi in terra e teneva fermo lo scettro. Allora sembrava un uomo ignorante (a[é–dri~, 219) o addirittura furente (zavkoto~, kovto~ >rancore, risentimento, odio-za, prefisso=molto) e pazzo (a[frwn, cfr. Medea che non rielabora l’odio), ma quando parlava, mandava fuori dal petto parole simili a fiocchi di neve d’inverno (v. 222), e allora non si provava più meraviglia per l’aspetto.
Plinio il Giovane dà una spiegazione di questo stile oratorio affermando di preferire fra tutte “illam orationem similem nivibus hibernis, id est, crebram et assiduam, sed et largam, postremo divinam et caelestem ” ( Ep. I, 20), quell’eloquenza simile alle nevi invernali, cioè densa e serrata, ma anche copiosa, dopo tutto divina e scesa dal cielo.
Leopardi che era difettoso nel corpo, e lo sopravvalutava, non ammette la bruttezza nell’eroe epico: La perfettibilità dell’uomo, come altrove ho detto, non ha che fare col corpo. E con tutto ciò la perfezione del corpo, che non dipende dagli uomini, né è opera della ragione, si è la principal condizione che si ricerca in un eroe del poema ec. (o si dee supporre, perché ogni menoma imperfezione corporale suppostagli guasterebbe ogni effetto) e la più efficace, supponendolo ancora perfetto nello spirito. Questa circostanza non si può tacere; quando anche si taccia, la supplirà il lettore; ma fare espressamente un protagonista brutto è lo stesso che rinunziare a qualsivoglia effetto“[22].
Contraddizione in Leopardi (diversità da se stesso)
Altrove invece Leopardi dice che preferisce Achille a Enea che è privo di difetti, ossia troppo perfetto.
“Omero ha fatto Achille infinitamente men bello di quello che poteva farlo…e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec.”( Zibaldone, 2).
A pagina 471 leggiamo:”L’eroismo e la perfezione sono cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto. Tali erano gli eroi antichi (i moderni non ne hanno); tali ce li dipingono gli antichi poeti ec. tale era l’idea ch’essi avevano del carattere eroico; al contrario di Virgilio, del Tasso ec. tanto meno perfetti, quanto più perfetti sono i loro eroi, ed anche i loro poemi”.
Ma, ribadiamo, la bellezza di Odisseo sta nelle sue parole. Ulisse è un artista della parola
Hunt è molto più alto, più bello, e meno riflessivo di Lauda che chiama topolino”, anche perché ha la dentatura superiore sporgente e visibilmente appoggiata al labbro inferiore. Come nei roditori in effetti. Nell’insieme quindi è tutt’altro che bello. Ma ha una forte coscienza delle sue capacità e della sua identità: al rivale che gli dà del topolino, risponde di essere lui il più intelligente, il più bravo a guidare la macchina, il più capace di vincere.
Non esiste solo il neoclassicismo dei primi anni dell’Ottocento: Ernst Howald (Die Kultur der Antike, 1948) ha potuto indicare la rinascita del “classico” come “la forma ritmica” della storia culturale europea”[23].
La forte identità di Odisseo
Odisseo Con il Ciclope si spaccia come Nessuno però non lascerà l’isola dei Ciclopi senza riprendersi nome e identità” (p, 59) e non senza orgoglio IX 502-505. Puoi dire che ti ha accecato, con orrenda ferita, j Odussh`a ptolipovrqion (504, cfr ptovli~ e pevrqw), figlio di Laerte, di Itaca
Sentiamo Claudio Magris:”Come diranno più tardi Adorno e Horkheimer, l’io occidentale è simboleggiato da Odisseo, che costruisce faticosamente la propria identità ed il proprio dominio-su Itaca, sul suo equipaggio e su se stesso-rinunciando alle sirene, a Calipso e al fiore del loto ossia resistendo alla tentazione di abbandonarsi alla beata indifferenza in grembo alla natura”. L’inversione di questo processo cui tende Nietzsche, continua Magris, è “lo scioglimento dionisiaco dell’io”[24].
Tale tendenza alla “dispersione dionisiaca dell’io nel fluire sensibile”[25] veramente è ben più antica di Nietzsche, però è condivisibile anzi è ineccepibile la collocazione dell’uomo Odisseo nella categoria dell’apollineo: egli è l’uomo che si individua nella conoscenza e nel dolore, quindi difende e mantiene il principium individuationis davanti a tutte le lusinghe e contro tutti gli assalti.
L’Odissea è dunque “hjqikhv”, fatta di caratteri, prima di tutto quello del suo protagonista, come la definiva già Aristotele[26], oltre che complessa per via dei numerosi riconoscimenti, a partire dall’ ajnagnwvrisi” che di se stesso compie Odisseo. E attraverso la sua lettura tutti noi possiamo riconoscere qualche cosa di quello che siamo, arrivando alla scienza suprema, quella prescritta dall’oracolo delfico. “Conosci te stesso” è tutta la scienza . Solo alla fine della conoscenza di tutte le cose, l’uomo avrà conosciuto se stesso. Le cose infatti sono soltanto i limiti dell’uomo”[27].
L’altro, diverso archetipo dell’uomo eroico che, avido di gloria e onore, pervade tutta la cultura greca, è la figura di Achille. Il figlio di Tetide, come i massimi personaggi dell’Iliade , il poema epico che presenta il grado eroico dell’esistenza umana, passa la vita in un continuo cimentarsi e gareggiare. Il motto del combattente omerico è “aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn”( VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri.
Lo raccomandano i padri ai figli ( nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell’undicesimo, al v.784, Peleo ad Achille).
Questo imperativo ha un’eco nell’Antigone di Sofocle dove Creonte, per elogiare Eteocle a scapito di Polinice, afferma che quello ha compiuto ogni eroismo con la lancia (v.195):”pavnt& ajristeuvsa” doriv”.
Nietzsche fa di questo aspetto agonistico con volontà di primeggiare una caratteristica precipua dei Greci antichi: “Poiché il volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato un’arena dove quell’impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo l’ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica, lo stato greco cadde nell’inquietudine e dissoluzione interna”[28].
Nella Nascita della tragedia Nietzsche critica aspramente Euripide per avere portato lo spettatore sulla scena, sostituendo all’eroe l’uomo comune, al Greco il graeculus.
Alla nobiltà dell’azione del resto doveva unirsi quella della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:”muvqwn te rJhth’r j e[menai prhkth’rav te e[rgwn“[29], a essere dicitore di parole ed esecutore di opere.
L’eroe non fa niente che non stimi degno della sua natura: Achille , cedere nescius [30].
Della definizione oraziana si ricorda Leopardi nel Bruto Minore :” Guerra mortale, eterna, o fato indegno,/teco il prode guerreggia,/ di cedere inesperto“(vv. 38-40).
