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27 Gennaio 2019
e la rappresentazione di “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare
dalla tesina “La finzione artistica: veicolo di verità?” di Samuele Gaudio
Esame di Stato 2010
Quest’anno ho partecipato ad un laboratorio teatrale, ed ho insieme al mio gruppo rappresentato l’opera di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate”.
Interpretando Oberon, re del bosco, ruolo che mi è stato consigliato dal nostro regista, ho dovuto fare un lavoro su di me, per imparare a usare al meglio le capacità espressive, come la parola, il gesto, l’azione, la postura. In questo lavoro ho scoperto aspetti nascosti di me, e li ho oggettivati, cioè li ho rappresentati all’interno del personaggio in modo da poterli considerare consapevolmente; in una specie di gioco (che in inglese si dice play” e in francese si dice jouer” vocaboli usati anche per il verbo recitare”) dove cercavo in realtà di fingere una parte di me stesso. Il regista per esempio ci consigliava di cercare, ricordare delle situazioni, considerare degli stati d’animo nostri, veri, reali, provati da noi stessi, nei quali si rispecchiasse una caratteristica simile a quella del personaggio che dovevamo interpretare.
Una parte di me che non conoscevo così profondamente è stata indagata e sviscerata grazie a un lavoro di immedesimazione con un altro personaggio. Ho messo sotto i riflettori un mio atteggiamento, di cui prima non ero consapevole, perché lo adottavo inconsciamente.
Oberon è un personaggio che appartiene al mondo del bosco, realtà onirica e irrazionale, governata da leggi cicliche e naturali, dove niente è forzato da un giudizio morale, applicato ed eseguito da un giudice, ( come accade invece, in questa commedia, ad Atene, il cui duca è Teseo), ma dove violenti cambiamenti e sconvolgimenti del corso ordinato e ciclico, con cui gli eventi naturali si sviluppano portano sempre a un nuovo equilibrio.
Oberon è quindi un personaggio diverso dagli umani. Quasi tutti i personaggi umani” della commedia shakespeariana sono condizionati dallo sforzo che le azioni avvenute nel corso di uno spazio e un tempo provocano su di loro, mentre il mio personaggio, di natura magica, doveva esternare una specie di energia inesauribile. I personaggi umani sono meno coscienti dello spazio in cui agiscono, soprattutto nel caso in cui si trovino nel bosco, realtà a loro apparentemente estranea, la quale poi però comincerà a fare parte di loro, perché anche in loro c’è una parte irrazionale, che verrà portata alla luce dell’indagine artistica. La nuova realtà in cui si trovano immersi e sperduti stravolgerà la loro condizione, il loro modo di pensare, di agire, la loro percezione delle cose, come spesso succede all’uomo quando abbandona il controllo della ragione, per lasciare spazio alla dimensione irrazionale insita al suo interno. Questa condizione di ambiguità, di dualità, di frammentazione, trova espressione visibile nel simbolo-metafora del bosco, contrapposto alla città. Gli unici che sembrano avere pieno controllo delle loro azioni e dello spazio, sono i personaggi magici, i quali non sono umani, possiedono una energia illimitata. Soprattutto Oberon, il cui personaggio è molto vicino a quello che potremmo considerare come il narratore/autore della storia. Questo si giustifica con il fatto che è proprio Oberon che, osservando la situazione degli amanti, sceglie di intervenire per plasmare a suo piacimento il corso della storia.
Egli agisce secondo due intenti, alquanto differenti se non opposti: il primo è il desiderio e la gelosia, che lo porta a costringere Titania a cedergli il proprio paggio, desiderio che è un capriccio, una volontà di sopraffazione sulla propria regina; il secondo è l’intento di mutare l’animo di Demetrio, riportandolo ai sentimenti che precedono la rappresentazione teatrale stessa, e quindi ad una corrispondenza d’amore con Elena, desiderio che invece è mosso dalla volontà di riequilibrare i rapporti tra gli amanti, sconvolti da un fatto non narrato nell’opera, è una volontà di riequilibrare uno stato di giustizia e questo porterà alla felice conclusione della trama. Ecco che, attraverso il personaggio di Oberon, Shakespeare riesce a rappresentare in un solo personaggio/simbolo, una figura poliedrica, ambivalente, condizione che spesso vive l’uomo. Il teatro diventa occasione di dire, in un modo forse più celato, ma estremamente potente, qualcosa di ultimamente vero sull’uomo, la cui profondità non si può esaurire, in quanto va oltre le possibilità di conoscenza dell’uomo e dell’artista stesso.
Le caratteristiche della finzione teatrale
Il teatro, di interpretazione in interpretazione, trova spunti sempre più attuali ed efficaci per esprimere in modo più approfondito una verità, indagandone aspetti che prima non si pensava potessero esistere. E’ una continua indagine, portata avanti dall’uomo, su se stesso, non attraverso un pensiero, ma attraverso una azione. Questo si presenta come un metodo estremamente più efficace, in quanto l’uomo nell’azione si rende molto più consapevole di sé che in un pensiero autocritico. La finzione teatrale è quella forse più vicina a rispecchiare la dimensione reale e ne condivide con essa alcuni elementi, in quanto l’azione dell’attore che recita, che finge, è reale, si muove nello spazio e nel tempo reali. Nell’azione l’attore deve necessariamente confrontarsi con le condizioni che derivano dall’esterno, il testo, la parola, lo spazio, il tempo, il rapporto con gli altri attori. La finzione teatrale è costituita sostanzialmente da una trama di relazioni, e per essere vera imitazione questa trama deve essere organica, deve essere ordinata, armoniosa, equilibrata per poter essere più comunicativa ed efficace. Questo può avvenire solo se l’attore rispetta il suo ruolo, considerandolo non come una limitazione imposta alla sua creatività ed espressività, ma come una condizione necessaria alla vita stessa della rappresentazione. Solo così quel ruolo potrà diventare una occasione per scoprire qualcosa di nuovo su se stessi, che prima non si sapeva, cosa che non può succedere se si sceglie di imporsi, affermando nel personaggio da interpretare quello che già si sa di sé, delle proprie capacità. Interpretare un personaggio implica un lungo lavoro di ricerca su di sé, e l’umiltà di provare a cambiare il proprio punto di vista su quel personaggio, anche secondo le indicazioni del regista, che, come è successo nel mio caso, anche se non sono un attore, sa meglio di noi come sfruttare le nostre stesse capacità.
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