Il culto del kalovn nell’eroe tragico.
Così non cede alle preghiere di chi gli vuole bene l’Aiace di Sofocle e non sopporta di sopravvivere al suo disonore, e prima di uccidersi dice:”ajll j h] kalw'” zh’n h] kalw'” teqnhkevnai-to;n eujgenh’ crhv”[31], ma il nobile deve vivere nobilmente o nobilmente morire.
Non manca la giovane donna eroica che preferisce la morte ad una vita ignobile: Polissena nell’Ecuba di Euripide chiede alla madre di lasciarla morire senza opporre resistenza:”to; ga;r zh’n mh; kalw'” mevga” povno””(v. 378), infatti il vivere senza bellezza è una grande fatica.
Sofocle nellAntigone attribuisce i tratti delleroina alla figlia di Edipo: ella non cede alle obiezione dettate dal buon senso di Ismene, anzi replica :” io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nella bellezza” (w{ste mh; ouj kalw'” qanei’n, vv. 96-97).
Neottolemo, il figlio schietto dello schietto Achille, svaluta il sumfevron (utile) e apprezza il kalovn (bello, e bello morale) contrapponendosi al subdolo Odisseo del Filottete :” bouvlomai d’ , a[nax, kalw'”-drw’n ejxamartei’n ma’llon h] nika’n kakw'” ” (vv. 94-95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.
L’ultimo discorso di Pericle. 430 a. C.
Anche in questo ci è dato di trovare la diversità eroica che costituisce un tema di questo intervento: Pericle riafferma la propria natura, nobile, di cittadino amante della povli” e superiore al denaro:”filovpoliv” te kai; crhmavtwn kreivsswn”(II 60, 5), un’ identità che non cambia né si lascia intimorire:”kai; ejgw; me;n oJ aujtov” eijmi kai; oujk ejxivstamai: uJmei'” de; metabavllete”(II, 61, 2) io sono lo stesso e non muto; voi invece cambiate. Possiamo notare in queste parole aspetti di provocazione e di ostinazione eroica che ricorda quella di Antigone quando afferma:” ajll j oid j ajrevskous j oi|” mavlisq j aJdei’n me crhv”(v. 89), ma so di piacere a quelli cui prima di tutti è necessario che io vada a genio.
L’esempio del capo-eroe
Poco più avanti Pericle del resto attribuisce la bellezza e la grandezza del non cedere alla sua città:”gnw’te de; o[noma mevgiston aujth;n e[cousan ejn a{pasin ajnqrwvpoi” dia; to; tai'” xumforai'” mh; ei[kein (II, 64, 3), sappiate che essa (Atene) ha una grandissima rinomanza tra gli uomini per il fatto che non cede alle disgrazie. E una capacità attribuita alla povliÏ,, tanto che B. Knox, ricordando questo passo, ravvisa una somiglianza tra il carattere dei personaggi di Sofocle e quello del dh’mo” ateniese:”Atene proseguì, per tutto il periodo della virilità e della vecchiaia di Sofocle, il suo magnifico e ostinato cammino verso il disastro finale. Come un eroe sofocleo, era innamorata dell’impossibile[32]“
Come i nostri eroi archetipici si comporta il principe Andrej Bolkonskij di Guerra e pace : durante la battaglia di Austerlitz provò paura per un momento, ma poi pensò che questa non era degna del suo ruolo e della sua persona:”Mentre si avvicinava a cavallo, sopra di lui volavano l’una dopo l’altra le granate, ed egli sentì un tremito nervoso corrergli per la schiena. Ma la sola idea che potesse aver paura bastò a rinfrancarlo. “Io non posso aver paura”, pensò e scese lentamente da cavallo in mezzo ai cannoni“[33]. Diversi anni più tardi, a Borodino, il nobile russo non si getta a terra, perché si vergogna di farlo, e viene ferito a morte da una granata:” Io non posso, non voglio morire, io amo la vita, amo questa erba, la terra, l’aria…” Pensava a questo e nello stesso tempo si ricordò che lo stavano guardando”[34].
Il compenso che il prode si aspetta in cambio dell’ ajrethv dimostrata obbedendo a tali obblighi impegnativi fino al sacrificio, è un riconoscimento in termini di onore: la timhv negata è una tragedia per il valoroso che si è distinto in battaglia: Achille si rifiuta di combattere constando che l’uomo codardo e il valoroso sono tenuti nello stesso onore:” ejn de; ijh’/ timh’/ hjme;n kako;” hjde; kai; ejsqlov””[35]. Allora sua madre implora Zeus di onorargli il figlio:”tivmhsovn moi uiJovn”[36], onorami il figlio-prega-, poiché è di vita più breve degli altri, e il signore di genti Agamennone lo disonorò (“hjtivmhsen”[37]) : gli ha preso il suo dono e lo tiene.
La stessa Tetide dichiara a Zeus che, se non la esaudirà, tutti gli dèi vedranno come ella sia ajtimotavth qeov” (v. 516) la dea meno onorata.
Pindaro è un altro cantore della vita strenua, al punto che considera indegna di essere vissuta l’esistenza ingloriosa e insignificante dei deboli e vili ignari di aretà : nella I Olimpica Pelope, aspettando la gara con Enomao prega:” Il grande pericolo (oJ mevgaÏ, de; kivndunoÏ,[38])/non prende un uomo imbelle./ Per chi morire è necessità, perché dovrebbe smaltire invano una vecchiaia anonima seduto nell’ombra/ senza parte di tutte le cose belle? ma questa/
gara giacerà sotto di me: tu dammi propizio l’evento”[39].
Platone scrive: kalo;Ï, ga;r oJ kivndunoÏ,” (Fedone, 114d), bello è infatti il rischio. E il rischio di credere nei miti relativi alla sorte delle anime, dato che è chiaro che l’anima è immortale.
Nella IV Pitica il poeta tebano racconta la conquista del vello d’oro da parte degli eroi Argonauti nei quali la dea Era attizzava la voglia di non essere lasciati presso la madre a smaltire una vita senza rischio (vv. 329-331).
Vediamo la diversità dell’eroe dall’uomo comune, come il poeta ispirato è diverso dai sorci che gracchiano e il genio dallindottrinato.
. NellOlimpica II troviamo un nodo ideologico di Pindaro: la sofiva non è insegnabile (sofo;Ï, oJ polla; eijdw;Ï, fuaÌ?/, (86-87), né quella dell’atleta né quella del poeta il quale paragona se stesso all’aquila, il divino uccello di Zeus (v. 89), mentre i suoi rivali, probabilmente Simonide e Bacchilide, non sono molto sapienti per natura ( 86) bensì “addottrinati”(maqovnteÏ, 87)
La filosofia.
Né la filosofia rimane estranea al riconoscimento dell’eroe avido di gloria: Platone nel V libro della Repubblica , che presenta il codice della guerra, prescrive premi onorifici per i prodi in guerra :”divkaion tima’n tw’n nevwn o{soi ajgaqoiv” (468d), è giusto onorare tra i giovani quanti sono valenti. Viene fatto l’esempio di Aiace che nell’Iliade (VII, 321) riceve in dono intere terga di bue. Omero, che altrove è confutato, nel campo dell’eroismo guerriero costituisce la massima autorità.
Nel Simposio, Platone fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la memoria della loro virtù (“ajqavnaton mnhvmhn ajreth'” pevri eJautw’n e[sesqai”, 208d). Tutti infatti fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale fama gloriosa (“uJpe;r ajreth'” ajqanavtou kai; toiauvth” dovxh” eujkleou'””).
E in effetti il coro dell’Alcesti di Euripide, il cosiddetto filosofo della scena, elogia l’eroina morente con queste parole:” i[stw nun eujklehv” ge katqanoumevnh-gunhv t j ajrivsth tw’n uJf j hjlivw/ makrw’/”(vv. 150-151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole.
Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto(“oJ fuvsa” chJ tekou’sa”,v. 290), poiché hanno lasciato perdere l’occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria (“kalw'” de; sw’sai pai’da keujklew'” qanei’n”, v. 292).
Secondo Jaeger questa aspirazione alla gloria e alla perfezione della virtù viene intesa da Aristotele “quale emanazione d’un amor di sé elettissimo, la filautiva“. L’espressione si trova nell’Etica Nicomachea che séguita con questo brano:”Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un’unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti”[40]. L’autore di Paideia conclude così:” In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d’indole e di razza: l’eroismo”[41].
L’esempio della letteratura sulla letteratura (e sulla vita))
Sentiamo Citati su Leopardi e l’eroismo
Leopardi aveva un esempio famoso. Quando conosce la morte di Patroclo, Achille si imbratta il capo di polvere e cenere, giace in mezzo alla cenere, con le mani si strappa i capelli, non si lava, non mangia,non dorme, continua a
Piangere l’amico sulla riva del mare, come se compiangesse se stesso e la propria morte”[42].
Traduco qualche verso di Omero: con entrambe le mani presa la cenere bruna-se la versava giù dalla testa, e deturpava il bel volto;-sulla tunica di nettare si sparse la nera cenere.-e lui nella polvere, grande, per ampio tratto disteso,-giaceva, e con le sue mani deturpava i capelli, strappandoli” (Iliade, XVIII, 23-27).
Torno a Citati[43]: Quest’esempio sublime non abbandonò mai la mente di Leopardi: lo paragonava ad altri gesti antichi: lo ritrovava in Archiloco, Aristofane, Euripide, Curzio Rufo: riemergeva nelle sue lettere; e infine, quando ogni effetto della dolce e chiara luce lunare si era spento, riaffiorava nel cuore della Sera del dì di festa (vv. 21-23)
Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo”.
Leroismo del contadino
Del resto l’eroismo può essere individuato anche in gare non propriamente epiche né olimpiche: per esempio nella lotta tenace che conduce il contadino di Esiodo con una terra avara per strapparle i frutti estremi, o anche negli agricoltori poveri e scorbutici tipo il Duvskolo” di Menadro:”tw’n dunamevnwn ta;” pevtra” -ejnqavde gewrgei’n”(vv. 3-4), uno di quelli capaci di coltivare le pietre in questa zona.
Cnemone del resto è uno stravagante nella sua misantropia-uomo disumano assai “uomo disumano assai, (ajpavnqrwpov” ti” a[nqrwpo“)
intrattabile (duvskolo” appunto) con tutti, che non sta bene con la gente“(vv. 6-7). Così lo definisce nel prologo il dio.
Cnemone non si vergogna della propria diversità, ma la rivendica:
“Belve assassine! Bussano qui senza complimenti
come da un amico! Se prendo uno di voi che
si avvicina alla mia porta, pensate di vedere
in me uno dei tanti (nomivzeq j e{na tina; oJra’n me tw’n pollw’n).”(481-485). Questo è uno dei peccati di Cnemone: volere essere uno straordinario. E’ u{bri”. Nel prologo della Samìa il protagonista giovane, Moschione, si presenta come uno dei tanti (“tw’n pollw’n ti” w[n” v. 11).
L’eroe perdente
Né manca l’eroe perdente, anzi, forse anzi il più bello: Ettore che sente l’amor patrio e dice:”ei|” oijwno;” a[risto” ajmuvnesqai peri; pavtrh“”[44] , uno è l’auspicio ottimo: difendere la patria, destinata comunque a cadere dopo la morte del suo migliore, unico vero difensore.
Il massimo eroe troiano risponde all’indovino Polidamante che lo ha avvertito di un brutto segno dato da due uccelli e gli ha dato il consiglio di ritirarsi.
L’eroe tragico sportivo
Per giunta l’eroismo, soprattutto quando siamo bambini, possiamo individuarlo anche in campioni dello sport. Io, nei primi anni Cinquanta[45] lo vedevo in Fausto Coppi al tramonto: identificavo “il campionissimo” con Ettore, per il quale, pure, tenevo. Ho trovato di recente questo paragone in un bel libro sul mio caro eroe della bicicletta che mi ha educato non meno di Platone:” diceva Paolo Volponi:” Io sentivo Bartali come un uomo quieto, appagato di un certo tipo di società, di società minore. Insomma me lo figuravo come un democristianone. Coppi, invece, lo vivevo come uno dell’opposizione, uno che sfidava le circostanze, la realtà, i suoi stessi limiti fisici. Aveva cuore e polmoni prodigiosi, ma era anche un po’ rachitico. Non aveva l’aria di uno nato per vincere. Ero coppiano perché mi sembrava uno non immediatamente vincitore, uno non sicuro di sé, non creato per trionfare, ma che trionfava con un grande alone di passione, di fatica. Vinceva clamorosamente smentendo anche se stesso, con un impegno molto duro sul piano psicologico. Io tenevo per Coppi come, da ginnasiale, tenevo per Ettore contro Achille. Tenevano per Ettore, forse, quelli meno felici, meno sicuri di sé, meno integrati. Ettore era l’eroe che doveva soccombere, umano, dotato di grandi qualità, di grande passione. Doveva soccombere perché non aveva l’aiuto degli dei. Era l’uomo in lotta contro il destino. Ecco: Coppi era Ettore. Aveva quella faccia da uomo dolente, da uomo vero, da uomo di fatica. Anch’egli in lotta contro il destino”[46].
Eroi assimilato agli dèi
Ma torniamo ai Greci: a Erodoto che, come Foscolo, si sentiva chiamato dalle Muse “ad evocar gli eroi”[47], e dopo la battaglia di Salamina fa dire a Temistocle:”tavde ga;r oujk hJmei'” katergasavmeqa, ajlla; qeoiv te kai; h{rwe”””[48], questa impresa infatti non l’abbiamo compiuta noi ma gli dei e gli eroi.
In questo contesto gli eroi sono gli spiriti dei morti, quelli che erano venerati secondo le consuetudini e le leggi più antiche:”Quando intorno all’anno 620 Dracone raccolse ad Atene per la prima volta in iscritto il diritto consuetudinario della sua città natale, prescrisse anche che si venerassero in comune gli dèi e gli eroi patrii secondo il costume degli antenati”[49].
Platone critica lAchille omerico. Diversità e antica ruggine[50] tra filosofi e poeti ( Socrate e Musil)
La volontà di vita di Achille in contraddizione con se stesso
Ora torniamo all’ Achille di Omero, il primo eroe, che anche Platone, come Leopardi, non trova perfetto, senza però che i suoi difetti glielo rendano simpatico, al punto che il filosofo ateniese ne prescrive la correzione in una generale ejpanovrqwsi” dei poeti e delle loro mende educative. Il più bravo discepolo di Socrate vorrebbe cancellare, tra l’altro, i versi pronunciati dal Pelide quando nell’Ade rimpiange la vita, la vita comunque. Egli osa dire che, pur di essere vivo, sarebbe disposto a servire(“qhteuevmen”[51]) un altro, anche un uomo povero.
Questa brama della vita a tutti i costi è biasimata da Platone che vorrebbe cancellarla[52] poiché insegna a preferire il servaggio alla morte, come vengono riprovati e considerati indegni di lettura i pianti e i lamenti del figlio di Tetide, dovunque si trovino rappresentati[53].
Questa volontà di vita Achille l’aveva già espressa da vivo, nellIliade, quando risponde alle non piccole offerte di Agamennone presentate da Ulisse perché torni a combattere.Gli dice polumhvcan j j OdusseuÌ? (IX, 308) non tornerò a combattere perché non c’è stata gratitudine (cavriÏ,). Agamennone è vestito di spudoratezza.
Il Pelide non accetta nemmeno di sposare una delle figlie di Agamennone: Crisotemi, Laodice, Ifianassa. E dice: niente per me vale la vita (ouj ga;r ejmoi; yuchÌ?Ï, ajntavxion IX, 401), non le ricchezze di Il’io, non quelle di Delfi. Buoi e grassi montoni si possono rapire, comprare trìpodi e bionde criniere di cavalli, ma la vita di un uomo non la puoi rapire né prendere perché torni indietro una volta che ha passato la chiusura dei denti (ajndro;Ï, de; yuch; pavlin ejlqeiÌ?n ou[te leÏ?sth;-ou[q j eJlethv, ejpei; a[r ken ajmeivyetai e{rkoÏ, ojdovntwn” (IV, 408-409).
Rovesciamento della sapienza silenica.
Nietzsche in questa volontà di vita individua il ribaltamento olimpico-apollineo della sapienza silenica:” Quindi l’esistenza vissuta nella chiara luce solare emanata da questi dèi è sentita come la cosa cui conviene aspirare; e in fondo il dolore dell’uomo omerico si riferisce al prender congedo da essa, soprattutto al prenderne congedo presto; sì che rovesciando la sapienza silenica, si potrebbe ora dire di essi che “la cosa peggiore per loro è quella di morire presto, la seconda è, comunque, quella di morire una volta o l’altra”. Una volta che il lamento ha risonato, sempre ci parla della breve vita di Achille, del mutare e avvicendarsi delle generazioni simili a foglie[54], del tramonto dei tempi eroici. Non è indegno del grande eroe il desiderare di vivere ancora, sia pure soltanto come bracciante. Tant’è violenta, nello stato apollineo, la “volontà” che aspira all’esistenza, e l’uomo omerico si sente così uno con essa, che perfino il lamento diventa il suo canto di gloria”[55].
Più benevolo dunque e generoso il filosofo tedesco, rispetto a Platone, nei confronti di Achille. Così pure Leopardi. Forse perché i due pensatori dell’Ottocento non sono dei sistematici, non sono filosofi in senso stretto:”I filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò si impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema. Probabilmente è questa la ragione per cui nei tempi di tirannia vi sono stati grandi filosofi, mentre nei tempi di progresso civile e di democrazia non c’è verso che si produca una filosofia convincente, almeno per quanto se ne può giudicare dal rammarico che si sente universalmente esprimere a questo proposito”[56].
L’eroe non si sposa
Interessante, e stravagante, è una riflessione di Mircea Eliade sulla “riattualizzazione” del modello eroico:
“Ma i modelli trasmessi dal più lontano passato non scompaiono; non perdono il loro potere di riattualizzazione. Rimangono validi per la coscienza “moderna”. Un esempio fra mille: Achille e Soeren Kierkegaard. Achille, come molti altri eroi, non si sposa[57], quantunque gli sia stata predetta una vita felice e feconda purché si ammogli; senonché, in questo caso, avrebbe dovuto rinunciare a diventare un eroe, non avrebbe realizzato l'”unico”, non avrebbe conquistato l’immortalità.
Kierkegaard attraversa lo stessissimo dramma esistenziale rispetto a Regina Olsen; respinge il matrimonio per rimanere se stesso, l'”unico”, per poter aspirare all’eterno, rifiutando la modalità di un’esistenza felice nel “generale”. Lo confessa chiaramente in un frammento del suo Giornale intimo (VIII, A 56) :”Sarei più felice, in senso finito, se potessi allontanare da me questa spina che sento nella mia carne; ma, in senso infinito, sarei perduto“[58].
Contro il matrimonio quale esperienza contraria a ogni grandezza si esprime il principe Andrej di Guerra e pace che dice all’amico Pierre:” Non ti venga mai in mente di sposarti, mio caro; questo è il mio consiglio, non prender moglie finché non avrai potuto dire a te stesso che hai fatto tutto il possibile per evitarlo, finché non avrai smesso di amare la donna che hai scelto, finché non la vedrai come in trasparenza, altrimenti sbaglierai crudelmente e senza rimedio. Sposati da vecchio quando non sarai buono a nulla…Altrimenti andrà perduto tutto ciò che in te è buono ed elevato. Tutto si disperderà in piccolezze” (p. 41).
Il timore del rischio di perdere una possibilità di vita, se non eroica, certo meno insignificante di quella del marito borghese viene manifestato anche da Kafka nella Lettera al padre :”Perché, dunque, non mi sono sposato? L’impedimento essenziale, purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v’è dubbio, sono spiritualmente incapace di sposarmi…ho già accennato che con lo scrivere e tutto ciò che vi si ricollega ho fatto alcuni mediocri tentativi di indipendenza e di evasione, ottenendo scarsissimi risultati…Ciò nonostante è mio dovere, o piuttosto è la mia vita stessa vegliare su essi, impedire per quanto sia in me che un pericolo, anzi la sola possibilità di un pericolo, li possa sfiorare. Il matrimonio è la possibilità di un tale pericolo”(p. 114 e sgg.).
T. Mann indica un ostacolo molto probabile all’eroismo: la madre :”In fondo, per una madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la sublime avventura virile dell’uomo che non è più sotto la sua protezione è un’aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella sente risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: “Donna, io non ti conosco”. E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe fatto meglio a non staccarsene mai”[59].
Eroi della passività
Il tenente Drogo di Buzzati (Il deserto dei Tartari) è accostabile a Edipo (a Colono) di Sofocle per l’eroismo raggiunto nella passività e nell’accettazione del destino. Amor fati.
come Edipo trova la sua dimensione positiva nella passività di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella fase dell’attività sconsiderata, così Giovanni Drogo ne Il deserto dei Tartari di Buzzati scopre”l’ultima sua porzione di stelle”(p.250) e sorride nella stanza di una locanda ignota, completamente solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti, dopo avere sperato invano, per decenni, di battersi”sulla sommità delle mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera”. Invece il suo destino si compie al lume di una candela, dove”non si combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani donne. Non c’è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo”.
Del resto gli eroi della passività nella letteratura moderna sono tanti, da Oblomov di Goncarov, a Zeno di Svevo, per dire solo i più noti, e il prototipo può essere considerato l’Edipo a Colono del quale Nietzsche ne La nascita della tragedia (p.67) scrive:” L’eroe raggiunge appunto nell’attitudine puramente passiva la sua attività suprema, la quale continua ad agire molto al di là della sua stessa vita, mentre il cosciente tendere e sforzarsi della sua vita precedente lo ha condotto solo alla passività”.
Denigratori di Odisseo
Nell’Ippia minore di Platone, il sofista eponimo del dialogo sostiene che mentre Achille è veritiero e semplice (“ajlhqhvv” te kai; aJplou'””, 365b) Odisseo è invece “poluvtropov” te kai; yeudhv””, versatile e menzognero.
Sono i luoghi comuni della letterarura successiva a Omero la quale contrappone spesso lo schietto Pelide al subdolo Odisseo: Achille nellIfigenia in Aulide chiarisce a Clitennestra che lo educò Chirone: perché non imparasse gli usi degli uomini malvagi[60].
Più avanti il figlio di Peleo riconosce tale capacità paideutica all’uomo piissimo che l’ha allevato dal quale:”, ha imparato ad avere semplici i costumi[61]. Lantitesi del semplice, onesto Achille in questa tragedia, e non solo, è Odisseo del quale Agamennone dice: , è molteplice per natura e sempre dalla parte della massa[62]. Cioè un demagogo. Oggi si direbbe un populista”.
Nel dialogo Platonico, Ippia però riceve una confutazione da Socrate.
Il sofista ricava la distinzione tra i due capi achei dal IX libro dell’Iliade dove Fenice Aiace e Odisseo vanno in ambasceria da Achille che irato non combatteva ma faceva l’aedo, ossia cantava glorie di eroi accompagnandosi con la cetra ( “fovrmiggi..a[eide kleva ajndrw’n”, vv.186 e189).
Dopo l’accoglienza cordiale, il cibo e la bevanda, Odisseo parlò (“Aiace-nota Jaeger-personifica piuttosto l’azione, Odisseo la parola”[63]) scongiurando Achille di tornare in battaglia e promettendogli donne mari e monti da parte di Agamennone. Ebbene Achille risponde che gli è odioso come le porte dell’Ade chi una cosa tiene nascosta e un’altra ne dice[64].
Ippia sostiene che non a caso Omero fa indirizzare queste parole a Odisseo.
Socrate risponde opponendosi a questa opinione comune della schiettezza di Achille e affermando che il Pelide mente non meno di Odisseo, poiché dice allItacese che sarebbe partito[65], mentre al Telamonio ha detto che non si sarebbe mosso fino all’arrivo di Ettore davanti alla sua tenda[66].
Ippia allora ribatte che Achille non mente di proposito.
Socrate afferma che Achille ha mentito deliberatamente a Odisseo per superarlo anche nell’arte del raggiro e aggiunge che coloro i quali danneggiano, gli altri, e commettono ingiustizia e mentono e ingannano ed errano volontariamente (eJkovnte~) [67] sono migliori di quelli che lo fanno involontariamente (a[konte~)[68].
Infatti chi fa del male volontariamente, se vuole poi fa del bene, chi lo fa involontariamente non sa fare altro. E molto peggio zoppicare per necessità che per gioco.
E Socrate stesso, l’amico del vero, il bello e casto parlatore, l’odiator de’ calamistri[69] e de’ fuchi[70] e d’ogni ornamento ascitizio[71] e d’ogni affettazione, che altro era ne’ suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone, 3474).
In effetti in questo caso è Socrate che travisa lIliade ed è Odisseo che mente riferendo la risposta di Achille ad Agamennone (IX, 682-685)
Infatti Achille aveva risposto a tutti e tre che si sarebbe messo a combattere soltanto quando Ettore fosse arrivato davanti alla sua tenda[72] (IX, 644-655).
La questione di Ulisse menzognero comunque esiste.
L’eroe farabutto
“Pindaro non amava il carattere di Ulisse. L’Aiace e il Filottete di Sofocle testimoniano che accanto all’ammirazione convenzionale per il grande eroe esisteva anche un’opinione meno favorevole. Anche l’Ippia minore di Platone esprime per bocca del sofista gli stessi dubbi sul carattere di Ulisse, ma Platone ci fa intendere che Ippia non fa che seguire, su questo punto, una tendenza generale…In ultima analisi questa disposizione verso Ulisse risale all’Iliade che lo mette a contrasto come poluvtropo” con lo schietto carattere di Achille. Anzi nell’Odissea (q 75[73]) si ritrova l’antica tradizione intorno a questo contrasto dei due grandi eroi nel canto di Demodoco sulla contesa di Ulisse e Achille”[74].
Vediamo alcune testimonianze decisamente contrarie a Odisseo
Pindaro contrappone Aiace a Odisseo.
Pindaro nell Istmica IV denuncia l’oscurità del destino (v. 31), che fece cadere Aiace, puvrgo~[75] la torre, con gli artifici di chi valeva meno di lui, ma Omero gli ha reso onore tra gli uomini (all j { Omhrov~ toi tetivmaken di j ajnqrwvpwn (v. 37).
Nella Nemea VIII il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e prevalse l’odioso discorso ingannevole di Odisseo.
Tuttavia alla fine Aiace ebbe giustizia: a generosi/giusta di glorie dispensiera è morte;/né senno astuto, né favor di regi/allItaco le spoglie ardue serbava,/ché alla poppa raminga le ritolse/l’onda incitata daglinferni Dei”[76]
Nel Filottete di Sofocle, Neottolemo lamenta di essere stato espropriato dei suoi beni, ossia delle armi del padre dal peggiore di tutti, nato da malvagi[77], Odisseo.
I drammi
Nella parodo dellEcuba di Euripide, il coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come «lo scaltro (oJ poikilovfrwn)[78] furfante dal dolce eloquio hjdulovgo~, adulatore del popolo dhmocaristhv~ (vv. 131-132) che convince l’esercito a mettere a morte Polissena.
In questa tragedia il figlio di Laerte è un freddo politico per cui vale solo la ragion di Stato che calpesta tante vite innocenti.
Nel primo episodio la vecchia regina esautorata, la madre dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa dannata dei demagoghi:
«Razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza? Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue?» (Ecuba, vv. 254-261).
Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso che è un’alta espressione di umanesimo in favore della vita:”mhde; ktavnhte: tw’n teqnhkovtwn a{li” ” (v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Nel dramma satiresco Ciclope, di Euripide, quando Odisseo entra in scena definendosi Itacese, signore dei Cefalleni, Sileno replica: oid j a[ndra, krovtalon drimuv, Sisuvfou gevno~” (vv. 103-104), conosco quel tipo, un sonaglio petulante, una nacchera stridula, razza di Sisifo[79], il quale, derubato del bestiame da Autolico, padre di Anticlea, ne sedusse la figlia che poi sposò Laerte e divenne madre di Odisseo (Igino, 201)
Ulixes
Nell’ Eneide, Ulisse è malfamato:”sic notus Ulixes?” (II, 44) non conoscete Ulisse? domanda Laocoonte, e più avanti Sinone, per convincere i Troiani, ne denuncia la trama criminale contro Palamede morto “invidia pell?cis[80] Ulixi ” (II, 90) per l’invidia del perfido Ulisse e lo definisce “scelerum inventor” (II, 164) ideatore di crimini.
Durante il viaggio dei Troiani profughi verso l’Italia, racconta Enea: Effugimus scopulos Itacae, Laërtia regna,-et terram altricem saevi exsecramur Ulixi “[81], evitiamo gli scogli di Itaca, regno di Laerte, e malediciamo la terra del crudele Ulisse.
Nel VI canto, l’ombra di Deifobo raccontando la sua fine definisce Ulisse , lEolide[82], hortator scelerum (v. 529), istigatore di scelleratezze.
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Nelle Troiane di Seneca, Andromaca annuncia l’arrivo di Ulisse con queste parole: ” Adest Ulixes, et quidem dubio gradu vultuque/: nectit pectore astus callidos” (vv. 521-522), ecco qua Ulisse e certamente con un incedere e un’espressione equivoca: intreccia nel petto astuzie scaltre.
Più avanti la vedova di Ettore lo apostrofa in questo modo:”O machinator fraudis et scelerum artifex,/virtute cuius bellic? nemo occ?dit,/dolis et astu maleficae mentis iacent/etiam Pelasgi, vatem et insontes deos praetendis? Hoc est pectoris facinus tui ” (vv. 750-754) o tessitore di frodi e artefice di inganni, per il cui valore in battaglia nessuno è morto, mentre per i tuoi inganni e l’astuzia della mente malefica giacciono morti anche i Pelasgi, ora metti avanti come pretesto[83] l’indovino e gli dèi incolpevoli? Questo è un delitto dell’animo tuo.
Ulisse vuole la morte del piccolo Astianatte pensando ai lutti che il bambino, se diventasse grande, procurerebbe alle madri greche.
Ulisse donnaiolo e adultero
Nella I delle Heroides di Ovidio, Penelope scrive a Ulisse, qualificandolo come ferreus (v. 58), e immaginando che peregrino captus amore (76), sia preso dall’amore per una straniera cui Forsitan et narres quam sit tibi rustica coniunx,/quae tantum lanas non sinat esse rudes” (77-78), forse racconti quanto sia rozza tua moglie, che sa soltanto cardare la lana.
Al Dante che voleva narrare di Ulisse, si presentavano due tradizioni mitiche e letterarie di grande autorevolezza.
Nella prima, l’eroe greco è un imbroglione, un ingannatore, un inventore di storie false, un oratore illusionista. Tale appare a Virgilio nellEneide, a Ovidio nelle Metamorfosi, a Stazio nellAchilleide, e a tutta una serie di scrittori posteriori come Ditti, Benoît de Sainte Maure, Guido delle Colonne e così via. E non c’è alcun dubbio sul fatto che Dante condanni Ulisse all’inferno per le sue frodi: come chiarisce Virgilio nella sua presentazione della fiamma cornuta, per lagguato del caval”, e per gli stratagemmi con cui riuscì, assieme a Diomede, a strappare Achille a Deidamia[84] e a rubare il PalladioD’altro canto, le ali della fazione avversa, come i remi di Ulisse, sorvolano la proibizione mitico-ontologica (antica e medievale) delle Colonne d’Ercole e, in spirito ultra-umanistico e romantico, usano una seconda tradizione. In essa, Ulisse rappresenta il modello della virtù e della saggezza, il vincitore del vizio, il nobile ricercatore della conoscenza: in una parola, l’ideale dell’uomo ‘classicoCicerone, Orazio, Seneca[85], ma anche Fulgenzio e, nel Medioevo stesso, Bernardo Silvestre e Giovanni del Virgilio, contemporaneo e amico di Dante, parlano di Ulisse in questi termini”[86].
Dante apre il Convivio con la memorabile frase aristotelica, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere“, e Ulisse è il prototipo dell’uomo affamato di conoscenza.
Egli rischia la vita molte volte per il desiderio di imparare. Le Sirene per attirarlo gli dicono che chi si ferma da loro riparte pieno di gioia e conoscendo più cose[87] Dante-personaggio della Commedia si sente attratto verso Ulisse da un desiderio intensissimo (vedi che del desio ver lei mi piego”, dice a Virgilio); eppure il poeta fiorentino avverte il pericolo estremo che Ulisse rappresenta per lui
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio:
quando drizzo la mente a ciò chio vidi,
e più lo ‘ngegno affreno chio non soglio,
perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
mha dato l ben, chio stesso nol minvidi”[88]
Infine, Dante-poeta fa affondare il suo eroe da Dio; Dante il giudice lo condanna all’Inferno; e perfino dal Paradiso il personaggio-autore ribadirà che il varco” di Ulisse è stato folle”.
E il suo passaggio
Io vedea di là da Gade il varco/folle dUlisse” (XXVII, 82-83)
Dante è uno di quei poeti che, come Sofocle tra i Greci, considerano limitata l’intelligenza umana e colpevole l’uomo che non tiene imbrigliata la propria. Il che non toglie che entrambi sappiano trarre bellezza dalle parole
Altri eroi
Prometeo incatenato eroe-antieroe- Eschilo
Edipo a Colono eroe della passività Sofocle
Ifigenia in Aulide eroina della guerra santa Euripide
Anti eroi-Tersite (II dellIliade ai[scistoÏ, ajnhvr (216)-cwlo;Ï, dj e{teron povda, 217).
Confronta la zoppia di Edipo e del tiranno in generale. Periandro di Corinto
Il tiranno anti eroe nella storiografia: Policrate di Samo, Trasibulo di Mileto, Periandro di Corinto, Tarquinio il Superbo.
Giasone nelle Argonautiche di Apollonio Rodio. Antieroe dell’impotenza.
Giasone paralizzato dalla ajmhcaniva, deve farsi aiutare da una donna che poi tradirà anticipa gli Oblomos e gli Emilio Brentani, Zeno Cosini
Giasone davanti alle difficoltà è colpito da ajmhcaniva (Apollonio Rodio, Argonautiche, I, 460), impotenza. Il protagonista non ha la baldanza né gli entusiasmi dell’eroe, ma vive in un limbo di mediocrità e cautela, tormentato da indecisioni che quasi paralizzano l’azione.
Lo attanaglia un sentimento di impotenza e frustrazione.
Nell’eroe omerico non manca mai la fiducia nell’azione che sta compiendo. Nelle Argonautiche invece l’impresa è sentita fin dall’inizio come vuota di senso e fonte di un’angoscia paralizzante: gli Argonauti desiderano tornare ancora prima di essere partiti. Giasone dice a Issipile che su di lui incombono imprese angosciose (I, 841) ed egli vuole solo la patria (I, 902).
Giasone è spesso in preda all’angoscia “ajmhcanevwn” (II, 885) anche con sconforto sproporzionato rispetto alla situazione oggettiva. Cerca di persuadere Eeta con la retorica, ma il barbaro re propone le prove che gettano Giasone nella disperazione:”ajmhcanevwn kakovthti”(423).
L’impresa si compie grazie a Medea.
Il termine ajmhcaniva condensa in pieno la passività del protagonista. Questo d’altra parte è il termine chiave delle Argonautiche : molte scene sono dominate da atti mancati, come quella di Eracle sì e no avvistato da Linceo.
Giovanni Ghiselli
Percorso preparato per la conferenza che terrò a Siracusa il 26 dicembre. Nell’ambito del Convegno del 26-27-28 dicembre 2014 h.19,00, sala teatro Assessorato Politiche Sociali via Italia 105, nei pressi della Chiesa di San Metodio, Siracusa
PROGRAMMA
venerdì 26 dicembre,h.19
Di-verso sociale
Prof.ssa Lucia Arsì, presidente C.C. Epicarmo
Dott. Riccardo Mondo, psicologo analista
Prof. Gianni Ghiselli,grecista, Università Bologna
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[1] J.Pierre Vernant, Cera una volta Ulisse, p.5.
[2] poluvmhti” , vv. 311 e 44o
[3] Dii; mh’tin ajtavlanton, v. 169. Anche in Iliade X, 137., di ugual peso di Zeus.
[4] ajganoi'” ejpevessin”, v. 180
[5] polumhvcano~, v. 173 ricco di risorse
[6] Iliade II 216.ai[scisto” ajnhvr
[7] e[cqisto~, Iliade II, 220.
[8] Iliade II, 246.
[9] Iliade II, 264 ndr
[10] G. Murray, Le origini dellEpica greca, p. 269.
[11] di’o”, v. 244, splendido, molto generico invero: attribuito in XIV, 3 dell’Odissea anche al porcaro il quale del resto ha un comportamento nobile,; poi ptolivporqo”, v 278 distruttore di rocche, anche questo generico e attribuito pure, a maggior ragione, ad Ares, Achille e Oileo
[12] eÏ<fronevwn, Iliade II, v. 283, assennato
[13]Cantarella-Scarpat, Breve introduzione a Omero, p. 151.
[14] w{” te ga;r h] pai’de” nearoi; ch’raiv te gunai’ke””, Iliade II, v. 289
[15] l’a[ndra del primo verso dell’Odissea
[16] H. Hesse, Siddharta, pp. 88-90.
[17]Scelta di frammenti postumi 1887-1888 , p. 324.
[18] tlh’te, fivloi, kai; meivnat j ejpi; crovnon”(II, v. 299)
[19] S. Kierkegaard, Diario del seduttore , p. 75. La citazione è tratta da Ovidio, Ars Amatoria , II, 123-124. .
[20] meivwn me;n kefalh’/ jAgamevmnono” jAtreÎdao,/ eujruvtero” d& w[moisin ijde; stevrnoisin ijdevsqai(vv. 193-194),
[21] stavntwn me;n Menevlao” uJpeivrecen eujreva” w{mou”, v. 210.
[22] Zibaldone, 1692.
[23] S. Settis, Futuro del ‘classico’, p. 84.
[24] L’anello di Clarisse , p. 6.
[25] L’anello di Clarisse , p. 6.
[26] Poetica , 1459b.
[27] Nietzsche, Aurora , p. 40.
[28] Umano troppo umano , (vol.2, p.211)
[29] Iliade , IX, 443.
[30] Orazio, Odi , I, 6, 5- 6:” gravem /Pelidae stomachum cedere nescii “, la funesta ira di Achille incapace di cedere.
[31] Aiace, vv. 479-480.
[32] Queste parole sono dette da Ismene per Antigone :” ajll j ajmhcavnwn ejra’””, ma sei innamorata dell’impossibile(v. 90), ma Knox assimila il carattere di Atene a quello di tutti gli eroi sofoclei, e particolarmente a quello di Edipo:”Ho affermato altrove che la stessa Atene, la sua eroica energia, il suo rifiuto di ritirarsi, di piegarsi a compromessi, aveva ispirato la figura di Edipo tyrannos . Ma, come abbiamo visto, Edipo è un personaggio dello stesso stampo degli altri eroi sofoclei” L’eroe sofocleo , in La tragedia greca. Guida storica e critica . p.93 .
[33] Trad. it. Garzanti, Milano, 1974, p. 288.
[34] Op; cit., p. 1222.
[35] Iliade , IX, 319
[36] Iliade , I, 505
[37] Iliade , I, 507
[38] Platone scrive: kalo;Ï, ga;r oJ kivndunoÏ,” (Fedone, 114d), bello è infatti il rischio. E il rischio di credere nei miti relativi alla sorte delle anime, dato che è chiaro che l’anima è immortale.
[39] vv. 81-85.
[40] IX, 8, 1169 a 18 sgg.
[41] Paideia , I vol., pp. 46 e 47.
[42] P. Citati, Leopardi, p. 38
[43] Op. cit., pp. 38-39.
[44] Iliade , XII, 243. In risposta a Polidamante
[45] “E qualcuno ora è vecchio-e ti parla-…”. C. Pavese: Dialoghi con Leucò, Gli Argonauti .
[46] Orio e Guido Vergani, Caro Coppi , p. 78.
[47] Dei Sepolcri , v.228. Del resto nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis Foscolo, attraverso un discorso attribuito al vecchio Parini dà un’interpretazione pessimistica e riduttiva dell’eroe:”Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma-credimi-la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l’altro quarto a’ loro delitti”(Milano, 4 dicembre).
[48] VIII, 109, 3.
[49] E. Rohde, Psiche , p. 150.
[50] Nella Repubblica di Platone, Socrate manifesta la sua diffidenza nei confronti di Omero e della poesia che non consista in inni agli dèi” ed elogi dei buoni”, attaccando in particolare la Musa drogata (th;n hjdusmevnhn[50] Mou`san, 607) dei canti lirici o epici che insediano piacere e dolore nel trono della città. Poi però il filosofo abbozza una scusa, dicendo che tra la poesia e la filosofia c’è un’antica ruggine (palaia; mevn ti~ diaforav, 607b) e cita alcuni sberleffi nei confronti della seconda, probabilmente dedotte dai comici.
[51] Odissea , XI, 489.
[52] Repubblica , 386c. Più avanti(391c) Platone aggiunge che non si deve ammettere nemmeno l’avidità illiberale di Achille né il suo superbo disprezzo di uomini e dèi. Sentimenti che non si addicono a un giovane nato da una dea, pronipote di Zeus e allevato dal sapientissimo Chirone, proprio la ragione per cui, faccio notare, il figlio di Peleo viene approvato da Euripide il quale, nell’Ifigenia in Aulide , gli fa dire:” ejgw; d&, ejn ajndro;” eujsebestavtou trafei;”-Ceivrwno”, e[maqon tou;” trovpou” aJplou'” e[cein”(vv. 926-927), io, allevato nell’ambiente di un uomo molto pio, di Chirone, ho imparato ad avere semplici i costumi.
[53] Repubblica , 388b.
[54] Iliade , VI, vv. 146-149.
[55] La nascita della tragedia cap. 3.
[56] R. Musil , L’uomo senza qualità ,pp. 243-244.
[57] Abbandona gravida e soletta” Deidamia nell’isola di Sciro per seguire Odisseo e Diomede a Troia (cfr. lAchilleide di Stazio)
[58] Trattato Di Storia Delle Religioni , pp. 440-450.
[59] Doctor Faustus , p.691.
[60] i{n j h[qh mh; mavqoi kakw’n brotw’n” (v. 709),
[61] ejgw; d j, ejn ajndro;” eujsebestavtou trafei;”-Ceivrwno”, e[maqon tou;” trovpou” aJplou'” e[cein” (vv. 926-927)
[62] Poikivlo~ ajei; pevfuke tou’ t j o[clou mevta” (Ifigenia in Aulide, v. 526)
[63] Padeia 1, p. 69.
[64] o{” c j e{teron me;n keuvqh/ ejni; fresivn, a[llo de; ei[ph/”, Iliade IX, v. 313.
[65] Iliade IX, 682-683
[66] Iliade, IX, 650-655.
[67] Si pensi alla rivendicazione di Prometeo nei confronti della propria trasgressione : eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai
(Prometeo incatenato, 266) di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò.
Queste parole del Titano ribelle forniscono una legittimazione all’ira di Zeus e argomenti a Nietzsche in La nascita della tragedia per nobilitare “la concezione ariana” del peccato attivo :” La cosa migliore e più alta di cui l’umanità possa diventare partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve poi accettarne le conseguenze, cioè l’intero flusso di dolori e di affanni, con cui i celesti offesi devono visitare il genere umano che nobilmente si sforza di ascendere: un pensiero crudo, per la dignità conferita al crimine, stranamente contrasta con il mito semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro menzognero, la seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti eminentemente femminili fu considerata come origine del male. Ciò che distingue la concezione ariana è lelevata idea del peccato attivo come vera virtù prometeica” F. Nietzsche. La nascita della tragedia, p. 69.
[68] Ippia minore, 372 d
[69] Da calamistrum, ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[70] Da fucus, tintura rossa” (ndr).
[71] Da ascisco, annetto” (ndr).
[72] Fenice aveva pregato Achille di accettare i doni di Agamennone, domare il cuore magnanimo (v. 496) e smettere l’ira (Iliade, IX, v. 517) facendogli l’esempio (negativo) di Meleagro, il quale, irato contro la madre Altea che l’aveva maledetto, non voleva difendere gli Etoli, che pure lo supplicavano offrendogli dei doni, dai Cureti i quali assalivano Calidone. Il giovane ostinato intervenne solo quando i nemici arrivarono a scuotere il talamo (v. 588) dove egli giaceva con la sposa, la bella Cleopatra; allora ella lo pregò ed egli intervenne in battaglia salvando gli Etoli che però non gli diedero più i doni preziosi e belli (vv. 598-599).
[73] Nell’VIII dell’Odissea Demodoco canta tra l’altro:”nei’ko” jOdussh’o” kai; Phleïvdew jAcilh’o””, la lite tra Odisseo e Achille Pelide.
[74] W. Jaeger, Paideia 1, p. 61 n. 16.
[75] Cfr. Odissea, XI, 556.
[76] Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 221-225.
[77] pro;~ tou’ kakivstou kajk kakw’n jOdusseuv~” (384)
[78] Aggettivo formato da poikivlo~, variopinto e frhvn , mente.
[79] Secondo una leggenda Anticlea, la madre di Odisseo, prima delle nozze con Laerte, avrebbe avuto una tresca con Sisifo, famoso per i suoi inganni, e da questa relazione sarebbe nato Odisseo
[80] Da pellicio, seduco. Cfr. pellacia, adescamento, lusinga.
[81] Eneide III, 272-273
[82] Qui, come annota Servio, si segue la leggenda secondo cui Anticlea, la madre di Odisseo, prima delle nozze con Laerte, avrebbe giaciuto con Sisifo, figlio di Eolo, e vasel d’ogni froda”, dal quale avrebbe avuto Odisseo” (E Paratore (a cura di), Virgilio, Eneide, vol. III, libri V-VI, p. 292)
[83] Cfr. inglese to pretend, fingere.
[84] e dentro dalla lor fiamma si geme/lagguato del caval” e l’arte per che, morta,/Deidamia ancor si duol dAchille/ e del Palladio pena vi si porta” ( Inferno, XXVI, 58 sgg.
[85] Non certo il Seneca delle tragedie ndr.
[86] P. Boitani, L’ombra di Ulisse, p. 54.
[87] kai; pleivona eijdwv””, Odissea, XII, 188.
[88] Inferno, XXVI, 19-22